Quando opera la sospensione della prescrizione di cui al D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 3 bis, conv. nella L. n. 27 del 2020?

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 Il fatto

Il Tribunale di Cagliari condannava alla pena di 1.500 Euro di ammenda l’imputato per la contravvenzione di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, commi 2 e 3, per aver portato fuori dalla propria abitazione e senza giustificato motivo, il 18 aprile 2015, un coltello a serramanico con lama di cm 8,7.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la sentenza summenzionata proponeva ricorso per Cassazione l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando tre motivi così formulati: 1) erronea applicazione della legge penale eccependo il difetto di un elemento costitutivo del reato in quanto il Tribunale aveva ritenuto integrato il reato in contestazione in quanto l’imputato non avrebbe fornito al momento del suo accertamento alcuna spiegazione circa il porto del coltello ma dalla deposizione degli operanti risultava che nulla gli venne richiesto in tal senso nel frangente mentre alcun onere di offrirla spontaneamente avrebbe potuto gravare sul cittadino e conseguentemente non vi sarebbe stata la prova certa dell’assenza di un giustificato motivo per il porto del coltello del tipo di quello rinvenuto rimanendo verosimili le spiegazioni successivamente fornite dall’imputato circa la sua abitudine di tenerlo nel bagagliaio dell’autovettura per utilizzarlo al fine di svolgere dei “lavoretti” e consumare spuntini in campagna secondo l’uso invalso nella località ove sarebbe avvenuto il fatto; 2) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all’omesso riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p. dato che il Tribunale, pur avendo riconosciuto l’attenuante della lieve entità del fatto di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 3, avrebbe omesso di valutare la ricorrenza della succitata causa di non punibilità; 3) vizi di legittimità in merito alla commisurazione della pena.

La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione

Il ricorso veniva assegnato alla Prima Sezione, che lo aveva fissato per l’udienza del 20 marzo 2020 ma, in forza della successione delle disposizioni adottate a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 con provvedimenti presidenziali del 10 marzo e 18 aprile 2020, l’udienza era stata rinviata, una prima volta, al 4 maggio 2020 e quindi al 22 settembre 2020 fermo restando che, con ulteriore provvedimento presidenziale del 17 luglio 2020, il ricorso era stato tolto dal ruolo e restituito all’Ufficio per l’esame preliminare dei ricorsi della Prima Sezione per il nuovo calcolo dei termini di prescrizione del reato alla luce dei primi pronunziamenti della Corte in ordine agli effetti della normativa emergenziale sulla loro disciplina.

L’Ufficio per l’esame preliminare dei ricorsi della Prima Sezione, con nota del 20 luglio 2020 diretta al Primo Presidente, a sua volta, aveva rilevato che il reato per cui si procede nei confronti dell’imputato, al netto delle cause di sospensione introdotte dalla decretazione d’urgenza collegata all’emergenza pandemica, sarebbe risultato già prescritto alla data del 18 aprile 2020 (atteso che si procede per reato contravvenzionale) ovvero, tenendo conto delle sospensioni del termine di prescrizione disposte dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, commi 4 e 9, (per come emendato dal D.L. 8 aprile 2020, n. 23), alla data del 30 giugno.

Conseguentemente assumeva rilievo dirimente stabilire nel caso di specie se ed in che misura l’ulteriore sospensione della prescrizione prevista dal citato art. 83, comma 3 bis, (fino alla data di fissazione dell’udienza e comunque non oltre il 31 dicembre 2020) risultasse essere applicabile anche ai procedimenti – come quello in oggetto – pervenuti alla Corte di Cassazione anteriormente al periodo emergenziale definito dal compendio normativo menzionato.

A tal riguardo, la nota della Prima Sezione rilevava come tale ultima disposizione debba essere letta nel senso che, per tutti i procedimenti pendenti in Cassazione, il termine di prescrizione risulterebbe sospeso sino alla data dell’udienza fissata per la trattazione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2020.

La norma in questione, in particolare, lì dove prevede un regime peculiare per la prescrizione dei procedimenti pendenti in Cassazione, non avrebbe inteso limitarne gli effetti ai soli procedimenti pervenuti alla Cancelleria della Corte nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020, essendo tale interpretazione contraria alla ratio legis.

Si assumeva in tal senso che l’eventuale interpretazione in termini di endiadi del duplice riferimento alla pendenza e alla ricezione del ricorso contenuto nel comma citato sembrerebbe escludere poco ragionevolmente dall’area applicativa della sospensione quei procedimenti che, al pari di quelli pervenuti nel periodo più volte indicato, non potevano essere trattati in forza della stessa situazione emergenziale che giustifica la sospensione del termine per gli altri.

La nota prospettava, pertanto, la possibilità di interpretare il riferimento normativo alla data in cui i procedimenti sono pervenuti come mero completamento e integrazione del riferimento a quelli pendenti, che evoca una categoria ampia, e non come aggiunta limitativa.

La Prima Sezione rilevava, conseguentemente, l’esigenza dell’intervento nomofilattico delle Sezioni Unit, evidenziando come, nell’unica occasione in cui la Corte aveva avuto modo di pronunziarsi sulla questione (il riferimento è a Sez. 5, n. 25222 del 14/07/2020), era stata adottata, in quanto ritenuta più aderente alla lettera della norma, una diversa e più restrittiva interpretazione del disposto normativo secondo cui la sospensione della prescrizione prevista dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 3 bis, si applicherebbe solo nel caso in cui ricorrano congiuntamente i requisiti dell’essere il ricorso pervenuto alla Cancelleria della Corte nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020 e dell’essere ancora pendente nel medesimo periodo.

Era del tutto evidente, secondo la Sezione rimettente, che, ove si fosse optato per tale interpretazione, nel procedimento rimesso all’esame delle Sezioni Unite sarebbe risultata maturata la prescrizione mentre, diversamente, recependo la soluzione proposta dall’Ufficio “spoglio” della Prima Sezione, la prescrizione sarebbe stata sospesa a far data dal 9 marzo (inizio del periodo emergenziale) fino alla celebrazione dell’udienza, rientrando l’intero periodo del differimento nel periodo (non oltre il 31 dicembre 2020) di operatività della sospensione della prescrizione relativa ai soli giudizi pendenti in Cassazione.

Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, prima di entrare nel merito della questione, procedevano alla sua delimitazione nei seguenti termini: “Se la sospensione della prescrizione di cui al D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 3 bis, conv. nella L. n. 27 del 2020, operi con riferimento ai soli procedimenti che, tra quelli pendenti dinanzi alla Corte di cassazione, siano pervenuti alla cancelleria della stessa nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020, ovvero con riferimento a tutti i procedimenti comunque pendenti in detto periodo, anche se non pervenuti alla cancelleria tra le date suddette”.

Precisato ciò, si evidenziava che, nell’affrontare la questione sollevata dalla Sezione remittente, apparisse anzitutto opportuno ricostruire la genesi della disposizione oggetto del quesito posto alle Sezioni Unite e – limitatamente all’impatto sul corso della prescrizione – il complessivo contesto normativo in cui si è inserita, anche perchè il testo vigente del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, nella parte che rileva ai fini della decisione, è il precipitato dell’articolata successione e sovrapposizione di plurimi interventi normativi, adottati in un arco temporale assai breve ed il cui coordinamento non è sempre agevole il che veniva fatto nel seguente modo: “(…) Come noto, la rilevata penetrazione del Sars-Cov 2 in Italia ha portato, in una fase iniziale, al sostanziale isolamento di alcune ristrette porzioni del territorio nazionale, individuate come gli originari focolai dell’epidemia. L’esigenza di limitare il movimento delle persone verso, da e all’interno di queste zone, ha inevitabilmente determinato la necessità di ridurre sensibilmente anche l’attività giudiziaria, contenendo, nei limiti del possibile, l’impatto di tale misura sui processi in corso. In tale ottica, con il D.L. 2 marzo 2020, n. 9 (contenente anche misure di natura diversa) è stato previsto all’art. 10, comma 7, il rinvio d’ufficio (con le eccezioni previste dal comma 11) a data successiva al 31 marzo 2020 delle udienze nei procedimenti penali pendenti negli uffici giudiziari dei circondari dei Tribunali cui appartenevano i comuni rientranti nelle zone individuate dallo stesso decreto, nonchè, al comma 8, la sospensione, fino alla data menzionata, dei termini relativi al compimento di atti, comunicazioni e notificazioni da compiersi nei procedimenti pendenti nei distretti di Corte d’appello in cui rientravano i suddetti comuni ovvero da compiersi nel loro territorio, anche in relazione, dunque, a procedimenti pendenti altrove. Parimenti, al comma 9, veniva prevista la sospensione, a partire dal 22 febbraio e sempre fino al 31 marzo 2020, dei termini previsti a pena di inammissibilità o di decadenza gravanti sulle parti o sui loro difensori, qualora residenti nei territori di cui sopra, e ciò a prescindere dal luogo di pendenza del procedimento. Infine, per quanto qui di interesse, al comma 13 veniva disposta la sospensione del corso della prescrizione per il tempo in cui il processo veniva rinviato o i relativi termini sospesi ai sensi dei commi precedenti. (…) All’atto dell’estensione a tutto il territorio nazionale delle misure di contenimento dell’epidemia, la disciplina contenuta nel primo decreto è stata rimodulata con il D.L. 8 marzo 2020, n. 11, che all’art. 1, comma 1, ha imposto sempre prevedendo alcune eccezioni – il rinvio d’ufficio a data successiva al 22 marzo 2020 delle udienze dei procedimenti penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari. Lo stesso articolo, al comma 2, ha invece disposto la sospensione di tutti i termini correnti nei procedimenti indicati nel comma precedente nel medesimo periodo, nonchè il differimento alla sua conclusione di quelli che avrebbero dovuto iniziare a decorrere durante la sospensione. Nell’art. 2 il legislatore dell’urgenza, nel configurare speciali misure adottabili dai capi degli uffici giudiziari “per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”, ha invece loro attribuito (al comma 2, lett. g) il potere di rinviare a data successiva al 31 maggio 2020 anche le udienze fissate nel periodo susseguente a quello individuato nell’art. 1, prevedendo anche in questo caso le già menzionate eccezioni. Infine, il comma 4 dello stesso articolo, sempre per quanto di interesse ai presenti fini, ha decretato la sospensione del corso della prescrizione “per il tempo in cui il procedimento è rinviato” ai sensi della citata lett. g) del comma 2 e, in ogni caso, non oltre il 31 maggio 2020. In ragione dell’espresso rinvio operato allo stesso comma dall’art. 1, comma 3, la sospensione ha riguardato anche il corso della prescrizione nei procedimenti rinviati d’ufficio ai sensi del comma 1 di tale ultimo articolo. (…) Già dopo pochi giorni, la previsione sulla durata dell’emergenza e delle misure conseguentemente adottate, è apparsa inadeguata rispetto alla portata dell’evento. Pertanto, nell’ambito di un intervento organico destinato a regolamentare i più diversi ambiti della vita sociale ed istituzionale, il Governo è intervenuto nuovamente, varando il D.L. 17 marzo 2020, n. 18, contenente ulteriori disposizioni finalizzate a disciplinare lo svolgimento dell’attività giudiziaria e destinate a sostituire od a sovrapporsi a quelle introdotte in precedenza. In tal senso l’art. 83 del nuovo decreto, al comma 1, ha ribadito il rinvio ex lege di tutte le udienze penali fissate a partire dal 9 marzo, spostando però il termine finale di efficacia di tale disposizione al 15 aprile 2020. Il comma 2 dello stesso articolo ha, invece, riproposto la sospensione di tutti i termini procedurali (di cui ha fornito anche una elencazione dichiaratamente non esaustiva) ed il differimento alla conclusione dell’intervallo temporale considerato di quelli che avrebbero dovuto iniziare a decorrere durante il medesimo, stabilendo in aggiunta anche il differimento per il tempo necessario al suo rispetto delle udienze e delle attività per cui era previsto un termine computato a ritroso in tutto o in parte ricadente nell’intervallo considerato. Il legislatore dell’urgenza ha, peraltro, ritenuto opportuno precisare l’ambito di estensione della moratoria, sostituendo la formula utilizzata in tal senso nel precedente decreto e facendo mero riferimento ai “procedimenti civili e penali”. Per come si evince dalla Relazione illustrativa del D.L. n. 18, la modifica è stata operata al fine di dissolvere ogni residuo dubbio circa il fatto che la sospensione dei termini potesse operare esclusivamente nei procedimenti pendenti presso tutti gli uffici giudiziari per cui fosse stato disposto il rinvio di un’udienza. Mentre con il comma 3, sono state previste alcune eccezioni all’operatività delle precedenti disposizioni in relazione a determinate attività processuali o a specifiche tipologie di procedimenti, all’art. 83, comma 4, ha disposto la sospensione del corso della prescrizione e dei termini di custodia cautelare nei procedimenti in cui, ai sensi del comma 2, opera quella dei termini processuali e, dunque, fino al 15 aprile 2020. Ai commi sesto e settimo l’art. 83, riprendendo l’impostazione del precedente decreto legge, ha individuato un secondo periodo – compreso tra il 16 aprile e il 30 giugno 2020 – in cui ai capi degli uffici giudiziari è stata demandata l’adozione di speciali misure funzionali al contenimento degli “effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria” determinati dall’emergenza epidemiologica. Tra queste misure, alla lett. g) del comma 7, è stata nuovamente prevista la possibilità di rinviare le udienze fissate nel suddetto periodo a data successiva al 30 giugno 2020. Analogamente a quanto contemplato nel D.L. n. 11 del 2020, art. 2, l’art. 83, comma 9, ha, infine, stabilito la sospensione del corso della prescrizione per il tempo in cui, ai sensi del precedente comma 7, lett. g), il procedimento viene rinviato e, comunque, non oltre il 30 giugno 2020. 3. Dei tre decreti illustrati solo l’ultimo è stato convertito in legge, mentre gli altri due sono stati espressamente abrogati proprio dalla legge di conversione del D.L. n. 18 (L. 24 aprile 2020, n. 27), la quale però, all’art. 1, comma 2, ha contestualmente dichiarato la validità degli atti e dei provvedimenti adottati e fatti salvi gli effetti prodottisi, nonchè i rapporti giuridici sorti in forza delle disposizioni abrogate. (…) La disciplina dell’art. 83, invece, è stata ripetutamente modificata o integrata sia prima che successivamente alla conversione del D.L. n. 18. Infatti, il D.L. 8 aprile 2020, n. 23, art. 36, comma 1, (convertito nella L. 5 giugno 2020, n. 40), ha anzitutto prorogato dal 15 aprile all’11 maggio 2020 la durata delle disposizioni contenute nei primi due commi dell’articolo citato, spostando altresì l’inizio dell’operatività di quella di cui al successivo comma 6 al 12 maggio 2020. Il D.L. 30 aprile 2020, n. 28, art. 3, comma 1, lett. b), (convertito nella L. 25 giugno 2020, n. 70) ha successivamente provveduto ad integrare questa disposizione nel testo dello stesso art. 83. Sempre il D.L. n. 28, art. 3, comma 1, – ma alla lett. i) – aveva poi disposto la sostituzione del termine del 30 giugno 2020, ovunque menzionato nell’art. 83, con quello del 31 luglio 2020. Tale ultima disposizione, però, è stata soppressa dalla legge di conversione, la quale ha ripristinato nel 30 giugno 2020 il termine previsto nell’art. 83, commi 6 e 9. Non di meno l’art. 1, comma 2, della stessa legge ha però nuovamente fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base della disposizione non convertita. (…) Le ulteriori modifiche subite dal suddetto articolo e che assumono rilevanza ai fini della ricostruzione dell’art. 83, sono, naturalmente, quelle apportate al medesimo dalla legge di conversione del D.L. n. 18, alla quale si deve anzitutto l’introduzione, nel secondo periodo dell’inedito comma 3 bis, della disposizione cui si riferisce la questione sottoposta al giudizio delle Sezioni Unite, la quale prevede che “nei procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di cassazione e pervenuti alla cancelleria della Corte nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020 il decorso del termine di prescrizione è sospeso sino alla data dell’udienza fissata per la trattazione e, in ogni caso, non oltre il 31 dicembre 2020”. Per mera completezza va peraltro precisato che, mentre il comma 3 bis, era stato inserito al Senato su proposta del Governo ed aveva in origine ad oggetto esclusivamente le modalità di presentazione della richiesta di cui alla lett. b) del precedente comma 3 nei procedimenti “pendenti” dinanzi alla Corte di Cassazione, il secondo periodo è stato aggiunto a seguito dell’approvazione di un subemendamento presentato da alcuni Senatori ad integrazione dell’emendamento governativo. Sempre la L. n. 27 del 2020 ha, inoltre, inserito nell’articolo in questione l’altrettanto inedito comma 12 ter, il quale stabilisce che, dalla sua entrata in vigore e fino al 30 giugno 2020, la Corte di Cassazione decide i ricorsi fissati ai sensi degli artt. 127 e 614 c.p.p., senza la partecipazione delle parti, salvo che una delle stesse avanzi richiesta di discussione orale, prevedendo nel qual caso – e sempre che si tratti di richiesta proposta dal difensore del ricorrente – il rinvio dell’udienza di trattazione e la sospensione dei termini di prescrizione e di custodia cautelare per il tempo dello stesso””.

Conclusa questa disamina di ordine normativo, gli Ermellini osservavano come dall’analisi della progressiva evoluzione del quadro normativo così ricostruito fosse possibile trarre alcune preliminari considerazioni.

La prima considerazione riguardava il fatto che gli interventi adottati, per fronteggiare l’emergenza pandemica, si inserivano in una consolidata “tradizione” normativa che aveva visto il legislatore ricorrere allo strumento della temporanea sospensione dell’attività giudiziaria per preservarne l’effettività in occasione di calamità naturali che comportino il rischio di impedirne o comunque alterarne in maniera significativa l’ordinario svolgimento.

A lungo la misura dispiegata si era concretizzata nella generalizzata sospensione dei termini processuali e sostanziali (compreso quello di prescrizione), come, ad esempio, avvenuto ad opera del D.L. 26 novembre 1980, n. 776 (conv. nella L. 22 dicembre 1980, n. 874) o del D.L. 27 ottobre 1997, n. 364 (conv, nella L. 17 dicembre 1997, n. 434).

Nel tempo la struttura della risposta emergenziale era divenuta maggiormente articolata portando il legislatore anche a modulare lo strumento in ragione del tipo di attività a cui deve essere applicato e, per quanto qui di specifico interesse, accanto alla sospensione dei termini, aveva iniziato ad essere altresì usualmente prevista tout court la sospensione dei procedimenti penali ovvero il rinvio d’ufficio delle udienze. Ed in questo senso possono essere ricordati il D.L. 4 novembre 2002, n. 245 (conv. nella L. 27 dicembre 2002, n. 286), il D.L. 28 aprile 2009 n. 39 (conv. nella L. 24 giugno 2009 n. 77), il D.L. 6 giugno 2012 n. 74 (conv. nella L. 1 agosto 2012 n. 122).

Era, dunque, evidente, per la Suprema Corte, come i D.L. n. 9, n. 11 e n. 18 del 2020 si siano ispirati allo schema già più volte sperimentato dal legislatore riproponendone nei fondamentali la versione elaborata nell’esperienza legislativa più recente anche là dove ha dovuto disporre l’inedito congelamento dell’attività giudiziaria sull’intero territorio nazionale e non, come avvenuto in passato, solo su porzioni limitate del medesimo.

Già nella versione elaborata nel D.L. n. 11 (e poi ripresa dall’art. 83 del D.L. n. 18), tale schema aveva peraltro subito una ulteriore evoluzione per meglio adattarsi alle peculiarità della nuova ed inedita emergenza, ossia una evoluzione consistita nell’articolare due distinte ed autonome fasi temporali all’interno delle quali la sospensione dell’attività giudiziaria era stata modulata in maniera differenziata per intensità e modalità.

Non solo, rispetto al preliminare intervento del 2 marzo 2020 (ossia il D.L. n. 9) – nel quale all’art. 1, comma 13, era stata prevista la sospensione della prescrizione per tutto il tempo in cui, ai sensi del precedente comma 7, veniva disposto il rinvio delle udienze – con i decreti successivi, anche per la sospensione della prescrizione (e non esclusivamente per quella dei termini processuali) era stato in ogni fase assegnato un termine predefinito destinato ad operare anche nell’eventualità in cui il rinvio dell’udienza abbia maggiore durata mentre, però, il D.L. n. 11, aveva individuato tale termine nel 31 maggio 2020, a prescindere dal fatto che l’udienza rinviata fosse stata fissata nel primo o nel secondo dei periodi configurati, il D.L. n. 18, art. 83, comma 9, aveva, invece, definitivamente ancorato la durata della sospensione al termine finale del periodo nel quale l’udienza era stata originariamente fissata creando dunque una inscindibile connessione tra sospensione della prescrizione, data di fissazione dell’udienza rinviata e durata degli intervalli temporali normativamente determinati.

L’art. 83, comma 4, aveva, viceversa, collegato la sospensione della prescrizione non specificamente al rinvio dell’udienza ma più in generale a quella dei termini disposta dal precedente comma 2 per il periodo compreso tra il 9 marzo e il 15 aprile 2020 (termine poi prorogato, come si è detto, al 11 maggio 2020) e ciò per l’ovvia ragione che, contrariamente all’ipotesi considerata nel comma 9, il primo dei due periodi configurati dal legislatore aveva inteso imporre, tendenzialmente, la totale paralisi di ogni attività processuale a prescindere dal fatto che la stessa comporti o meno la celebrazione di una udienza come peraltro precisato nella Relazione illustrativa al decreto legge.

Non è dubbio quindi per la Suprema Corte che quella configurata dal legislatore sin dal D.L. n. 9 sia una vera e propria sospensione dei procedimenti e dei processi atteso che il rinvio d’ufficio delle udienze e la sospensione di tutti i termini sono misure che sono state adottate proprio al dichiarato fine di provocare una generalizzata stasi dell’attività giudiziaria – salve le eccezioni espressamente previste – funzionale al contenimento dell’emergenza pandemica ed è, dunque, irrilevante in tal senso che il legislatore non abbia esplicitamente disposto, come pure avvenuto in passato in situazioni similari, la sospensione dei procedimenti e dei processi giacchè l’effetto determinato e perseguito attraverso gli strumenti dispiegati è stato esattamente questo tenuto conto altresì del fatto che, come le Sezioni unite avevano già avuto modo di chiarire, non è possibile, nella terminologia del codice di rito, “ricostruire una chiara distinzione tra sospensione e rinvio” posto che, così come il codice del 1930, “anche il codice del 1988 adopera un linguaggio non connotativo, bensì meramente denotativo, per riferirsi ai diversi casi di stasi temporanea del procedimento, che vanno poi distinti dall’interprete in relazione ai rispettivi specifici presupposti” (Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001).

Tal che se ne faceva conseguire che l’adozione delle disposizioni di natura esclusivamente processuale infine stabilizzate nel D.L. n. 18, art. 83, commi 1, 2 e 7, determina l’operatività della causa generale di sospensione della prescrizione prevista dall’art. 159 c.p., comma 1, nel quale le “particolari disposizioni di legge“, che impongono la sospensione del procedimento o del processo, costituiscono un mero elemento normativo della fattispecie fermo restando che ciò non comporta la sostanziale ridondanza delle previsioni in tal senso contenute negli altri commi dello stesso art. 83 in precedenza illustrati come sottolineato dalla Corte Costituzionale nella decisione con la quale ha dichiarato infondate o inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del D.L. n. 18, art. 83, comma 4, e del D.L. n. 23, art. 36, comma 1, sollevate in riferimento all’art. 25 Cost., comma 2, e art. 117 Cost., comma 1, atteso che, nella motivazione della citata pronunzia, depositata nelle more della redazione della presente sentenza, il giudice delle leggi ha riconosciuto come la disposizione impugnata non possa ritenersi inutile in quanto svolge una funzione chiarificatrice circa la collocazione delle misure imposte nell’alveo della causa generale di sospensione della prescrizione ed ha evidenziato che tale tecnica legislativa risulta tutt’altro che inedita.

Sempre la Relazione illustrativa al D.L. n. 18, inoltre, rivela, altresì, come il legislatore dell’urgenza si sia trovato di fronte alla “duplice esigenza di sospendere tutte le attività processuali allo scopo di ridurre al minimo quelle forme di contatto personale che favoriscono il propagarsi dell’epidemia, da un lato, e di neutralizzare ogni effetto negativo che il massimo differimento delle attività processuali disposto (…) avrebbe potuto dispiegare sulla tutela dei diritti per effetto del potenziale decorso dei termini processuali, dall’altro”.

Appare allora evidente, per il Supremo Consesso, alla luce delle precedenti annotazioni che, nella necessità di bilanciare tali esigenze con il diritto dell’imputato ad una ragionevole durata del processo nonché, per come sottolineato nella citata pronunzia della Corte Costituzionale, con quello “ad andare esente da responsabilità penale per effetto del decorso del tempo”, siano state effettuate scelte ispirate al criterio del maggior contenimento possibile del sacrifico imposto a tali diritti, vale a dire scelte che hanno trovato il punto di equilibrio, per quanto riguarda la sospensione della prescrizione, nel limitare tale misura al tempo in cui effettivamente l’emergenza pandemica ha di fatto impedito lo svolgimento dell’attività processuale come del resto dimostrato dalla continua rimodulazione della durata delle diverse fasi configurate, al fine di adattare la disciplina speciale alla mutevole intensità dell’emergenza.

In altri termini, secondo gli Ermellini, il legislatore avrebbe potuto, già al momento dell’adozione del D.L. n. 11, ed in un’ottica prudenziale – non necessariamente irragionevole – disporre l’indistinta sospensione di tutti i procedimenti penali per un periodo anche più lungo e, comunque, prevedere la sospensione del decorso dei termini di prescrizione fino al momento dell’effettiva ripresa dei medesimi, così come in effetti era stato stabilito con il D.L. n. 9.

L’avere invece successivamente effettuato scelte diverse, dispiegando una disciplina più articolata e gradata negli effetti, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, non è dunque un dato neutro ai fini della corretta esegesi delle norme infine stabilizzate all’interno del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, ma, anzi, è circostanza che rappresenta un imprescindibile vincolo per l’interprete e, dunque, alla luce di queste coordinate esegetiche, che deve essere ricostruito anche il significato della disposizione introdotta nella seconda parte del comma 3 bis dell’articolo menzionato con la legge di conversione del D.L. n. 18.

Ciò posto, rispetto al momento della remissione alle Sezioni Unite, sull’interpretazione della suddetta disposizione, la Cassazione osservava come si fosse formato un orientamento nella giurisprudenza di legittimità posto che non solo era stata depositata la motivazione della sentenza n. 25222/2020, evocata anche nella nota della Prima Sezione, ma si erano aggiunte numerose altre pronunzie che avevano preso posizione sull’ambito di operatività della norma.

La sentenza, Sez. 5, n. 25222 del 14/07/2020, ha affermato il principio per cui la sospensione del corso della prescrizione nel giudizio di legittimità, prevista dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 3 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, si applica ove sussistano congiuntamente le condizioni per cui il procedimento sia pervenuto nella cancelleria della Corte di cassazione nel periodo tra il 9 marzo ed il 30 giugno 2020 e sia rimasto pendente nel medesimo periodo, in quanto non ancora definito.

Secondo la pronunzia in esame una diversa interpretazione della norma, volta a ritenere applicabile la causa di sospensione in presenza alternativamente di uno dei due requisiti menzionati, colliderebbe anzitutto con il dato testuale, univoco, nel richiedere, invece, contestualmente la sussistenza di entrambi come agevolmente ricavabile dal ricorso alla congiunzione “e” utilizzata dal legislatore per collegare le locuzioni “nei procedimenti dinanzi alla Corte di cassazione” e “pervenuti alla cancelleria della Corte nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020“.

In secondo luogo, il ritenere applicabile la sospensione anche ai procedimenti pervenuti anteriormente all’intervallo temporale indicato, per la Suprema Corte, priverebbe di senso la sua stessa previsione e, in particolare, l’individuazione del suo termine iniziale.

Infine, sempre ad avviso delle Sezioni Unite, svuotata di significato risulterebbe altresì l’introduzione, allo stesso art. 83, comma 12 ter, di una ulteriore ipotesi di sospensione della prescrizione per il caso in cui, in deroga al regime di trattazione dei ricorsi in assenza delle parti, il procedimento venga rinviato per rispettare il termine per la formulazione dell’istanza di discussione orale e quest’ultima venga effettivamente proposta dal difensore del ricorrente.

Ad analoghe conclusioni, tra l’altro, era pervenuta anche Sez. 3, n. 25808 del 3/7/2020, la quale, oltre ad evocare il vincolo rappresentato dalla lettera della norma, osservava come il requisito della “pervenienza” non possa che assumere un proprio rilievo autonomo rispetto a quella della “pendenza” risultando funzionale a delimitare l’ambito di operatività del comma 3 bis al solo giudizio di legittimità.

In definitiva, secondo i giudici della Terza Sezione, accedere ad una esegesi che riduca la formulazione legislativa ad una sorta di endiadi, estendendo conseguentemente l’ambito di applicazione della norma, si risolverebbe in una evidente “interpretatio abrogans di tale ulteriore e, appunto, autonomo requisito“.

Sulla stessa linea si erano inoltre espresse successivamente anche Sez. 5 n. 26215 del 13/07/2020 e Sez. 5 n. 26217 del 13/07/2020 in quanto entrambe tali decisioni, con motivazione sovrapponibile, avevano escluso l’applicabilità della disciplina del comma 3 bis ai procedimenti pervenuti in Cassazione prima del 9 marzo 2020 richiamando, oltre al dato testuale, la natura speciale e di sfavore della disposizione insuscettibile di interpretazioni estensive o addirittura analogiche.

In tal senso le due sentenze cercavano altresì di ricostruire la ragione per cui il legislatore abbia sentito la necessità di precisare che i procedimenti a cui si applica la sospensione siano ancora “pendenti” presso il giudice di legittimità rinvenendola nel fatto che il comma menzionato è stato introdotto nell’art. 83, solo in sede di conversione del D.L. n. 18 del 2020, e, cioè, in un momento in cui il periodo individuato dallo stesso era in parte già trascorso.

Conseguentemente il legislatore avrebbe inteso escludere l’operatività della sospensione nei riguardi di quei procedimenti che, pur pervenuti dopo il 9 marzo 2020, al 30 aprile dello stesso anno (data di entrata in vigore della L. n. 27 del 2020), risultassero già definiti ai sensi dei commi 3 e 9 dello stesso articolo.

Facendo leva esclusivamente sul dato testuale, si era infine posta nella scia della sentenza n. 25222/2020 e aveva dunque escluso l’indiscriminata applicabilità dell’art. 18, comma 3 bis, a tutti i procedimenti pendenti in Cassazione anche Sez. 5, n. 28558 del 14/7/2020.

Accanto a tali decisioni, si riteneva necessario dar conto dell’esistenza di altre pronunce che, sia pure senza motivare espressamente sul punto, non avevano fatto applicazione dell’art. 83, comma 3-bis, apparentemente recependo in maniera implicita la tesi secondo cui il requisito della “pendenza” deve coesistere con quello della “pervenienza” entro il periodo emergenziale: in questo senso tra le altre possono essere ricordate Sez. 5, n. 29967 del 15/9/2020; Sez. 5, n. 25944 del 9/7/2020; Sez. 5, n. 30434 del 13/07/2020; Sez. 2, n. 26590 dell’11/09/2020; Sez. 2, n. 25980, del 16/07/2020; Sez. 2, n. 25967, del 16/07/2020; Sez.1, n. 31013 del 30/10/2020.

A questo filone sembra potersi iscrivere anche Sez. 2, n. 22506 del 16/07/2020, la quale aveva sostenuto che la sospensione della decorrenza dei termini, prevista dalla L. n. 27 del 2020, per il periodo ricompreso tra il 9 marzo ed il 30 giugno 2020, si applica a tutti i procedimenti pendenti e, quindi, anche a quelli per i quali l’udienza di trattazione era stata già fissata per una data successiva al periodo emergenziale posto che tale principio era stato affermato con riguardo alle ipotesi di sospensione della prescrizione previste dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83, ma diverse da quella a cui si riferisce la questione controversa.

Non di meno la sentenza rilevava come nella specie il ricorso, oltre ad essere stato originariamente fissato ad un’udienza successiva al 30 giugno 2020, fosse pervenuto anteriormente al 9 marzo dello stesso anno e di conseguenza appariva evidente che il Collegio avesse implicitamente escluso proprio per tale ragione la possibilità di ritenere comunque sospeso il termine di prescrizione ai sensi del comma 3 bis dello stesso articolo.

Allo stato non si registravano, invece, pronunzie che avessero accolto l’interpretazione suggerita nella nota con la quale la Sezione remittente aveva sollevato la questione non potendosi peraltro escludere che in alcuni casi i singoli Collegi, pur condividendo tale opzione, avessero deciso di sospendere la decisione del ricorso in attesa della decisione delle Sezioni Unite.

Orbene, a questo punto della disamina, le Sezioni Unite affermavano come l’interpretazione sostenuta dal primo indirizzo richiamato dovesse essere condivisa riflettendo l’effettivo significato della disposizione di cui si tratta, sia che si guardi alla lettera della medesima, che al suo inquadramento sistematico.

Con riguardo al primo profilo era anzitutto da escludersi per la Corte che il testo della norma si presti a letture diverse da quella fatta propria dalla giurisprudenza citata.

Come correttamente osservato nella sentenza n. 25222/2020, e nelle altre che avevano hanno seguito la scia, la sua formulazione è inequivocabile nel cumulare il requisito della pendenza del procedimento a quello dell’essere lo stesso pervenuto alla cancelleria della Corte tra il 9 marzo ed il 30 giugno 2020 posto che i sintagmi che li esprimono solo collegati dalla congiunzione “e” in evidente funzione copulativa come agevolmente si desume dal fatto che, altrimenti, il secondo attributo, secondo la forma sintattica dispiegata dal legislatore, risulterebbe sostanzialmente privo di un soggetto.

Da ciò se ne concludeva che il termine “pervenuti” non identifica una diversa classe di procedimenti, autonoma rispetto a quella dei “pendenti“, ma concorre con tale ultimo aggettivo alla selezione dei procedimenti assoggettati alla speciale disciplina dell’art. 83, comma 3 bis.

Nè risultava essere decisiva in senso contrario l’obiezione sollevata nel provvedimento di remissione e nella memoria del Procuratore Generale per cui, aderendo pedissequamente al dato testuale, avrebbe dovuto concludersi che lo stesso si sarebbe risolto in una inutile endiadi essendo ovvio che i procedimenti pervenuti sono solo per questo anche pendenti.

Ed infatti, seguendo tale logica, anche aderendo all’alternativa interpretazione proposta, ad avviso della Suprema Corte, il testo normativo si rivelerebbe allo stesso modo ridondante posto che, altrettanto ovviamente, il riferimento ai procedimenti pendenti sarebbe stato parimenti esaustivo comprendendo anche quelli pervenuti nell’intervallo temporale perimetrato dalla disposizione e la cui previsione, per la sua specificità (soprattutto avuto riguardo alla definizione della data iniziale dell’intervallo) è invece ben più complicato imputare ad una mera svista od enfasi del legislatore.

A conferma di tali conclusioni, deponeva poi per la Corte proprio il fatto che il legislatore ha limitato la sospensione della prescrizione ai soli procedimenti sopravvenuti esclusivamente nel periodo in cui non sarebbe stato in ogni caso possibile trattarli in forza delle disposizioni contenute nell’art. 83, commi 1, 2, 6 e 7, evidenziando in tal modo la precisa intenzione di rimanere fedele agli stessi criteri che fin dall’inizio hanno informato gli interventi finalizzati ad arginare l’emergenza pandemica.

Ulteriore argomento che confortava la soluzione condivisa, per gli Ermellini, può essere poi tratto dal confronto con la disposizione contenuta nel primo periodo dello stesso comma 3 bis la quale utilizza il solo aggettivo “pendenti” per qualificare i procedimenti in carico alla Corte di Cassazione cui si applica rivelando la piena consapevolezza del carattere esaustivo del termine in questione da parte del legislatore ed ancor più avvalorando la ricostruzione del significato che si è attribuito alla lettera del secondo periodo dello stesso comma.

Se, dunque, la formulazione del comma 3 bis dovesse per forza ritenersi pleonastica, non è dubbio per gli Ermellini che, alla luce della già chiarita costruzione sintattica della frase normativa, la lettura che ne ha fornito finora la giurisprudenza di legittimità deve ritenersi corretta mentre quella alternativa proposta dal provvedimento di remissione si traduce in una forzatura del dato testuale e in un sostanziale tradimento della volontà del legislatore.

In realtà, sempre ad avviso dei giudici di piazza Cavour, il testo della norma non deve necessariamente essere considerato frutto di una superfetazione in quanto il comma 3 bis, è stato introdotto dalla legge di conversione del D.L. n. 18, entrata in vigore il 30 aprile 2020 e, dunque, quando era trascorsa già quasi la metà dell’intervallo temporale che individua i procedimenti a cui si applica la disposizione.

Del resto, la precisazione che quelli pervenuti alla Corte di Cassazione tra il 9 marzo ed il 30 giugno 2020 debbano essere anche pendenti si spiega, per il Supremo Consesso, con l’intenzione del legislatore di limitare la sospensione del decorso della prescrizione a quelli ancora effettivamente gravanti sul ruolo del giudice di legittimità e non anche a quelli che, seppure pervenuti dopo l’inizio del menzionato intervallo temporale, siano stati già trattati al momento dell’entrata in vigore della legge, rientrando nelle categorie di cui all’art. 83, comma 3, e la cui decisione abbia comportato il rinvio per qualunque ragione al merito.

Ciò posto, la Suprema Corte riteneva tra l’altro come le conclusioni raggiunte attraverso l’interpretazione letterale trovassero peraltro conferma pure sul piano sistematico.

Invero, l’ottica di ricercare un ragionevole bilanciamento tra le misure introdotte per contenere l’impatto dell’emergenza pandemica ed il sacrificio dei diritti individuali in materia penale ha portato il legislatore dell’urgenza a contenere la sospensione della prescrizione in periodi ragionevolmente brevi e, soprattutto, predefiniti, sottraendo così la sua durata alla discrezionalità organizzativa dei singoli uffici giudiziari tenuto conto altresì del fatto che tale soluzione è stata altresì ideata al fine di ancorare la dilazione del decorso della prescrizione all’effettivo riflesso sul singolo procedimento del disposto congelamento dell’attività giudiziaria.

Inoltre, per la Cassazione, è fuori discussione in proposito che l’art. 83, commi 4 e 9, hanno trovato immediata applicazione anche nei procedimenti già pendenti in Cassazione al momento dell’entrata in vigore del D.L. n. 18 dal momento che, volendo aderire alla tesi sostenuta nel provvedimento di remissione, non sarebbe agevole spiegare perchè, successivamente, il legislatore si sarebbe deciso a dedicare anche agli stessi ed in maniera indiscriminata una disciplina diversa, peraltro in contraddizione con l’impostazione originaria dell’intervento normativo, tesa, come detto, a paralizzare il corso della prescrizione solo per il tempo corrispondente all’effettiva impossibilità di procedere alla loro trattazione.

Peraltro, estendendo l’ambito di operatività della norma, dovrebbe sospendersi il corso della prescrizione anche ai procedimenti pervenuti ben prima del 9 marzo in cui sia stata fissata udienza per una data successiva al 30 giugno 2020 e questa sia stata poi regolarmente celebrata il che renderebbe difficilmente giustificabile sul piano della ragionevolezza l’intervento normativo risultando evidente che in tale ipotesi – tutt’altro che residuale ovviamente – l’emergenza pandemica non ha avuto alcun concreto riflesso sui tempi della decisione del procedimento.

Una volta che se ne fornisca, invece, la lettura qui condivisa, la disposizione introdotta nella seconda parte del comma 3 bis, ad avviso dei giudici di legittimità ordinaria, trova la sua razionale spiegazione nell’esigenza di contenere gli effetti delle misure adottate per arginare l’emergenza pandemica sui procedimenti pervenuti alla Corte di Cassazione successivamente al loro dispiegamento atteso che le udienze per quelli incardinati precedentemente ed ancora pendenti sono state fissate entro il 30 giugno – e dunque ne è stato disposto il rinvio ai sensi dei commi 1 e 7, lett. g), dello stesso art. 83 – ovvero, come detto, nei mesi successivi.

L’esigenza di procedere con ragionevole tempestività ad una nuova fissazione delle udienze rinviate e di consentire comunque la trattazione – per quanto possibile – delle altre nella data originariamente individuata ha, quindi, evidenziato, per la Corte la concreta impossibilità di un’altrettanto tempestiva fissazione dei ricorsi sopravvenuti o, quantomeno. di una larga parte dei medesimi.

Così interpretata, la nuova previsione si integra in maniera armonica e razionale nel sistema normativo introdotto all’art. 83, svolgendo una funzione complementare a quella delle altre norme dello stesso articolo in funzione del contenimento del rischio che, per effetto di quelle contenute nei commi 1 e 7, lett. g), possa divenire inevitabile il maturare della prescrizione nei procedimenti sopravvenuti dopo il 9 marzo 2020, cioè un rischio indubbiamente concreto nel grado di legittimità – cui ordinariamente il procedimento approda a distanza di anni dalla consumazione del reato e dunque quando il decorso della prescrizione si è già in larga misura compiuto – e che giustifica la scelta di limitare l’ambito di operatività della norma ai soli procedimenti pervenuti alla Cassazione.

L’indagine sistematica, quindi, per la Suprema Corte, conferma i risultati raggiunti attraverso quella letterale e consente conclusivamente di ribadire che effettivamente la disposizione prevista nella seconda parte dell’art. 83, comma 3 bis, si applica esclusivamente ai procedimenti che siano pervenuti alla cancelleria della Corte di Cassazione nell’intervallo temporale dalla stessa individuato e che siano ancora pendenti al momento dell’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 18 del 2020, che l’ha introdotta.

In proposito si stimava poi opportuno fare una precisazione imposta proprio dalla genesi della disposizione in esame.

A tal proposito veniva rilevato che non è dubbio che la sospensione della prescrizione da essa configurata riguarda esclusivamente i reati oggetto dei procedimenti pervenuti alla Corte a partire dal 9 marzo e fino al 30 giugno 2020 ma il momento in cui il corso della prescrizione rimane sospeso dipende però da quello in cui è entrata in vigore la L. n. 27 del 2020 poichè una causa di sospensione non può decorrere da una data antecedente alla legge che la prevede.

Conseguentemente, se l’effetto sospensivo si produce a partire dal 30 aprile 2020 con riferimento ai procedimenti pervenuti prima di questa data mentre per gli altri si verifica dal momento in cui sono giunti alla cancelleria della Corte e cioè da quello in cui effettivamente vengono ad identificarsi con il tipo di procedimento individuato dalla norma, a maggior ragione, naturalmente, va escluso che la sospensione di cui si tratta trovi applicazione quando il termine di prescrizione risulti essersi già definitivamente compiuto al momento in cui procedimento perviene al giudice di legittimità.

In forza delle considerazioni svolte veniva pertanto affermato il seguente principio: “la sospensione della prescrizione di cui al D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 3 bis, conv. nella L. n. 27 del 2020, opera esclusivamente con riferimento ai procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione e che siano pervenuti alla cancelleria della stessa nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020“.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante in quanto con essa viene affermato il principio di diritto secondo cui la sospensione della prescrizione di cui al D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 3 bis, conv. nella L. n. 27 del 2020, opera esclusivamente con riferimento ai procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione e che siano pervenuti alla cancelleria della stessa nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020.

Le Sezioni Unite, quindi, per effetto di questa pronuncia, delimitano il margine temporale entro cui può operare la sospensione della prescrizione di cui al D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 3 bis, conv. nella L. n. 27 del 2020 atteso che, come appena enunciato, essa opera solo per quei procedimenti: a) pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione; b) siano pervenuti alla cancelleria della stessa nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché chiarisce la portata applicativa di questa disposizione legislativa, dunque, non può che essere positivo.

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