Confisca di prevenzione: prova nuova rilevante ai fini della revocazione

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In cosa consiste la prova nuova rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 in tema di confisca di prevenzione

    Indice

  1. Il fatto
  2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
  3. La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione
  4. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite
  5. Conclusioni

1. Il fatto

La Corte di Appello di Caltanissetta rigettava una istanza di revocazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca dei beni disposta nei confronti del proposto con decreto emesso dalla Corte di Appello di Palermo, divenuto irrevocabile.

In particolare, nel rigettare l’istanza di revocazione, la Corte di Appello aveva escluso la ricorrenza dell’ipotesi prevista dall’art. 28, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011, che contempla il caso della scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento, affermando che la consulenza tecnica espletata sulla base delle due aerofotogrammetrie non poteva essere ritenuta una prova nuova nei termini indicati dalla richiamata disposizione normativa, perché essa ben avrebbe potuto essere richiesta nell’ambito del relativo giudizio e, nel fare ciò, si erano addotte le seguenti argomentazioni: a) la prova nuova, anche se preesistente, è solo quella scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, o quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento; b) l’istituto di cui all’art. 28 d.lgs. cit. va assimilato a quello della revocazione di cui all’art. 395 cod. proc. civ. e non a quello della revisione di cui all’art. 630 cod. proc. c) quest’ultima disposizione va richiamata solo quanto alle forme che disciplinano il procedimento, poiché il legislatore non ha rinunciato a formulare una casistica autonoma delle ipotesi nelle quali può essere chiesta la revocazione della confisca; d) la necessità della scoperta successiva non implica una mera pregressa dimenticanza, dovendosi scoraggiare i comportamenti negligenti o tattici dell’interessato, laddove solo la forza maggiore potrebbe consentire di attribuire rilievo all’elemento di prova deducibile, ma non dedotto.

Ciò posto, avverso siffatto provvedimento era proposto ricorso per Cassazione deducendo un unico motivo incentrato sulla violazione dell’art. 28, comma 1, lett. a), d.lgs. cit..

Nel dettaglio, nel richiamare il contenuto della richiesta di revocazione, i ricorrenti censuravano la soluzione interpretativa seguita dalla Corte territoriale secondo cui, nonostante la genesi della revocazione della confisca risulti evidentemente derivata dall’istituto della revisione, gli interessi tutelati dalla prima sarebbero di diversa natura e presupporrebbero spazi di deduzione probatoria più stringenti rispetto alla seconda, al punto da escludere le prove deducibili, ma non dedotte nel giudizio, rilevandosi al contempo che siffatta interpretazione della richiamata disposizione normativa, eccessivamente ancorata al dato letterale ed immotivatamente volta a negare rilevanza alle prove preesistenti, ma non dedotte, avrebbe comportato un ingiustificato sacrificio del diritto di proprietà, specie a fronte della decisività della prova allegata a sostegno dell’istanza di revocazione.

2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione

A sua volta la Quinta Sezione Penale rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite, prospettando l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza.

In particolare, nel richiamare le divergenti posizioni espresse dalla giurisprudenza di legittimità in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 28, comma 1, lett. a), d.lgs. cit., l’ordinanza di rimessione poneva preliminarmente in rilievo la considerazione secondo la quale tale disposizione ha costituito una novità rispetto al previgente assetto normativo poiché la legge 27 dicembre 1956, n. 1423, non conteneva alcuna previsione in ordine all’ipotesi delle sopravvenienze probatorie rispetto al giudicato di prevenzione.

Precisato ciò, si notava come, una volta introdotta nel sistema la disposizione di cui all’art. 28 d.lgs. cit., si siano formati due diversi orientamenti giurisprudenziali riguardo al profilo di novità della prova.

Nel dettaglio, alcune pronunce hanno seguito un’interpretazione restrittiva del concetto di “novità“, qualificando come “nuove“, e dunque rilevanti ai fini della revoca della confisca, solo le prove sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione, con l’esclusione di quelle ivi deducibili ma, per qualsiasi motivo, non dedotte (Sez. 2, n. 28305 del 25/06/2021; Sez. 2, n. 28941 del 24/09/2020; Sez. 6, n. 26341 del 09/05/2019; Sez. 5, n. 3031 del 30/11/2018; Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017; Sez. 6, n. 44609 del 6/10/2015; Sez. 2, n. 11818 del 07/12/2012).

Un diverso orientamento, invece, ha mostrato una maggiore apertura al concetto di novità della prova, ricollegandovi anche quella preesistente, ma non valutata neanche implicitamente, poiché scoperta dopo che la statuizione sulla confisca è divenuta definitiva (Sez. 1, n. 10343 del 05/11/2020; Sez. 5, n. 148 del 04/11/2015).

Pertanto, sulla base di tali considerazioni, la Quinta Sezione penale rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite per stabilire se, in tema di revocazione della confisca disposta ai sensi dell’art. 28 d.lgs. n. 159 del 6 settembre 2011, debbano includersi nelle “prove nuove” decisive sopravvenute alla conclusione del procedimento anche le prove preesistenti che, sebbene deducibili nel giudizio, non siano però state dedotte e perciò valutate, in conformità alla nozione di prova nuova elaborata ai fini della revisione nel procedimento penale.


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3. La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione

Nella sua requisitoria il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione osservava che la revocazione della confisca di prevenzione, seppure storicamente riconducibile al rimedio della revisione della sentenza penale di condanna e “plasmata” su tale modello, non può, a seguito dell’introduzione del nuovo statuto delle misure di prevenzione, ritenersi “sovrapponibile“, quanto all’ampiezza dei mezzi deducibili, a quell’istituto atteso che la revisione, diversamente dalla revocazione della confisca, è esperibile in ogni tempo e la relativa richiesta può essere fondata sulla deduzione di prove che, pur accessibili e dunque sottoponibili alla valutazione del giudice nel procedimento ordinario, abbiano assunto consistenza soltanto dopo la sua conclusione mentre deve escludersi che, nell’ambito del rimedio previsto dall’art. 28 d.lgs. cit. sia possibile riaprire la sequenza procedimentale sfociata nell’emissione di decreto di confisca definitivo in ragione dell’allegazione di prove che il proposto ed i terzi interessati avrebbero potuto e dovuto allegare tempestivamente, le nuove prove, che rendono ammissibile il rimedio straordinario, sono quelle che non era stato possibile dedurre nel procedimento, perché riguardanti fatti decisivi e mezzi per dimostrarli all’epoca ignoti, e non anche quelle che, pur accessibili e dunque sottoponibili alla valutazione del giudice nel procedimento, abbiano assunto consistenza dopo la sua conclusione anche semplicemente con l’esperimento delle corrispondenti iniziative difensive (Sez. 1, n. 1649 del 28/09/2021).

Il Procuratore generale, in definitiva, concludeva nel senso che, al quesito di diritto formulato dall’ordinanza di rimessione, dovesse darsi risposta negativa, con la conseguente declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.

4. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite – dopo avere chiarito quale fosse il quesito si cui si chiedeva il loro intervento («Se, ai fini della revocazione della confisca ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. n. 159 del 2011, nella nozione di “prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento” debbano includersi, o meno, anche le prove preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene deducibili in tale sede, non siano però state dedotte, e perciò valutate, in conformità alla nozione di prova nuova come elaborata ai fini della revisione nel procedimento penale»), illustrato i due orientamento nomofilattici elaborati in subiecta materia e dopo avere esaminato i tratti salienti che connotato l’istituto preveduto dall’art. 28 del d.lgs. n. 159/2011 – ritenevano di dovere aderire al primo indirizzo ermeneutico citato in precedenza per le seguenti ragioni.

Si evidenziava a tal proposito prima di tutto che, pur a fronte della riconducibilità della revocazione al modello storico della revisione della condanna penale e della comune prospettiva finalistica entro cui tali istituti si collocano in vista della predisposizione di mezzi di impugnazione idonei a rimuovere provvedimenti la cui adozione costituisce il risultato di un errore giudiziario, le divergenze obiettivamente rilevabili non solo dal confronto degli elementi testuali del quadro normativo, ma anche dalla complessiva disamina dei presupposti sostanziali delle materie regolate, dei criteri di giudizio e della natura degli interessi rispettivamente tutelati, per il Supremo Consesso, non consentono di avallare l’insieme delle conseguenze che si vogliono far discendere dall’impostazione ermeneutica seguita dal primo orientamento.

Premesso ciò, si notava oltre tutto come l’interpretazione estensiva della nozione di novità della prova in materia di revisione della condanna penale non possa essere automaticamente trasposta nell’area della prevenzione patrimoniale, sino ad abbracciare l’intero ambito di applicazione del diverso istituto della revocazione della confisca, rilevando in senso contrario, anzitutto, il dato testuale della norma che ne disciplina i casi, là dove si prevede, con specifico riferimento al momento della “scoperta” delle prove nuove (art. 28, comma 1, lett. a), cit.), che esse, oltre ad essere connotate dal carattere della decisività, siano “sopravvenute alla conclusione del procedimento“.

In tema di revisione, invero, il disposto di cui all’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. è costruito, invece, su una proposizione “avversativa” e presuppone una maggiore ampiezza operativa rispetto alla richiamata previsione dell’art. 28 d.lgs. cit., poiché fa riferimento non solo al caso della sopravvenienza del novum dopo la condanna ma anche, in via alternativa, all’ipotesi della scoperta di prove nuove, così ammettendo espressamente che le prove nuove siano non solo quelle sopravvenute dopo la condanna, ma anche quelle già prima esistenti, delle quali, tuttavia, sia stata acquisita la conoscenza in epoca successiva, fermo restando che la diversità delle relative formule lessicali, pur sottile nella individuazione delle rispettive aree semantiche, non può di per sé indurre ad escludere dalla nozione di prova nuova rilevante ai fini della revocazione l’ipotesi della sopravvenuta conoscenza di prove preesistenti, essendo il carattere di novità della prova ontologicamente rinvenibile anche nel caso della successiva “scoperta” di prove preesistenti, tenuto conto altresì del fatto che l’affine architettura normativa dei due istituti non li rende pienamente sovrapponibili, né consente di dilatare il dato letterale del disposto normativo, sino ad includere nel novum probatorio decisivo per la revocazione l’ipotesi in cui gli elementi di prova non siano solo quelli preesistenti, ma addirittura quelli già acquisiti nell’ambito del procedimento di prevenzione (Sez. 6, n. 26341 del 09/05/2019).

Del resto, ad avviso della Suprema Corte, al prodursi di tale effetto di generale assimilazione ostano le connotazioni strutturali del richiamato quadro normativo, che rispetto al procedimento di prevenzione espressamente prevede la sopravvenienza della prova nuova come condizione indefettibile al fine di giustificare la revocazione della decisione definitiva sulla confisca e, dunque, non è possibile prescindere, ai fini dell’attuazione del rimedio revocatorio previsto per la confisca di prevenzione, dalla necessaria condizione che gli elementi di prova non siano stati già acquisiti nel corso del relativo procedimento.

Al riguardo, peraltro, gli Ermellini osservavano come nessun effetto preclusivo possa trarsi dalla formulazione lessicale del testo normativo dell’art. 28, lett. a), d.lgs. cit., poiché il lemma ivi utilizzato (“scoperta“) comprende non solo la successiva formazione di elementi cognitivi prima inesistenti o in alcun modo oggettivamente rilevabili, ma anche la possibilità di una successiva acquisizione alla conoscenza – casualmente o a seguito di ricerca – di dati o fatti prima incolpevolmente ignorati, fermo restando che la correttezza di tale soluzione ermeneutica è agevolmente rinvenibile anche alla luce della disciplina normativa della seconda ipotesi di revocazione di cui all’art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. cit., che il legislatore delinea facendo riferimento ad uno specifico tipo di prova documentale (le sentenze penali definitive) per il quale si prevede, ancor più chiaramente, che possa essere integrato, in via alternativa, da quelle “sopravvenute” ovvero da quelle soltanto “conosciute” in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione (sebbene preesistenti), così introducendo plasticamente una differenziazione tra le due connotazioni, accostate in forma disgiunta per la loro ontologica diversità (Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017).

Sopravvenute“, di conseguenza, per la Corte di legittimità, devono ritenersi le sentenze penali formate dopo la conclusione del provvedimento di prevenzione, mentre “conosciute in epoca successiva” sono quelle ad esso preesistenti, rilevandosi al contempo che questa linea discretiva, tracciata dal legislatore tra i profili inerenti, da un lato, alla materiale formazione della prova dopo la definizione del procedimento di prevenzione e, dall’altro lato, alla sopravvenuta conoscenza del pregresso dato probatorio [individuato nell’art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. cit. con riferimento all’elemento documentale rappresentato dalle sentenze penali definitive], esplica la sua valenza, sul piano dell’interpretazione logico-sistematica dell’istituto, anche in relazione al caso enucleato nella precedente lett. a) della medesima disposizione normativa, ove in linea generale si fa riferimento, ai fini della delimitazione dell’ambito di applicazione dello stesso rimedio impugnatorio, a qualsiasi tipologia di “prova nuova” visto che non può ragionevolmente ipotizzarsi una diversa connotazione dell’incidenza del novum probatorio ai fini della rimozione del giudicato di prevenzione a seconda della specifica tipologia di prova che venga concretamente in rilievo nelle diverse evenienze al riguardo configurabili (si tratti di prova documentale o meno e, all’interno della prima, solo delle sentenze e non di altri documenti).

Sulla base del raffronto fra le due disposizioni, per la Suprema Corte, deve inoltre ritenersi come il legislatore abbia inteso specificare, in relazione alla peculiare ipotesi di revocazione prevista nell’art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. cit., la nozione di decisività della prova, stabilendo la regola secondo cui anche le sentenze penali definitive, come qualsiasi altro tipo di prova nuova, devono essere idonee a determinare, alla luce dei fatti ivi accertati, l’esclusione “in modo assoluto” dell’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca, trattandosi di una regola, questa, il cui contenuto è sostanzialmente identico a quello che in linea generale deve caratterizzare “ogni caso” di revocazione (ex art. 28, comma 2, d.lgs. cit.), dovendo la relativa richiesta essere comunque finalizzata a “dimostrare il difetto originario” dei presupposti per l’applicazione della misura ablativa.

D’altronde, veniva per di più osservato che, nella medesima prospettiva ermeneutica, incentrata sulla rilevanza parimenti attribuita dalla normativa convenzionale alle prove noviter repertae e a quelle noviter cognitae, si colloca la linea interpretativa tracciata dalla Corte EDU con riferimento al disposto normativo enunciato nell’art. 4, par. 2, Prot. 7 CEDU, che consente «[…] la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta».

Nella sua elaborazione giurisprudenziale la Corte di Strasburgo ha in effetti affermato che nell’art. 4 Prot. 7 CEDU è rinvenibile una chiara distinzione tra il fatto di perseguire e giudicare una persona una seconda volta per il medesimo fatto, vietato dal primo paragrafo di tale disposizione (ne bis in idem), e la riapertura del processo in circostanze eccezionali, prevista dal suo secondo paragrafo (Corte EDU, Grande Camera, 08/07/2019, Mihalache c. Romania, n. 54012/10; Corte EDU, 12/07/2007, Vedernikova c. Russia, n. 25580/02; Corte EDU, 18/01/2007, Bulgakova c. Russia, n. 69524/01).

Ai fini della riapertura di un processo, in base alla richiamata norma convenzionale, quindi, rilevano, quali condizioni previste in via alternativa e non cumulativa, sia i fatti sopravvenuti che le nuove rivelazioni, ovvero la constatazione di un vizio fondamentale verificatosi nel corso della precedente procedura e, al riguardo, in particolare, la Corte EDU ha precisato che le circostanze relative al caso, già esistenti durante il processo, ma rimaste ignote al giudice e conosciute solo successivamente alla definizione del processo, costituiscono le “nuove rivelazioni“.

Le circostanze relative al caso, che insorgono solo successivamente al processo, integrano invece la nozione di “fatti sopravvenuti“.

Una soluzione ermeneutica, quella così individuata nella giurisprudenza convenzionale, che appare, per la Corte, concretamente idonea a garantire, se applicata in relazione alla riapertura dei procedimenti in materia di prevenzione patrimoniale, una ragionevole e non sproporzionata incidenza limitatrice sul piano della tutela del diritto di proprietà, fermo restando che entrambe le nozioni ricomprendono le nuove prove relative a “fatti pregressi” e rilevano, al fine di giustificare la possibile riapertura del procedimento, solo se idonee ad “inficiare” la sentenza intervenuta nei confronti della persona interessata.

V’è del resto, sempre ad avviso delle Sezioni Unite, da considerare, poi, la diversa connotazione che l’esigenza di stabilità della decisione rispettivamente assume nel cd. giudicato di prevenzione e in quello penale, con particolar riguardo alle peculiari connotazioni dello statuto probatorio del procedimento di prevenzione, che presenta rilevanti tratti di autonomia rispetto al giudizio penale (Sez. 6, n. 921 del 11/11/2014) atteso che sono diversi: a) l’oggetto dell’accertamento, che nel primo è costituito dalla pericolosità del soggetto, desunta da specifiche circostanze; b) i relativi strumenti di verifica, attraverso la individuazione di circostanze aventi rilevanza indiziante ai fini della pericolosità; c) la finalità del procedimento, che nel giudizio di prevenzione è quella di garantire la sicurezza collettiva, non la repressione punitiva per i fatti di reato accertati.

A tal proposito, in particolare, i giudici di piazza Cavour facevano presente che: a) l’azione di prevenzione può essere esercitata anche indipendentemente dall’esercizio dell’azione penale (art. 29 d.lgs. cit.); b) l’art. 18 d.lgs. cit. disciplina la prosecuzione dell’azione di prevenzione o l’esercizio di essa, in caso di decesso del soggetto socialmente pericoloso, nei confronti dei suoi eredi o aventi causa (Sez. U, n. 12621 del 22 dicembre 2016, dep. 2017); c) il sopravvenuto giudicato penale di assoluzione non integra automaticamente la causa di revocazione di cui all’art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. cit., atteso che la misura di prevenzione patrimoniale può essere revocata solo ed esclusivamente se il processo penale abbia accertato, nel merito, l’assoluta estraneità del proposto ai fatti reato sulla base dei quali, essendo stato ritenuto pericoloso, era stata ordinata la confisca (Sez. 1, n. 13638 del 16/01/2019; Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019).

Pertanto, alla luce di tale autonomia di rapporti fra i due modelli cognitivi ben si giustifica, per il Supremo Consesso, la diversa valenza che può assumere la nozione di decisività del novum probatorio nel giudizio di revisione e in quello di revocazione della confisca dato che, nel giudizio di revisione, l’acquisizione anche di una sola prova può giustificare la rimozione del giudicato di condanna, se la stessa risulti idonea, di per sé ovvero unitamente a quelle già valutate, a far sorgere almeno un ragionevole dubbio sulla colpevolezza del condannato e, quindi, la  prova nuova deve condurre all’accertamento, in termini di ragionevole sicurezza, di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio (Sez. 5, n. 34515 del 18/06/2021).

Nel procedimento di revocazione, di contro, la valutazione relativa alla decisività della nuova prova si assesta su una soglia più avanzata poiché la stessa può essere apprezzata, attesa la connotazione finalistica che deve orientarne la richiesta per effetto della previsione di cui all’art. 28, comma 2, d.lgs. cit., solo nella prospettiva della sua stretta correlazione all’accertamento di un vizio genetico del provvedimento definitivo, ossia di un difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura patrimoniale.

Sotto altro, ma connesso profilo, le Sezioni Unite stimavano necessario svolgere ulteriori considerazioni alla luce del disposto di cui all’art. 28, comma 3, d.lgs. cit. la cui formulazione prevede che la richiesta di revocazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei casi che la consentono.

Nell’ipotesi descritta dalla richiamata lett. a), dunque, per la Corte, è possibile dedurre prove nuove, in relazione a fatti preesistenti o successivi alla conclusione del procedimento di prevenzione, a condizione che venga osservato il su indicato limite temporale e, in forza di tale sbarramento, deve quindi ritenersi che la scoperta della prova nuova costituisca, per l’interessato, il momento da cui decorre il termine per opporre alla definitiva statuizione della confisca elementi decisivi che nel corso del giudizio di prevenzione non era stato possibile allegare, nel rispetto delle cadenze individuate dal particolare modello procedimentale previsto nelle disposizioni di cui agli artt. 20, 23 e 24 d.lgs. cit.: al proposto ed ai terzi interessati chiamati ad intervenire nel procedimento è infatti consentito, in presenza delle condizioni previste dall’art. 20, comma 1, d.lgs. cit., di allegare qualsiasi elemento di prova idoneo a giustificare la legittima provenienza dei beni incisi dalla misura ablativa.

L’udienza camerale viene celebrata nel contraddittorio delle parti, dopo il sequestro, proprio al fine di consentire agli interessati l’allegazione di ogni possibile deduzione al riguardo.

Ne discende per la Cassazione che l’istituto della revocazione non può costituire lo strumento per riaprire tardivamente una sequenza procedimentale ormai conclusa, deducendo quelle stesse prove che il proposto e gli interessati ben avrebbero potuto allegare in udienza (Sez. 1, n. 21537 del 11/03/2021) fermo restando che, dalla complessiva ricostruzione del disegno normativo, può trarsi la conclusione secondo cui le nuove prove che rendono ammissibile il rimedio straordinario devono individuarsi in quelle che non è stato possibile dedurre nell’ambito del procedimento, perché riguardanti fatti decisivi e mezzi per dimostrarli incolpevolmente sconosciuti al momento del giudizio.

La particolare disciplina delle deduzioni e l’intero assetto normativo del procedimento di prevenzione non consentono, quindi, di ritenere l’istituto della revocazione sovrapponibile – quanto all’ampiezza degli elementi di prova deducibili – alla ipotesi della revisione del giudicato penale prevista, in caso di nuove prove, dall’art. 630, comma 1, lett. c), cit. dal momento che, diversamente dalla prima, la revisione è esperibile al di fuori di limiti di ordine temporale, potendo rilevare per tale ultimo rimedio non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile ad un comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario (da ultimo v. Sez. 5, n. 12763 del 09/01/2020).

La previsione di uno stretto termine decadenziale è dunque, per la Corte di legittimità, strutturalmente incompatibile con il caso di una prova introdotta nel procedimento ma, in ipotesi, neppure implicitamente valutata, dal momento che, in siffatta evenienza, sarebbe impossibile individuare il “dies ad quem” da cui far scattare l’operatività del termine (Sez. 6, n. 26341 del 09/05/2019,).

La scelta del legislatore – come emerge anche dalla relazione illustrativa del codice antimafia – trova pertanto la sua ratio giustificativa nell’intento di realizzare lo scopo di una tendenziale stabilizzazione del giudicato in materia di prevenzione patrimoniale, consolidandone gli effetti nel massimo grado possibile e, all’interno di tale impostazione ricostruttiva, la previsione della perentorietà del termine costituisce, come osservato dalla dottrina, una reazione del legislatore al pericolo di una “potenziale eternità dell’actio restitutoria”, con la conseguente esigenza di sottrarre la certezza dei rapporti giuridici alla precarietà derivante dal rischio di una “inesauribile” rimessa in discussione delle statuizioni di confisca definitiva attraverso il meccanismo di reiterate richiese di revoca.

Nel disegno emergente dalla riforma del 2011, pertanto, la revocazione della confisca si discosta sia dall’istituto, pur affine, della revisione della condanna penale, sia dall’antecedente storico rappresentato dall’introduzione per via giurisprudenziale della revoca in funzione di revisione, in forza del decisivo profilo inerente alla tassativa previsione di un limite di ordine temporale ai fini della rivedibilità di una decisione che, in tesi, potrebbe parimenti costituire il frutto di un errore giudiziario, in ragione della preminenza discrezionalmente accordata dal legislatore al valore della certezza dei rapporti giudici insorgenti dal provvedimento definitivo di confisca.

Da tale impostazione ricostruttiva discende, quindi, per i giudici di piazza Cavour, quale logico corollario, che la revocazione della confisca di prevenzione può ritenersi legittimata dalle sole prove che siano ad essa sopravvenute (nel senso della loro materiale formazione), ovvero da quelle decisive che vengano incolpevolmente scoperte dopo che la misura sia divenuta definitiva (essendo, pertanto, originariamente preesistenti).

Non rilevano, pertanto, le prove deducibili ma non dedotte nell’ambito del procedimento di prevenzione.

Le prove nuove che rendono ammissibile il rimedio straordinario sono quelle formate dopo la conclusione del procedimento di prevenzione, ovvero quelle che non è stato possibile dedurvi, perché riguardanti fatti decisivi e mezzi per dimostrarli all’epoca incolpevolmente sconosciuti, e non anche quelle che, pur accessibili e dunque sottoponibili alla valutazione del giudice nel procedimento, abbiano assunto consistenza o un particolare significato dopo la sua conclusione, anche semplicemente sulla base dell’esperimento delle corrispondenti iniziative difensive (Sez. 1, n. 1649 del 28/09/2021; Sez. 2, n. 28305 del 25/06/2021; Sez. 1, n. 21537 del 11/03/2021; Sez. 6, n. 27689 del 18/05/2021; Sez. 1, n. 12762 del 16/02/2021; Sez. 6, n. 2190 del 29/10/2020; Sez. 2, n. 28941 del 24/09/2020; Sez. 6, n. 17854 del 27/05/2020; Sez. 6, n. 26341 del 09/05/2019; Sez. 5, n. 3031 del 30/11/2017; Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017), assumendo in tal senso un rilievo centrale il tenore letterale del disposto di cui all’art. 28, comma 3, d.lgs. cit., che non lascia l’interessato libero di far valere ad libitum la prova decisiva non dedotta e non valutata in precedenza, ma stabilisce, a pena di inammissibilità, un termine massimo per la formulazione della richiesta di revocazione della confisca definitiva, strettamente ancorato al verificarsi di uno dei casi previsti nel primo comma della richiamata disposizione.

La necessità di una successiva “scoperta” implica, pertanto, la incompatibilità di tale situazione con un precedente comportamento privo dell’ordinaria diligenza da parte dell’interessato, o con un suo atteggiamento meramente omissivo, ai fini della puntuale allegazione di elementi di prova nell’ambito del procedimento di prevenzione concluso con il provvedimento di cui, in seguito, si chiede la revocazione.

In altri termini, se, per un verso, deve escludersi che il legislatore abbia inteso attribuire rilievo alle prove acquisite ma non valutate, per altro verso, deve ritenersi che quelle deducibili, ma non dedotte, possano supportare una richiesta di revocazione solo quando l’interessato adduca l’impossibilità di provvedere altrimenti per la riscontrata sussistenza di una “causa a lui non imputabile“, secondo la previsione espressamente dettata nell’art. 28, comma 3, d.lgs. cit..

Oltre a quanto sin qui esposto, si riteneva opportuno tra l’altro richiamare, sotto tale profilo, rispettivamente ai fini della verifica in ordine alle circostanze della successiva, incolpevole, scoperta di una prova preesistente, ovvero della corretta perimetrazione dei limiti di deducibilità della prova nell’ambito del procedimento di prevenzione, le tradizionali nozioni di caso fortuito (ossia ogni evento non evitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo) e di forza maggiore (intesa come fatto umano o naturale al quale non può opporsi una diversa determinazione volitiva e che, per tale ragione, è irresistibile), secondo i principi al riguardo stabiliti dalla Cassazione (Sez. U, n. 14991 del 11/04/2006,), che attribuisce al caso fortuito la caratteristica della “imprevedibilità“, individuando invece la nota distintiva della forza maggiore nell’elemento della “irresistibilità” posto che, per sua stessa definizione, la forza maggiore integra una situazione che, da un lato, non deve essere imputabile in nessuna maniera all’agente, dall’altro lato deve presentare un carattere assoluto, cioè non vincibile né in alcun modo superabile e tale non può affatto considerarsi quella situazione che, con una normale manifestazione di impegno e diligenza, avrebbe potuto essere altrimenti superata (Sez. 5, n. 965 del 28/02/1997) fermo restando che grava, comunque, sul richiedente che adduca un’ipotesi di forza maggiore l’onere di provare un impedimento assoluto, ossia tale da rendere vano ogni sforzo umano, che derivi da cause esterne a lui non imputabili (Sez. 1. n. 12712 del 28/02/2020) mentre connotazione comune ad entrambe le nozioni è rappresentata, in ogni caso, dalla “inevitabilità” del fatto, dovendo trattarsi di situazioni oggettivamente non riconducibili a comportamenti posti in essere dal soggetto interessato, salva l’ipotesi in cui questi risultino condizionati da fattori esterni in termini assoluti (Sez. 6, n. 26833 del 24/03/2015).

Ciò posto, era infine notato come, alla fondatezza della soluzione ermeneutica accolta nel caso di specie, non possa validamente opporsi l’argomento basato sui pretesi effetti negativi della attuale delimitazione normativa dell’ambito di ricorribilità per cassazione del provvedimento di confisca, sul rilievo che, ai sensi dell’art. 10 d.lgs. cit., il sindacato della Suprema Corte è ammesso solo per violazione di legge sicché la possibilità di un pieno controllo sul giudizio rischierebbe di rimanere pregiudicata dall’omessa completa valutazione di elementi di prova pur esistenti, ma non esaminati o, comunque, incongruamente vagliati dal giudice di merito trattandosi di un rischio, questo, da escludere, ove si consideri che, ai fini della perimetrazione dei vizi censurabili in sede di legittimità, nella nozione di violazione di legge viene ricompresa anche la motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014), che ricorre quando il provvedimento impugnato omette del tutto di confrontarsi con la prospettazione di un elemento potenzialmente decisivo, il quale, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016).

Le Sezioni Unite, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, formulavano il seguente principio di diritto: “In tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di esso, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva; non lo è, invece, quella deducibile e non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento, salvo che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore”.

5. Conclusioni

Fermo restando che, come è noto, l’art. 28, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011 dispone che la “revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione può essere richiesta (…) in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento”, con la pronuncia qui in commento, le Sezioni Unite hanno chiarito in cosa consistono siffatte prove.

Difatti, in tale sentenza, componendosi un pregresso contrasto giurisprudenziale, queste Sezioni, come appena visto, sono giunte a postulare che, in tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di esso, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva; non lo è, invece, quella deducibile e non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento, salvo che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare se vi siano effettivamente delle prove in grado di potere chiedere la revocazione in tali casi.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta decisione, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.

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