Cosa accade se le circostanze attenuanti concorrono con circostanze aggravanti?

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Cosa accade se le circostanze attenuanti concorrono con circostanze aggravanti soggette a giudizio di comparazione ai sensi dell’art. 69 cod. pen. e con una circostanza che invece non lo ammette in modo assoluto

Indice: 

Il fatto

La Corte di Appello di Milano confermava una decisione di condanna pronunciata dal Tribunale di Milano, in composizione monocratica, con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, gli imputati venivano condannati per il reato di concorso in furto in abitazione aggravato, ex artt. 110, 624-bis, 625 n. 2, 4 e 5, 61 n. 5 cod. pen..

In particolare, uno di questi imputati, dopo essersi introdotta con l’inganno all’interno dell’abitazione di una persona anziana, fingendosi una impiegata della banca incaricata di verificare il numero seriale delle banconote detenute, in procinto di essere dichiarate fuori corso legale e convincendo in tale modo la persona offesa a mostrarle il denaro contenuto in cassaforte, si impossessava di una busta di banconote ivi custodita, sostituendola con un’altra contenente schedine del lotto, con le aggravanti di avere commesso il fatto con destrezza, con l’uso di un mezzo fraudolento, in tre persone e dell’avere profittato dell’età avanzata della persona offesa (circostanza tale da ostacolare la privata difesa); reato commesso in concorso con gli altri due imputati che avevano, tra l’altro, svolto il ruolo di “palo” ed atteso la complice all’esterno del palazzo per assicurarle la fuga.

Ciò posto, il Tribunale di Milano riconosceva le circostanze attenuanti generiche ad uno degli imputati, anche in ragione della sua incensuratezza, sia agli altri, per il loro corretto comportamento processuale ed in considerazione del risarcimento dei danni materiali e morali patiti dalla vittima, effettuato prima del giudizio; le circostanze attenuanti venivano dichiarate equivalenti alla circostanza aggravante della recidiva qualificata ex art. art. 99, quarto comma, cod. pen. fermo restando che il computo della pena veniva effettuato partendo dalla pena base per il reato di furto aggravato di cui agli artt. 624-bis e 625 cod. pen., in guisa tale che la pena veniva determinata in anni tre, mesi uno e giorni venti di reclusione ed euro 800,00 di multa per uno di questi accusati, e, anni tre e mesi quattro di reclusione ed euro 1.000,00 di multa per un degli altri due ed anni due di reclusione ed euro 540,00 di multa per il terzo accusato, con il beneficio per quest’ultimo della sospensione condizionale della pena.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato era proposto ricorso per Cassazione da parte dei difensori di taluni degli imputati.

In particolare, uno di essi deduceva i seguenti motivi: 1) difetto di motivazione del provvedimento o comunque motivazione apparente, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per mancata risposta alle argomentazioni mosse con il secondo motivo di appello rubricato: «erroneo bilanciamento e/o erronea applicazione delle riconosciute attenuanti generiche con le contestate ritenute circostanze aggravanti ad effetto speciale» e «in ogni caso, violazione dell’articolo 624-bis, ultimo comma, cod. pen.»; 2) erronea applicazione del disposto degli artt. 62-bis, 69, 99, quarto comma, 624-bis, quarto comma e 625 cod. pen..

A sua volta il difensore di uno degli altri restanti due imputati adduceva le susseguenti doglianze: I) nullità della sentenza per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, in particolare degli artt. 178, comma 2, lett. c) e 179, comma 1, cod. proc. pen., per assenza del difensore dell’imputato all’udienza di appello; II) erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata qualificazione del fatto-reato come ipotesi di truffa; III) violazione di legge per erronea applicazione della legge penale in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 cod. pen..

Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione

Con apposita nota, il Coordinatore dell’Ufficio spoglio della Quinta Sezione penale segnalava al Presidente Aggiunto, per l’eventuale esercizio dei poteri di cui all’art. 610 comma 2, cod. proc. pen., la trattazione dei ricorsi in ragione del contrasto interpretativo oggetto di uno dei motivi di ricorso proposti relativo alla possibilità che le circostanze attenuanti, riconosciute in bilanciamento equivalenti con le circostanze aggravanti non privilegiate, producano in ogni caso l’effetto di attenuazione della pena, calcolata tenendo conto dell’aggravamento conseguente alla ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti privilegiate, sottratte a bilanciamento ex art. 69 cod. pen..

Nel provvedimento appena menzionato, si esponevano sinteticamente gli orientamenti giurisprudenziali in contrasto.

Un primo indirizzo esegetico, espresso da Sez. 5, n. 47519 del 17/09/2018, al quale la sentenza impugnata e le deduzioni della difesa del ricorrente facevano esplicito richiamo, ha affermato il principio di diritto, così massimato: «in tema di furto in abitazione, qualora più circostanze aggravanti ed attenuanti, soggette a giudizio di comparazione, concorrano con la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui agli art. 624-bis, terzo comma e 625 cod. pen. (esclusa dal giudizio di bilanciamento), deve essere previamente effettuato il giudizio di comparazione ex art. 69 cod. pen. e nel caso in cui risultino prevalenti una o più circostanze ad effetto speciale torna applicabile, anche quanto alla aggravante “privilegiata” di cui agli art. 624-bis, terzo comma e 625 cod. pen., il regime del cumulo giuridico di cui all’art. 63, quarto comma, cod. pen.».

Nella citata decisione è osservato, in particolare, che, nella ipotesi di concorso tra aggravante privilegiata ed ulteriori circostanze aggravanti e attenuanti, occorre procedere prima al giudizio di comparazione ai sensi dell’art. 69 cod. pen. tra circostanze «bilanciabili e, sul risultato così ottenuto, applicare le ulteriori regole di calcolo dettate per l’aggravante privilegiata» ritenendosi al contempo che non sia consentito prescindere dalla comparazione tra circostanze disomogenee suscettibili di bilanciamento, perché, diversamente, «si perverrebbe al risultato incongruo per cui la sola presenza di una circostanza “privilegiata” determinerebbe una estensione del regime di “privilegio” a tutte le altre circostanze coesistenti, sottraendole al bilanciamento.»

Oltre a ciò, l’orientamento de quo ha altresì ravvisato una identità di ratio rispetto al caso di concorso eterogeneo nel quale sia coinvolta una circostanza attenuante “privilegiata” richiamandosi la soluzione espressa dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010) con riferimento alla cosiddetta attenuante della “dissociazione attuosa” (art. 8 del d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991 n. 203) avendo costoro hanno affermato che, in caso di riconoscimento di tale attenuante ad effetto speciale, ove ricorrano altre circostanze attenuanti in concorso con circostanze aggravanti soggette al giudizio di comparazione, nella determinazione della pena il giudizio di bilanciamento deve sempre precedere l’applicazione della attenuante privilegiata, tenuto conto altresì del fatto che tale opzione ermeneutica, in adesione ai principi già espressi da Sez. U n. 38518 del 27/11/2014, ha affermato che «l’applicazione di criteri di bilanciamento degli elementi circostanziali del reato ex art. 69 cod. pen. è pregiudiziale rispetto alla regola di cui all’art. 63, quarto comma, cod. pen.» e, pertanto, in caso di concorso tra circostanze disomogenee, l’eventuale riconoscimento di una circostanza attenuante, ove valutata nel giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza rispetto ad una o più circostanze aggravanti non privilegiate, non può comportare alcuna diminuzione della pena determinata tenendo conto dell’aggravante privilegiata.

Precisato ciò, l’Ufficio Spoglio remittente ha oltre tutto osservato che, tra i possibili esiti della comparazione, quello che presenta maggiore criticità, è rappresentato proprio dal giudizio di equivalenza tra la circostanza attenuante e una o più circostanze aggravanti non privilegiate, con la conseguente neutralizzazione degli effetti sulla determinazione della pena, nel cui computo non si può prescindere dalla contemporanea sussistenza di una aggravante privilegiata.

Detto questo, veniva fatto presente che, invece, un opposto e più recente orientamento – maturato successivamente alla proposizione del ricorso – espresso da Sez. 5, n. 19083 del 26/02/2020, sempre in tema di furto in abitazione ex art. 624-bis cod. pen., si è posto in consapevole dissenso con il precedente, essendo stata in tale ultima decisione prospettata una diversa soluzione, preservando l’incidenza degli effetti dell’applicazione delle eventuali circostanze attenuanti riconosciute – anche ove assorbite nel giudizio di comparazione con le circostanze aggravanti non privilegiate – sulla pena determinata in via autonoma per effetto della concorrente circostanza aggravante privilegiata (di cui agli artt. 624-bis, terzo comma e 625 cod. pen.), sottratta al preliminare giudizio di comparazione; in altri termini, alla stregua di tale orientamento nomofilattico, il riconoscimento di un’eventuale circostanza attenuante, posta in bilanciamento con una o più circostanze aggravanti non privilegiate, comporterà comunque – tranne che sia ritenuta minusvalente – una diminuzione della pena autonomamente determinata in forza della aggravante privilegiata, esclusa per legge dalla comparazione.

La soluzione proposta da Sez. 5, n. 19083/2020, rilevavano le Sezioni Unite, è fondata su una interpretazione costituzionalmente orientata della norma introduttiva del “privilegio” che disarticola il carattere unitario del giudizio di bilanciamento, assegnando valore preminente alle autonome regole che governano il concorso delle circostanze aggravanti speciali con altre circostanze di segno opposto, strumentali alla determinazione del disvalore complessivo dell’azione delittuosa, allo «scopo di quantificare la pena nel modo più aderente al caso concreto».

Pertanto, in virtù di tale costrutto giuridico, sono stati in tal modo circoscritti gli effetti del giudizio di bilanciamento tra le attenuanti e le aggravanti non assistite dal “privilegio” così da consentire poi alle attenuanti, in caso di giudizio di equivalenza, di «incidere sulla commisurazione della pena determinata in riferimento all’aggravante privilegiata – a maggior ragione quando tale esito sia normativamente imposto, come nel caso previsto dal quarto comma dell’art. 69 cod. pen.», rilevandosi al contempo che, in ossequio alla deroga normativamente imposta all’unitarietà del giudizio di bilanciamento ed alla necessità di far riferimento alla disciplina normativa prevista per l’aggravante “blindata” nel rapporto con le attenuanti riconosciute, «l’art. 624-bis comma 4 cod. pen. per l’appunto prevede che sulla pena determinata ai sensi del terzo comma dello stesso articolo debba essere applicata la diminuzione relativa a queste ultime».

Di conseguenza, in ragione di siffatto contrasto, il Presidente Aggiunto assegnava il ricorso alle Sezioni Unite penali.

La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione

Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, mediante il deposito di articolate note d’udienza, argomentava circa la correttezza del computo effettuato dai giudici di merito dovendosi escludere che le circostanze attenuanti, riconosciute in giudizio di equivalenza con circostanze aggravanti non privilegiate, possano produrre un ulteriore effetto di attenuazione della pena come risultante dal computo dell’aggravamento dovuto a circostanze aggravanti privilegiate.

Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite sul quesito proposto

Prima di entrare nel merito della questione, le Sezioni Unite procedevano ad una loro delimitazione nei seguenti termini: “Se le circostanze attenuanti, pur riconosciute in giudizio di equivalenza nel bilanciamento con circostanze aggravanti non privilegiate, debbano produrre in ogni caso il proprio effetto di attenuazione della pena risultante dal computo dell’aggravamento dovuto a circostanze aggravanti privilegiate, contestate e ravvisate”.

Premesso ciò, una volta fatto presente che il problema, da doversi trattare, era quello di stabilire se, una volta che siano riconosciute le circostanze attenuanti, queste debbano in concreto operare, incidendo sulla pena del reato aggravato da una circostanza aggravante privilegiata, anche nel caso in cui vi siano circostanze aggravanti non ugualmente privilegiate, cioè aggravanti destinate ad essere sottoposte al bilanciamento ex art. 69 cod. pen. con le attenuanti, gli Ermellini rilevavano che la norma, che doveva essere presa in considerazione per la soluzione della questione, è, innanzitutto la disposizione di cui all’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen., introdotta dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, che regola il funzionamento della circostanza aggravante privilegiata, stabilendo che, in caso di furto in abitazione (e furto con strappo) aggravato dalle circostanze di cui all’art. 625 cod. pen, le attenuanti (salvo che si tratti delle attenuanti di cui agli artt. 98 e 625-bis cod. pen.) si computano, in assenza di altre aggravanti, solo dopo la determinazione della pena per il reato aggravato.

Di conseguenza, i giudici di piazza Cavour notavano che la circostanza aggravante prevista nell’art. 624-bis cod. pen. va inclusa nella categoria delle circostanze aggravanti privilegiate, ossia a c.d. blindatura forte dato che non può essere individuata una categoria unitaria di circostanze privilegiate, dal momento che le stesse sono poste a tutela di beni giuridici differenti, sia pure considerati primari, rientrando, infatti, tra le circostanze privilegiate, quelle previste in tema di terrorismo (art. 1, terzo comma, d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15, art. 280, quinto comma cod. pen. e, dal 2003, art. 280-bis, quinto comma, cod. pen.), di falsità finalizzate all’indebito conseguimento di contributi statali disposti a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici in Irpinia (art. 15-quater, d.l. 26 novembre 1980, n. 776 convertito dalla legge 22 dicembre 1980 n.874), di reati di stampo mafioso (art. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, ora art. 416-bis.1 cod. pen.), di contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-ter, terzo comma, d.P.R. 23 gennaio 1973, n.43, ove però il regime di privilegio è limitato al caso di concorso tra le aggravanti di cui alla lettera a del secondo comma della medesima disposizione e le circostanze attenuanti generiche), così come, alla medesima categoria, è riconducibile l’aggravante prevista dall’art. 7, d.l. 31 dicembre 1991, n. 419, convertito dalla legge 8 febbraio 1992, n. 172, in relazione ai delitti elencati nell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., nel caso in cui il determinatore sia stato il genitore che esercita la potestà genitoriale o il fratello o la sorella.

Oltre a ciò, veniva fatto altresì presente che, se nel 1993 il legislatore ha accordato il particolare “privilegio” nel giudizio di bilanciamento anche alla circostanza aggravante della discriminazione razziale (art. 3, d.l. 26 aprile 1993, n. 112, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, ora art. 604-ter cod. pen.), nel 2002 sono state “blindate” anche le circostanze aggravanti del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (art. 12, comma 3-quater, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) e, successivamente, quelle relative ai reati di riduzione in schiavitù, di tratta e di prostituzione e pornografia minorile (art. 600-sexies cod. pen., ora 602-ter, decimo comma, cod. pen.), ai reati transnazionali (art. 4, legge 16 marzo 2006, n.146, ora art. 61-bis, cod. pen.), alla recidiva reiterata (art. 69, quarto comma, cod. pen.), ai reati di omicidio e lesioni colpose causate da chi in versa in uno stato di ebbrezza alcolica in violazione della normativa del Codice della strada (art. 590-quater, cod. pen.) e all’illecito utilizzo delle tecniche di sperimentazione sugli embrioni (art. 13, legge 19 febbraio 2004, n. 40), fermo restando che il catalogo delle circostanze aggravanti dotate di “privilegio“, del cui regime edittale viene garantita ex lege l’applicazione nel confronto con concorrenti circostanze di segno opposto, è stato successivamente ampliato in modo significativo per effetto della legge 15 luglio 2009, n. 94, recante “disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, che le ha previste per i reati posti a tutela del patrimonio, in relazione a condotte aggressive particolarmente violente o insidiose, come nel caso delle ipotesi aggravate di rapina od estorsione, oppure nuovamente in tema di sicurezza stradale con riferimento a condotte di guida particolarmente pericolose per l’incolumità altrui (artt. 186, comma 2-sexies e 187, comma 1-quater, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 295).

Chiarito ciò, la Suprema Corte evidenziava, inoltre, da un lato, che, nella tipizzazione di una circostanza aggravante “privilegiata“, il legislatore enuncia il divieto di prevalenza e di equivalenza delle concorrenti circostanze attenuanti e dispone che «le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alla predetta Aggravante», dizione utilizzata anche nell’art. 624-bis, ultimo comma, cod. pen., applicato nel caso qui all’esame, dall’altro, che la formula normativa recepisce le indicazioni dettate dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 38 del 1985 e n. 194 del 1985, sentenze che hanno escluso la illegittimità costituzionale di un’aggravante “privilegiata” (nel primo caso, quella della finalità di terrorismo che l’art. 1, terzo comma, d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15 ha stabilito non sia bilanciabile con circostanze eterogenee; nel secondo quella prevista dall’art. 280, ultimo comma, cod. pen.), ritenendo che anche rispetto ad essa le circostanze attenuanti possono operare, non in virtù del bilanciamento — vietato a favore delle attenuanti – ma in virtù del disposto dell’art. 63, terzo comma, cod. pen., che, in caso di riconoscimento di circostanze ad effetto speciale, stabilisce che l’aumento o la diminuzione di pena conseguenti ad altre circostanze non operino sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta, ricordandosi a tal proposito contestualmente che il Giudice delle leggi ha offerto in tali occasioni anche un’interpretazione correttiva, finalizzata ad individuare un eventuale spazio di applicazione delle circostanze attenuanti nel caso di concorso con un’aggravante privilegiata, rimettendo al giudice l’alternativa se effettuare il bilanciamento, dall’esito vincolato ope legis in favore dell’aggravante, oppure non effettuarlo ed applicare congiuntamente gli aumenti e le diminuzioni di pena ex art. 63 cod. pen..

In particolare, secondo tale prospettazione, la discrezionalità del giudice attiene non al contenuto della valutazione comparativa delle circostanze, ma alla fase antecedente, ossia al momento della scelta se procedere o meno al giudizio di bilanciamento, posponendo l’operatività del vincolo normativo di prevalenza dell’aggravante “blindata” ad una fase successiva, fermo restando che nelle citate decisioni si sottolinea che il vincolo imposto dalla legge alla circostanza “privilegiata” altera il «perfetto equilibrio valutativo» fondato sulla possibilità per il giudice di addivenire ad uno dei tre esiti della valutazione comparativa (in termini di prevalenza, soccombenza o equivalenza), per cui tale giudizio non può più essere considerato obbligatorio, pena l’assoluta irrazionalità del sistema, ma facoltativo, con possibilità per il giudice di applicare disgiuntamente attenuanti ed aggravanti.

Ebbene, se, come già enunciato in precedenza, la norma cardine da applicare in caso di concorso tra circostanze eterogenee è l’art. 69 cod. pen. che prevede che il giudice effettui il giudizio di bilanciamento tra le stesse, concludendo per l’equivalenza, ovvero la prevalenza o minusvalenza delle circostanze attenuanti poste in bilanciamento con le circostanze aggravanti, si notava per di più che un vincolo alla discrezionalità del giudizio di bilanciamento previsto da tale disposizione è stato introdotto dalla legge dicembre 2005, n. 251 (nota come c.d. ex-Cirielli), che, modificando l’art. 69, quarto comma, cod. pen, ha stabilito il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alla recidiva reiterata, limitando la comparazione favorevole all’imputato alla sola equivalenza.

Da ciò se ne faceva discendere che la recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen. ha carattere di circostanza a “privilegio” parziale, ovvero a c.d. blindatura debole, nel senso che si sottrae al bilanciamento in termini di minusvalenza, ma ha resistenza parzialmente vincibile mediante la neutralizzazione del possibile aumento a seguito di un giudizio di equivalenza con le circostanze attenuanti.

A sua volta la disposizione dell’art. 63, terzo comma, cod. pen. stabilisce che in presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale — definite tali in quanto comportano un aumento della pena superiore ad un terzo – l’aumento (o la diminuzione) per altre circostanze concorrenti non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza stessa, con la precisazione, stabilita nel quarto comma della medesima disposizione, che, in caso si tratti di concorso tra circostanze aggravanti ad effetto speciale, vige la regola del computo obbligatorio della sola circostanza più grave, restando facoltativo un aumento per la meno grave, nei limiti di un terzo della pena.

Ebbene, premesse tali basi normative, a questo punto della disamina, per la Corte di legittimità, era necessario analizzare i fondamentali passaggi logici delle sentenze che hanno dato vita al contrasto, a seguito di una diversa valutazione delle scansioni temporali del procedimento di computo della pena per il reato di furto in abitazione, in presenza di circostanze aggravanti privilegiate con altri elementi circostanziali attenuanti.

Era quindi a tal proposito osservato come la decisione Sez. 5, n. 47519 del 17/09/2018, si ponga in continuità con l’indirizzo che esclude in radice ogni incidenza di circostanze attenuanti, “neutralizzate” da un precedente valutazione di equivalenza rispetto alle circostanze aggravanti, sul computo della pena indicata in relazione all’aggravante “privilegiata” visto che la sottrazione della circostanza aggravante “privilegiata” al bilanciamento, il quale opera solo tra le circostanze attenuanti e le circostanze aggravanti “non privilegiate” in modo assoluto, comporta che la pena determinata per effetto della aggravante “privilegiata” può essere diminuita solo nel caso in cui il giudizio di bilanciamento tra circostanze parimenti bilanciabili si sia concluso valutando prevalente la circostanza attenuante sulle aggravanti fermo restando che, per un verso, tale soluzione si muove nel rispetto della ratio sottesa alla previsione del “privilegio“, che è quella di impedire la neutralizzazione dell’elemento circostanziale, qualificante in misura aggravata la pena e dotato dal legislatore di particolare “resistenza“, attraverso il giudizio di bilanciamento con circostanze attenuanti e, quindi, secondo tale orientamento, la diminuzione della pena sull’entità di essa, risultante dall’aumento relativo alla aggravante privilegiata, opererebbe solo nel caso in cui l’attenuante risulti prevalente, per altro verso, la sentenza n. 47519 del 2018 precisa che, in ipotesi di furto in abitazione, «qualora più circostanze aggravanti ed attenuanti, soggette a giudizio di comparazione, concorrano con la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui agli art. 624-bis, terzo comma, e 625 cod. pen. (esclusa dal giudizio di bilanciamento), deve essere previamente effettuato il giudizio di comparazione ex art. 69 cod. pen. e nel caso in cui risultino prevalenti una o più circostanze ad effetto speciale torna applicabile, anche quanto alla aggravante “privilegiata” di cui agli artt. 624-bis, terzo comma e 625 cod. pen., il regime del cumulo giuridico di cui all’art. 63, quarto comma, cod. pen.» tenuto conto che, nella parte motiva, i giudici osservano che, in caso di concorso omogeneo con ulteriori aggravanti, va applicato il “cumulo giuridico” di cui all’art. 63, quarto comma, cod. pen., con facoltà del giudice di apportare un ulteriore aumento sulla pena stabilita per la circostanza più grave mentre, al contrario, in caso di concorso tra una circostanza aggravante “privilegiata” ed ulteriori circostanze aggravanti e attenuanti, il giudice deve procedere prima al giudizio di comparazione ai sensi dell’art. 69 cod. pen. tra le circostanze eterogenee bilanciabili, per poi applicare, sul risultato così ottenuto, le ulteriori regole di calcolo dettate per l’aggravante “privilegiata” atteso che, diversamente ragionando, «la sola presenza di una circostanza “privilegiata” determinerebbe una estensione del regime di “privilegio” a tutte le altre circostanze coesistenti, sottraendole al bilanciamento», ricordandosi a tale proposito che la giurisprudenza di legittimità ha già censurato l’estensione da parte del giudice di merito della deroga alla disciplina di cui all’art. 69 cod. pen., prevista per un’aggravante “privilegiata“, ad altra non “privilegiata” (così Sez. 4, n. 53280 del 21/09/2017, in riferimento all’aggravante “privilegiata” di cui all’art. 186, comma 2-sexies cod. strada), ribadendo che all’aumento della pena per la circostanza “privilegiata” deve far seguito la comparazione dell’aggravante ulteriore con le attenuanti riconosciute, che potranno ridurre la pena complessiva, solo in quanto ritenute prevalenti all’esito del giudizio di bilanciamento.

Ciò posto, gli Ermellini rilevavano come tale indirizzo sia stato confermato anche da Sez. 5, n. 15690 del 04/05/2020, Sez. 2, n. 29601 del 09/04/2019, (pronuncia relativa alla circostanza aggravante privilegiata di cui all’art. 628, terzo comma, n. 3-bis, cod. pen.) e Sez. 2, n. 36870 del 17/04/2018, sempre con riferimento al delitto di rapina commessa in luogo di privata dimora, così come, nel medesimo senso, si è pronunciata anche Sez. 5, n. 2484 del 5/11/2020, secondo la quale, «anche laddove il giudizio di bilanciamento avesse condotto al risultato più favorevole per l’imputato consentito dall’art. 69, ultimo comma, cod. pen., ossia quello dell’equivalenza, la pena avrebbe dovuto essere pari a quella conseguente all’applicazione del solo aumento previsto dall’art. 624-bis, terzo comma, cod. pen.».

Inoltre, nell’analizzare sempre tale orientamento nomofilattico, i giudici di piazza Cavour mettevano in risalto il fatto che il suo punto è costituito dal principio affermato dalle Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, relativo all’ipotesi speculare del concorso di circostanze disomogenee con l’attenuante “privilegiata” della “dissociazione attuosa“, prevista dall’art. 8, d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991 n. 203, secondo cui, ove ricorrano altre circostanze attenuanti ed aggravanti, il giudizio di comparazione deve sempre precedere l’applicazione dell’attenuante “privilegiata“.

In particolare, tale decisione prefigura, ai fini della applicazione della circostanza “privilegiata“, tre possibili evenienze, in funzione dell’esito del giudizio di comparazione tra le circostanze attenuanti e le aggravanti bilanciabili, nel senso che, in caso di prevalenza delle circostanze attenuanti, le relative diminuzioni di pena opereranno sulla quantità di pena risultante dall’aumento previsto ed applicato per l’aggravante “privilegiata“, cui viene garantita piena operatività; in caso di esito di equivalenza, invece, le attenuanti non potranno incidere sulla pena determinata dall’aggravante “privilegiata“, per effetto della elisione con le circostanze aggravanti ad effetto speciale e, del pari, non potrà trovare applicazione il disposto di cui all’art. 63, quarto comma, cod. pen.; le disposizioni di cui all’art. 63, terzo e quarto comma, cod. pen. torneranno applicabili nel caso di prevalenza delle circostanze aggravanti.

Terminato di analizzare questo approdo interpretativo, si evidenziava invece che l’opposto orientamento (affermato da Sez. 5, n. 19083 del 26/02/2020) ritiene, invece, che alla pena, determinata in relazione alla circostanza aggravante “privilegiata“, sia applicabile la diminuzione per le circostanze attenuanti, pur se ritenute equivalenti all’esito di un giudizio di bilanciamento con circostanze aggravanti diverse da quella “privilegiata“, ponendo così in consapevole dissenso con il precedente indirizzo, affermando il seguente principio di diritto: «In tema di furto in abitazione, qualora più circostanze aggravanti ed attenuanti soggette a giudizio di comparazione concorrano con la circostanza aggravante privilegiata di cui agli artt. 624-bis, terzo comma, e 625 cod. pen., sulla pena determinata in ragione dell’aumento applicato per questa, sottratta al giudizio di comparazione, deve essere calcolata la diminuzione per le eventuali attenuanti riconosciute, ancorché queste siano state separatamente assorbite con giudizio di equivalenza nel bilanciamento con altre aggravanti non privilegiate».

Oltre a ciò, veniva dedotto come tale indirizzo ritenga che non debba mai essere vanificato l’effetto mitigatore delle circostanze attenuanti sulla circostanza aggravante “privilegiata“, salva l’ipotesi di una loro dichiarata minusvalenza, in ossequio al principio di proporzionalità della pena al quale deve essere ricondotta anche la disciplina delle circostanze “privilegiate“, in guisa tale che il giudizio di bilanciamento tra circostanze viene scisso e riservato alle sole circostanze aggravanti ed attenuanti non assistite dal “privilegio” e viene valorizzata per ciascuna circostanza aggravante “privilegiata” la propria disciplina di riferimento nel rapporto con le circostanze attenuanti riconosciute.

Secondo tale impostazione, di conseguenza, la pena può essere quantificata nel modo più aderente al caso concreto, seguendo un’interpretazione costituzionalmente orientata.

Chiarito ciò, si evidenziava inoltre come tale indirizzo sia stato recentemente ribadito anche da Sez. 5, n. 7246 del 13/01/2021, e da Sez. 5, n. 34317 del 18/09/202, che, nel ritenere illegale la pena determinata in violazione del divieto di bilanciamento per l’aggravante di cui all’art. 624-bis cod. pen., hanno richiamato il principio espresso da Sez. 5, n. 19083/2020, fermo restando che le citate sentenze giustificano il loro approdo ermeneutico con la necessità di una interpretazione costituzionalmente conforme della disciplina dei rapporti tra circostanze “privilegiate” e senza “privilegio“: «In un’ottica costituzionalmente orientata, le norme che configurano il “privilegio” in relazione ad alcune aggravanti (oltre all’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen. l’art. 628, quinto comma, cod. pen, l’art. 416-bis. 1, secondo comma, cod. pen. l’art. 604-ter, secondo comma, cod. pen., l’art. 186-septies, comma 2, codice della Strada) possono e devono dunque essere interpretate nel senso per cui, una volta sottratta l’aggravante ad un compiuto giudizio di bilanciamento, comunque sulla pena determinata in ragione dell’aumento applicato per la stessa deve essere calcolata la diminuzione per le eventuali attenuanti riconosciute, ancorché queste siano state separatamente assorbite con giudizio di equivalenza nel bilanciamento con altre aggravanti non privilegiate.» (in tal senso Sez.5, n. 19083 del 26/02/2020).

Orbene, finito di esaminare anche questo orientamento nomofilattico, ad avviso delle Sezioni Unite, la questione sottoposta al loro esame andava risolta in adesione al primo indirizzo affermandosi al contempo che, pur tuttavia, essa presuppone innanzitutto una riflessione sui rapporti tra principio di legalità e discrezionalità del giudice, rapporto il cui dispiegarsi ha animato le modifiche normative in tema di circostanze del reato che si sono succedute nel tempo.

Si evidenziava quindi a tal riguardo che, in base all’originaria formulazione dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., era previsto un regime differenziato per le circostanze aggravanti per le quali la legge stabiliva una pena di specie diversa o determinava la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato (cosiddette circostanze indipendenti o ad effetto speciale), che erano sottratte al bilanciamento mentre la successiva riforma, apportata alla disposizione con il d.l. 11 aprile 1974, n. 99, contenente provvedimenti urgenti sulla giustizia penale, convertito dalla legge 7 giugno 1974, n. 220, ampliava, invece, l’ambito della discrezionalità del giudice estendendo il giudizio di bilanciamento a qualsiasi circostanza (anche a quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o determina la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato.)

Successivamente il legislatore ha nuovamente introdotto l’esclusione dal meccanismo della comparazione tra circostanze eterogenee in riferimento ad alcune aggravanti, qualificate come “privilegiate“, al fine di perseguire una politica di più rigoroso contrasto di alcune condotte delittuose. È stato così limitato l’ambito della discrezionalità del giudice che, in presenza delle circostanze aggravanti “privilegiate“, potrà tenere conto delle circostanze attenuanti solo dopo aver calcolato l’aggravamento di pena previsto per le citate aggravanti, richiamandosi in tale prospettiva il d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica, convertito dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15, relativo ai reati commessi con finalità di terrorismo e di eversione e la legge 31 luglio 1984, n. 400, recante “Nuove norme sulla competenza penale” (che ha introdotto modifiche al terzo comma dell’art. 63 cod. pen.), e le altre leggi già menzionate in precedenza, le quali hanno tipizzato specifiche circostanze aggravanti “privilegiate“, sottratte al giudizio di bilanciamento.

A sua volta, la deroga al bilanciamento in caso di circostanza aggravante “privilegiata” è stata ritenuta legittima dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 38 del 1985, dove la Corte costituzionale ha affermato che «[n]ell’art. 69 cod. pen […] l’obbligatorietà del giudizio di bilanciamento ha una sua razionalità nell’essenza stessa di quella valutazione, che è giudizio di valore globale del fatto. Ma il legislatore può sospendere l’applicazione dell’art. 69 cod. pen., togliendo al giudice il potere discrezionale di operare il bilanciamento a compensazione delle aggravanti o a favore delle attenuanti in un’ottica di inasprimento sanzionatorio. Si tratta di una «grave limitazione» che in sé non è illegittima, ma non può accompagnarsi anche alla irrilevanza ex lege delle circostanze attenuanti. Con questa limitazione, si è quindi riconosciuto che appartiene alla discrezionalità del legislatore introdurre speciali ipotesi di circostanze aggravanti privilegiate che siano sottratte al bilanciamento di cui all’art. 69 cod. pen.», rilevandosi al contempo come tale principio sia stato puntualmente ribadito nella sentenza n. 88 del 2019.

Se era quindi del tutto corretto, per la Corte di legittimità, considerare il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee una valutazione globale del fatto e un momento di esercizio della discrezionalità del giudice, si considerava parimenti in linea con i principi costituzionali il fatto che tale discrezionalità sia limitata, ovvero, rectius, vincolata, dal legislatore in riferimento alla presenza di circostanze aggravanti “privilegiate” e, quindi, una volta che il giudice, nell’ambito della sua discrezionalità, abbia individuato i profili costitutivi di una circostanza aggravante “privilegiata“, egli è vincolato nel meccanismo di calcolo della pena secondo quanto previsto dalla specifica disposizione e, in presenza di altre circostanze eterogenee, non può scegliere un itinerario di commisurazione della sanzione diverso da quello disegnato dagli artt. 69 e 63 cod. pen.: deve, perciò, operare il giudizio bilanciamento tra circostanze aggravanti che lo consentono e circostanze attenuanti e stabilire all’esito la pena conseguente all’applicazione dell’art. 63, quarto comma, cod. pen., in caso di minusvalenza, ovvero dell’art. 63, quinto comma, in caso di prevalenza delle circostanze attenuanti.

Del resto, si notava che le (stesse) Sezioni Unite, con la decisione n. 10713/2010, nell’occuparsi della circostanza attenuante “privilegiataex art. 8 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (la c.d. dissociazione attuosa), hanno evidenziato la necessità che le esigenze sottostanti alla premialità non obliterino il fatto di reato nella sua oggettiva gravità, la quale deve sempre essere rimessa alla valutazione del giudice, anche attraverso il giudizio di comparazione tra le circostanze e, quindi, specularmente, il giudice può ritenere prevalenti le circostanze attenuanti a seguito del giudizio di bilanciamento, con possibilità di mitigare la pena stabilita per il fatto di reato aggravato dalla circostanza munita di “privilegio“, tenendo in pari considerazione sia la particolare gravità ritenuta dal legislatore che l’esigenza di valutazione dello specifico fatto sotto il profilo della sua concreta offensività, tenuto conto altresì del fatto che tale assunto ha trovato conferma anche in Sez. U, n. 38518 del 27/11/2014, che hanno a loro volta sottolineato la necessità di salvaguardare i criteri di bilanciamento previsti dall’art. 69 cod. pen. per il concorso di circostanze eterogenee e quelli di cui all’art. 63 cod. pen. per l’ipotesi di concorso omogeneo di circostanze, derivanti dalla coesistenza di più circostanze aggravanti ad effetto speciale, ovvero di più circostanze attenuanti ad effetto speciale.

Per quanto appena illustrato, per le Sezioni Unite, non risultava essere corretta la prospettazione suggerita dal diverso itinerario interpretativo della sentenza n. 19083/2020 che evoca la problematica della proporzionalità della pena dalla quale fa discendere la necessaria operatività delle circostanze attenuanti sulla pena derivante dall’applicazione della circostanza aggravante “privilegiata“, anche all’esito di un giudizio di mera equivalenza delle attenuanti con altra circostanza aggravante bilanciabile.

Ad avviso del Collegio, invero, tale pronuncia rischia(va) di vanificare il giudizio di bilanciamento che rappresenta, come detto, la valutazione di gravità del fatto operata in concreto dal giudice, non apparendo, inoltre, rispettosa della chiara volontà del legislatore che, con scelta espressiva della sua ragionata discrezionalità, ha inteso porre limiti alla discrezionalità giudiziale nella commisurazione della pena con riguardo a delitti connotati da obiettiva gravità, così come essa non si confronta, sempre ad avviso del Supremo Consesso, inoltre, con l’insegnamento della Corte costituzionale (sentenze nn. 38 e 194 del 1985 e n. 88 del 2019) che ha chiarito che «ben può il legislatore dare un diverso ordine al gioco delle circostanze», con l’obiettivo di una maggiore individualizzazione e senza irrigidimenti (così la sentenza n. 88 del 2019).

Oltre a ciò, veniva altresì osservato che, a seguire il disatteso orientamento, sia le circostanze attenuanti ritenute prevalenti che quelle giudicate solo equivalenti all’esito del giudizio di bilanciamento avrebbero la medesima incidenza sulla pena da comminare al reato di furto aggravato; inoltre, in questo secondo caso, si assisterebbe, per la Corte di legittimità, ad un’applicazione “duplice” della circostanza, destinata ad operare, contestualmente, con effetti “neutri” all’esito del giudizio di bilanciamento e con effetti invece “concreti“, in forza del disposto di cui all’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen, concepito per il diverso caso in cui non venga in considerazione la necessità di bilanciamento delle attenuanti con aggravanti diverse da quella ivi prevista.

La soluzione della sentenza n. 19083/2020, tra l’altro, risultava essere, per le Sezioni Unite, non convincente anche sotto altro profilo, posto che il sistema delle circostanze del reato, che disciplina l’applicazione degli aumenti o diminuzioni di pena in caso di circostanze omogenee ex art. 63 cod. pen ed il bilanciamento in caso di concorso di circostanze eterogenee ex art. 69 cod. pen., non consente di sottrarre al giudizio di bilanciamento le circostanze attenuanti e le circostanze aggravanti che non risultino munite di “privilegio“, fermo restando il vincolo indicato all’art. 69, quarto comma, cod. pen. Pertanto, nel caso in cui tale bilanciamento si concluda, in applicazione del disposto di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., con un giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e la recidiva, il computo finale deve arrestarsi alla modulazione della pena edittale prevista ex art. 624-bis, quarto comma, cod. pen. tenuto conto altresì del fatto che, sempre per i giudici di piazza Cavour,

sembra quasi superfluo osservare che gli elementi mitigatori che sono stati riconosciuti quali circostanze attenuanti generiche, “neutralizzate” dalla recidiva reiterata, possono pur sempre trovare considerazione nell’ambito dei criteri di commisurazione della pena di cui all’art. 133 cod. pen., quando il giudice ritenga che il giudizio di equivalenza non abbia esaurito la portata attenuatrice delle circostanze riconosciute all’imputato nel caso specifico.

Ciò posto, la peculiarità del caso di specie, nel quale la circostanza aggravante concorrente con quella “privilegiata” di cui all’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen. è la recidiva reiterata, impone, per gli Ermellini, le seguenti ulteriori osservazioni: “Come già illustrato, a seguito della riforma della legge 5 dicembre 2005, n. 251, c.d. ex Cirielli, il giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti rispetto alla circostanza aggravante della recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen. è stato limitato, seppure solo parzialmente, avendo il legislatore escluso la possibilità di dichiarare le circostanze attenuanti prevalenti su tale circostanza aggravante ad effetto speciale, con le sole eccezioni per quelle espressamente incluse dalle sentenze pronunciate dalla Corte costituzionale, che hanno dichiarato l’illegittimità parziale della disposizione proprio laddove prevede il divieto di prevalenza per alcune specifiche circostanze attenuanti (tra esse, l’attenuante di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen. e quella di cui all’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., l’attenuante di cui all’art 73, comma 7, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e quella di cui all’art. 219, terzo comma, R.D. 16 marzo 1942, n. 267). A tale proposito va sottolineato che la questione di legittimità costituzionale riguardante il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen. è stata ritenuta manifestamente infondata da Sez. 6, n. 16487 del 23/03/2017, (…) secondo cui tale deroga alla ordinaria disciplina del bilanciamento non determina una manifesta sproporzione del trattamento sanzionatorio, limitandosi a «valorizzare, in misura contenuta, la componente soggettiva del reato, qualificata dalla plurima ricaduta del reo in condotte trasgressive di precetti penalmente sanzionati», senza risultare manifestamente irragionevole, secondo quanto evidenziato nelle sentenze della Corte costituzionale, che hanno affermato che le deroghe al bilanciamento, possibili e rientranti nell’ambito delle scelte del legislatore, sono sindacabili solo «ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio» (sent. n. 68 del 2012; in senso conforme sent. n. 251 del 2012, n. 105 del 2014, n. 106 del 2014). (…) La recidiva, al pari di altri elementi circostanziali, esplica un’efficacia extraedittale, atteso che è idonea a condurre la sanzione penale oltre i tetti di pena fissati dalla comminatoria edittale e, al contempo, assolve alla funzione di commisurazione della pena, fungendo da strumento di adeguamento della sanzione al fatto, considerato sia nella sua obiettiva espressione che nella relazione qualificata con il suo autore. In tal senso depone tutta la complessa ed articolata elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, successiva all’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, a partire dalla problematica concernente la natura della recidiva reiterata (art. 99, quarto comma, cod. pen.) e la sua incidenza sul giudizio di valenza ex art. 69, quarto comma cod. pen. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la recidiva è una circostanza pertinente al reato che richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra l’autore e il fatto che deve risultare sintomatico, in riferimento alla tipologia dei reati pregressi e all’epoca della loro consumazione, sia sul piano della colpevolezza che su quello della pericolosità sociale (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010 (…); Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, (…)). Da qui il ripudio di qualsiasi automatismo, ossia dell’instaurazione presuntiva di una relazione qualificata tra status della persona e reato commesso e il recupero della valutazione discrezionale cui è correlato uno specifico obbligo motivazionale (Sez. U, n. 20798 del 2011, (…); Corte cost. sent. n. 192 del 2007; ord. n. 409 del 2007, n. 33 del 2008, n. 90 del 2008, n. 193 del 2008, n. 257 del 2008; sent. n. 291 del 2010)”.

Da ciò se ne faceva conseguire che, una volta ritenuta sussistente e concretamente applicata dal giudice, la recidiva determina l’operatività del bilanciamento disciplinato dall’art. 69 cod. pen. con piena conformità del trattamento sanzionatorio al principio di proporzionalità della pena (art. 27 Cost.).

In tema di giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti e la recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen., la Corte, inoltre, stimava che non sia affatto irragionevole la disciplina dettata dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., che non consente una valutazione di prevalenza delle circostanze attenuanti, ma solo di minusvalenza od equivalenza, atteso che non sussiste alcun automatismo nel riconoscimento della sussistenza della recidiva, la quale, come detto, non corrisponde ad un mero status desumibile dal certificato penale, ma rappresenta una concreta espressione di una maggiore colpevolezza o pericolosità sociale in relazione al reato commesso, ove ritenuta sussistente dal giudice risultando, quindi, in tal caso, coerente che la stessa possa produrre un sostanziale aggravamento della risposta punitiva, quanto meno neutralizzando l’incidenza delle circostanze attenuanti.

Orbene, le considerazioni sinora svolte induceva le Sezioni Unite a ribadire la valutazione di ragionevolezza del vincolo alla discrezionalità del giudice, imposto con le circostanze aggravanti “privilegiate” previste nell’art. 624-bis cod. pen., rispetto alle quali appare ragionevole la imposizione del vincolo di prevalenza e il ridotto ambito di efficacia di circostanze attenuanti ritenute sussistenti dal giudice, considerando anche il fatto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 117 del 2021, emessa all’esito della camera di consiglio del 12 maggio 2021 e depositata il 7 giugno 2021 nelle more della redazione della presente motivazione, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis cod. pen., nel testo vigente, quanto alla previsione derogatoria del giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti, rilevando al contempo che il Giudice delle leggi ha osservato che, da un lato, «è precluso anche il giudizio di equivalenza oltre che di prevalenza, così rafforzandosi il ‘privilegio’ delle aggravanti», ma, per altro verso, ha osservato che è stabilito che le diminuzioni di pena per le circostanze attenuanti riconosciute siano apportate a valere «sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti» ed ha ritenuto che nella fattispecie del furto in abitazione «il divieto di bilanciamento è posto a servizio di un bene giuridico di primario valore – l’intimità della persona raccolta nella sua abitazione -, al quale il legislatore ha scelto di assegnare una tutela rafforzata, con opzione discrezionale e non irragionevole».

In riferimento al quesito come proposto, veniva pertanto affermato il seguente principio di diritto: «Le circostanze attenuanti che concorrono sia con circostanze aggravanti soggette a giudizio di comparazione ai sensi dell’art. 69 cod. pen. che con circostanza che invece non lo ammette in modo assoluto, devono essere previamente sottoposte a tale giudizio e, se sono ritenute equivalenti, si applica la pena che sarebbe inflitta – per il reato aggravato da circostanza “privilegiata” – se non ricorresse alcuna di dette circostanze.».

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito cosa accade se le circostanze attenuanti concorrono con circostanze aggravanti soggette a giudizio di comparazione ai sensi dell’art. 69 cod. pen. e con una circostanza che invece non lo ammette in modo assoluto.

Difatti, in tale pronuncia, componendosi un precedente contrasto giurisprudenziale le Sezioni Unite affermano che le circostanze attenuanti che concorrono sia con circostanze aggravanti soggette a giudizio di comparazione ai sensi dell’art. 69 cod. pen. che con circostanza che invece non lo ammette in modo assoluto, devono essere previamente sottoposte a tale giudizio e, se sono ritenute equivalenti, si applica la pena che sarebbe inflitta – per il reato aggravato da circostanza “privilegiata” – se non ricorresse alcuna di dette circostanze.

Tale sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ove si verifichi una situazione di questo genere.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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