La diffusione di materiale pedopornografico è reato anche qualora il minore sia consenziente

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Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, attraverso la sent. n. 4616/2022, si sono pronunciate relativamente alla questione della configurabilità del reato di pornografia minorile di cui all’art. 600-ter c.p., a fronte di una condotta di produzione di materiale pedopornografico realizzata con il consenso del minore ultraquattordicenne in un contesto che lo veda protagonista di una relazione con una persona maggiorenne.

Analisi della normativa vigente

La sentenza in esame si apre con un’analisi, pedissequamente svolta dal collegio giudicante, dei numerosi interventi legislativi che hanno interessato la formulazione dell’art. 600-ter c.p., necessario riferimento normativo ai fini della risoluzione della questione. Per ciò che interessa in questa sede, la l. n. 172/2012 ha modificato la disposizione come segue: “è punito con la reclusione da 6 a 12 anni e con la multa da Euro 24.000 a Euro 240.000 chiunque 1) utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico; 2) recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto”. Sono stati altresì aggiunti due commi alla norma, rispettivamente il sesto – ai sensi del quale è punibile con la reclusione fino a 3 anni e con la multa da Euro 1.500 ad Euro 6.000 chiunque assista ad esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto – ed il settimo, contenente la definizione di pornografia minorile, ivi intesa come “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore di anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”.

L’art. 600-ter c.p., dunque, delinea una pluralità di ipotesi di reato tra loro diverse ed autonome, ordinate sulla base di un criterio gerarchico decrescente e tali da realizzare un microsistema normativo idoneo a tutelare quanto più possibile il minore, prevedendo esplicitamente sanzioni comminabili non solo a chi abbia con lo stesso un rapporto finalizzato alla produzione del materiale erotico, ma anche chi – abusando indirettamente della persona offesa – alimenti con la propria domanda l’offerta e la mercificazione del materiale medesimo. Ne consegue che la norma, nella sua attuale formulazione, risulti completa e priva di imprecisioni od indeterminatezze di sorta; ciononostante, ai fini della soluzione delle questioni contenute nell’ordinanza di rimessione, la Corte ha ritenuto imprescindibile soffermarsi e chiarire il significato dell’espressione “produce materiale pornografico” contenuta nell’art. 600-ter co.1 c.p.

Posto dunque che ad essere sanzionabile è la produzione di materiale pedopornografico da parte di un soggetto (minorenne o maggiorenne) diverso rispetto alla vittima (non è quindi penalmente rilevante l’autoproduzione di detto materiale), le Sezioni Unite hanno rilevato come, con la sentenza n. 51815/2018, esse stesse avessero affermato la non necessarietà – ai fini dell’integrazione del reato in esame – di un accertamento del concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto, in considerazione della pervasiva influenza delle tecnologie di comunicazione e del sistematico ricorso all’utilizzo di applicazioni idonee alla condivisione di contenuti, ribaltando nettamente quanto in precedenza affermato dalla nota sentenza Bove: in una realtà in cui la captazione delle immagini pornografiche non ne implicava obbligatoriamente la successiva diffusione, gli ermellini avevano infatti – erroneamente – ritenuto che l’espressione “produce materiale pornografico” di cui all’art. 600-ter co. 1 n.1 c.p., stesse ad indicare che, ai fini della configurazione del reato, ne fosse necessaria la divulgazione attraverso la sua immissione nel mercato della pedofilia, rimanendo così escluse dal dettato normativo e prive di tutela tutte le ipotesi nelle quali mancasse il pericolo concreto di circolazione del materiale acquisito. 

“Utilizzazione” del minore e consenso

Proseguendo nel proprio ragionamento, con specifico riferimento al consenso del minore (centrale nella pronuncia in questione) le Sezioni Unite hanno ribadito quanto già affermato nella sent. n. 51318/2018, e cioè che “il discrimine tra il penalmente rilevante ed il penalmente irrilevante […] non è il consenso del minore in quanto tale, ma la configurabilità dell’utilizzazione, laddove il termine sta ad indicare la condotta attraverso cui taluno manovra, adopera, strumentalizza o sfrutta il minore servendosene e facendone uso nel proprio interesse. Qualora ricorra l’utilizzazione del minore, quindi, il consenso da lui eventualmente prestato non ha alcuna valenza, esimente o scriminante che sia: in ipotesi di tal fatta, esso non può essere ritenuto libero, presumendosi invece coartato dall’adulto abusante. È così spiegata l’assenza, al co.1 dell’art. 600-ter c.p., di qualsivoglia riferimento al concetto di consenso del minore, cui invece è attribuita grande rilevanza dalle Convenzioni internazionali, le quali ravvisano proprio in questo la linea scriminante tra condotta lecita ed illecita dell’adulto.

Ciò posto, le SU hanno ritenuto che, in questa sede, il concetto di “utilizzazione del minore” dovesse essere declinato in modo armonico e coerente rispetto alle disposizioni normative contenute nel Titolo XII, Capo III “dei delitti contro la libertà individuale”, Sezione I “dei delitti contro la personalità individuale” e Sezione II “dei delitti contro la libertà personale”, rientrando in una comune logica di sistema sorretto dalle medesime finalità[1], vale a dire in primis quella di assicurare che la determinazione del minore – nelle scelte di natura sessuale – sia del tutto libera e priva di condizionamento alcuno.

Tra le altre, la principale disposizione atta a definire i limiti del consenso del minore in relazione alla sua sfera sessuale è l’art. 609-quater c.p., così come recentemente modificato dalla l. n. 238/2021. Essa consente di evidenziare infatti una serie di contesti – diversi ed ulteriori rispetto a quelli già indicati all’art. 609-bis c.p. – all’interno dei quali la volontà del minore infrasedicenne debba necessariamente ritenersi coartata: in particolare, qualora il colpevole sia l’ascendente, il genitore, il tutore od altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia il minore sia affidato o con cui questi abbia un rapporto di convivenza.

A quanto appena detto, l’art. 20 l. n. 238/2021 ha aggiunto un’ulteriore previsione dopo l’art. 609-quater co.2 c.p., anch’essa rilevante nel contesto in esame, con riguardo all’abuso della fiducia del minore: “fuori dai casi previsti dai commi precedenti, chiunque compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni quattordici, abusando della fiducia riscossa presso il minore o dell’autorità od influenza esercitata sullo stesso in ragione della propria qualità o dell’ufficio ricoperto o delle relazioni famigliari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalità, è punito con la reclusione fino a 4 anni”.

L’art. 609-quater c.p., dunque, consente di evidenziare una serie di contesti all’interno dei quali sia da ritenersi esclusa una libera volontà del minore e, quindi, nel caso in cui ricorrano le condizioni di approfittamento, abuso di potere o di fiducia al momento della richiesta alla persona offesa di riprendere o registrare fotogrammi della sua sfera sessuale, si rientra incontrovertibilmente in ipotesi di utilizzazione del minore. Da ultimo, il contesto normativo del Capo III, Titolo XII impone di aggiungere all’elenco delle ipotesi di vizio della volontà del minore quella in cui il reo gli prometta od offra del denaro a fronte della ripresa delle immagini pornografiche, approfittando di un suo eventuale stato di indigenza o necessità economica.

Rientrano altresì nella nozione di “utilizzazione” del minore le condotte induttive; già in precedenza, infatti, la Cassazione aveva affermato come essa non si manifesti solo quando l’agente realizzi in prima persona la produzione di materiale pedopornografico, ma anche quando induca o istighi il minore in tal senso [2] facendo insorgere in questi il relativo proposito, o rafforzando l’intento già esistente, implicando tali condotte una strumentalizzazione del minore, sebbene l’azione finale sia posta in essere solo da quest’ultimo. [3]

Princìpi conclusivi affermati dalla Corte

Punto rilevante – nonché conclusivo – della disamina operata dalle Sezioni Unite è quello riguardante la differenza intercorrente tra il consenso eventualmente prestato dal minore al compimento dell’atto sessuale e quello prestato ai fini della sua registrazione o ripresa. Il primo, infatti, non include di per sé il secondo che – seppur riconducibile anch’esso all’autonomia sessuale del minore – ne costituisce invece un quid pluris: che il minore abbia dunque prestato il proprio consenso al compimento di atti sessuali (e supponendo che esso sia scevro da qualunque coercizione), non implica in automatico quello alla registrazione dei medesimi o a riprese di natura pornografica; è, in conclusione, da ritenersi necessario che il minore acconsenta anche a quest’ulteriore attività, considerando le normali reticenze che egli potrebbe avanzare a fronte, ad esempio, del più o meno fondato timore che il materiale realizzato possa successivamente essere diffuso ed inoltrato a terze persone. Il consenso del minore, inoltre, deve avere anche riguardo alla successiva conservazione delle immagini da chi le ha acquisite nell’ambito della relazione o del rapporto consumatosi, richiamandosi a tal proposito anzitutto le disposizioni inerenti alla tutela dei dati personali; prescindendo da ciò, la conservazione delle immagini senza che vi sia consenso da parte del minore in esse raffigurato incide sulla valutazione dell’utilizzazione del medesimo. Se questi non sia infatti concorde alla custodia delle immagini, tale dissenso inficia anche l’iniziale consenso alle riprese, concordate sulla base di premesse diverse relativamente ad un aspetto più che rilevante: la conservazione del materiale prodotto e la sua non immediata eliminazione, infatti, rendono concreto il rischio di una sua successiva diffusione. Risulta dunque necessaria, anche in ordine a quest’ultimo aspetto, una minuziosa valutazione del libero consenso del minore, che deve risultare privo di qualsivoglia interferenza dell’adulto derivante da abusi od approfittamento delle condizioni in cui versi la vittima.

A conclusione del loro ragionamento, le Sezioni Unite hanno affermato quanto segue: “si ha utilizzazione del minore allorquando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psicofisica dello stesso”.

Inoltre, più specificamente in relazione alla condivisione del materiale sessualmente esplicito, la Corte ha sottolineato come non rilevi che la richiesta di divulgazione provenga dal minore stesso: egli, infatti, non può mai validamente prestare il proprio consenso in tal senso – come già giustamente affermato all’interno della sent. n. 5522/2019 – in quanto si presume che non abbia raggiunto un livello di maturità tale da permettergli una valutazione realmente consapevole in ordine alle conseguenze negative derivanti dalla mercificazione del suo corpo attraverso la condivisione del materiale realizzato con terze persone; l’interesse tutelato, come si evince dalla formulazione dell’art. 600-ter c.p., non è peraltro meramente individuale, bensì assume una rilevanza collettiva, riguardando la totalità dei minori anche se non direttamente coinvolta. Attraverso la norma sopra citata, infatti, è evidente l’intento del legislatore di scongiurare il pericolo che i minori siano ridotti a strumento di soddisfazione sessuale, avvicinandosi ad un fenomeno degradante come quello della pedopornografia anche per effetto di una desensibilizzazione nei confronti del medesimo, scaturente dalla visione delle immagini e delle riprese già in circolazione.

A fronte di ciò, ed al fine di rispondere alla questione presente all’interno dell’ordinanza di rimessione, la Corte ha sancito un altro importantissimo principio di diritto, secondo cui “la diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore di anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600-ter c.p., commi 3 e 4, ed il minore non può prestare consenso ad essa”.

[1] Così, SU Cass. Pen., sent. n. 4616/2022

[2] Così, Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 2252/2020

[3] Così, Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 26862/2019

Sentenza collegata

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Dott.ssa Martina Maci

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