Il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. deve essere iscritto nel casellario giudiziale fermo restando che non ne deve essere fatta menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell’interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione

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(Annullamento senza rinvio)

[Riferimenti normativi: Cod. pen., art. 131-bis; D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, art. 3, c. 1, lett. f)]

Il fatto

Il Tribunale di Salerno, decidendo su istanza dell’interessato ex art. 40 d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, aveva ordinato la cancellazione dal casellario giudiziale del provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nocera Inferiore aveva disposto ai sensi dell’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., l’archiviazione per particolare tenuità del fatto del procedimento nei confronti di L. D. M. per la contravvenzione di cui all’art. 650 cod. pen..

Il Tribunale, in particolare, rifacendosi dichiaratamente ai principi affermati da Sez. 5, n. 3817 del 15/01/2018, aveva giustificato la propria decisione evidenziando come il provvedimento di archiviazione non fosse stato soggetto ad iscrizione in quanto non definitivo.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso l’ordinanza ricorreva il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, chiedendone l’annullamento e deducendo come violazione di legge l’erronea interpretazione dell’art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. n. 303 del 2002 da parte del giudice del merito.

Secondo il ricorrente la disposizione citata – stabilendo che nel casellario giudiziale debbano essere iscritti «i provvedimenti giudiziari definitivi che hanno prosciolto l’imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità, o disposto una misura di sicurezza, nonché quelli che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale» – si riferirebbe indistintamente a tutti i provvedimenti dichiarativi della non punibilità per particolare tenuità del fatto compreso, dunque, quello con cui viene disposta l’archiviazione per tale causa, e ciò in quanto il ricorso alla congiunzione “nonché“, per introdurre il periodo finale della disposizione, non lascerebbe adito a dubbi sul significato letterale del testo normativo.

Sotto il profilo sistematico, secondo il pubblico ministero ricorrente, inoltre, la scelta legislativa si giustificherebbe in ragione della necessità di preservare traccia di tutti i provvedimenti ispirati all’art. 131-bis cod. pen. al fine di consentire, in eventuali procedimenti futuri, una compiuta valutazione dell’abitualità del reato attribuito all’indagato o imputato, condizione ostativa alla reiterata applicabilità dell’istituto.

La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione

La Prima Sezione, a sua volta, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni Unite con provvedimento del 27 febbraio 2019.

A tal riguardo si osservava come l’ordinanza di remissione avesse rilevato che, in merito all’iscrivibilità nel casellario giudiziale dei provvedimenti di archiviazione per particolare tenuità del fatto, fosse insorto un contrasto nella giurisprudenza di legittimità peraltro già segnalato dall’Ufficio del Massimario con relazione n. 89/2017.

Osservavano difatti i giudici remittenti che, secondo l’orientamento maggioritario, tali provvedimenti non rientrano nella categoria dei provvedimenti giudiziari definitivi menzionati dall’art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 e non sarebbero, pertanto, soggetti ad iscrizione nel casellario giudiziale (in tal senso venivano richiamate Sez. 5, n. 3817 del 15/01/2018; Sez. 3, n. 30685 del 26/01/2017; Sez. 1, n. 31600 del 25/06/2018) mentre, in senso contrario, si era pronunziata Sez. 5, n. 40293 del 15/06/2017 per la quale i decreti di archiviazione, disposti ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., sarebbero invece iscrivibili nel casellario.

Nell’aderire a quest’ultimo indirizzo, nell’ordinanza di remissione si affermava la necessità di un ripensamento delle conclusioni cui perviene l’orientamento maggioritario anche alla luce delle argomentazioni sviluppate dal pubblico ministero ricorrente e veniva in tal senso evidenziato come, aderendo all’interpretazione prevalente, sia impedito al titolare dell’azione penale di «avere un quadro completo e veritiero sulla personalità del soggetto» pregiudicando così l’effettività delle successive valutazioni del requisito della non abitualità del comportamento, che invece per l’art. 131-bis cod. pen. è presupposto ineludibile della non punibilità per tenuità del fatto.

Oltre a ciò, veniva fatto presente che, sul piano sistematico, l’indirizzo consolidato non considererebbe poi il contenuto meno favorevole del provvedimento di archiviazione per tenuità rispetto all’archiviazione nel merito confermato anche dalla previsione dell’articolo 411, comma 1 –bis, cod. proc. pen. il quale, stabilendo la necessità dell’avviso all’indagato della richiesta di archiviazione per tenuità, ne sottolinea il carattere non completamente liberatorio con necessità di dispiegamento del diritto di difesa tenuto conto altresì del fatto che escludere il provvedimento di archiviazione, dal novero di quelli iscrivibili nel casellario, ad avviso dei giudici remittenti,  si porrebbe in frizione con l’art. 3 Cost., sub specie di disparità di trattamento tra i destinatari del proscioglimento per particolare tenuità disposto con sentenza (suscettibile di iscrizione) e la declaratoria di non punibilità per tenuità disposta con provvedimento di archiviazione che, ove per l’appunto non assoggettata ad iscrizione, non comporterebbe alcuna conseguenza per il suo destinatario.

Per contro, sempre secondo i giudici remittenti, l’iscrizione del provvedimento di archiviazione ex art. 131-bis cod. pen. non lede i diritti o gli interessi dell’indagato posto che lo stesso costituisce l’esito della speciale procedura prevista dall’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. che a sua volta assicura il contraddittorio e, pertanto, l’esercizio del diritto di difesa così come non rileverebbe in senso contrario che il suddetto provvedimento non possieda natura di accertamento del fatto e non abbia efficacia ai fini civili e amministrativi trattandosi di una mera limitazione dell’efficacia extra-penale, propria di ogni provvedimento di archiviazione.

Per l’ordinanza di remissione, infatti, il mancato riconoscimento al provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto dell’efficacia di accertamento extra-penale non ne sminuisce il valore perché esso è, comunque, destinato a definire il procedimento in modo tendenzialmente stabile in quanto – ancorché tale provvedimento sia soggetto alla possibilità di riapertura delle indagini ex art. 414 cod. proc. pen. su richiesta del pubblico ministero motivata dalla necessità di nuove investigazioni – non può ipotizzarsi una riapertura per ragioni concernenti il giudizio di particolare tenuità poiché, per la giurisprudenza di legittimità e costituzionale (Sez. U, n. 9 del 22/03/2000; Corte cost., n. 27 del 1995), «il decreto di archiviazione, pur non essendo munito dell’autorità della res judicata, è connotato da un’efficacia preclusiva, quantunque limitata, operante sia con riferimento al momento dichiarativo della carenza di elementi idonei a giustificare il proseguimento delle indagini, sia riguardo al momento della loro riapertura, condizionata dal presupposto dell’esigenza di nuove investigazioni che rappresenta per il giudice parametro di valutazione da osservare nella motivazione della decisione di cui all’art. 414 cod. proc. pen.».

La riapertura delle indagini sarebbe, dunque, ipotesi meramente teorica nel caso di archiviazione ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. che presuppone già l’accertamento del fatto, la sua attribuzione all’indagato e la riconducibilità all’ipotesi di particolare tenuità sulla base di indagini complete e non suscettibili di riapertura.

I giudici della Prima Sezione evidenziavano poi gli effetti negativi della mancata iscrizione del provvedimento di archiviazione nel casellario e in tal senso veniva sottolineato come l’impossibilità di valutare con immediatezza e compiutezza la non abitualità del comportamento in caso di reiterazione di fatti della stessa indole avesse una evidente ricaduta sull’efficienza complessiva del sistema processuale poiché il pubblico ministero, al fine di conservare traccia della declaratoria di non punibilità, potrebbe scegliere di non anticipare alla fase delle indagini la richiesta ex art. 131-bis cod. pen. rimettendone l’iniziativa ad una fase successiva all’esercizio dell’azione penale così causando un inutile dispendio di attività processuali nei casi definibili fin dall’inizio con provvedimenti di archiviazione.

Secondo l’ordinanza di remissione, per di più, non esclude l’iscrizione del provvedimento di archiviazione, ex art. 131-bis cod. pen., nemmeno il tenore letterale dell’art. 3, comma 1, lett. f) d.P.R. 303/2002, ripetutamente invocato dall’orientamento maggioritario e ciò non solo perché la congiunzione «nonché» avrebbe un contenuto meramente additivo, teso dunque ad ampliare il catalogo dei provvedimenti iscrivibili, ma anche sulla base di una lettura sistematica del testo normativo il quale prevede l’iscrizione nel casellario giudiziale di altri provvedimenti, non definitivi, pertinenti ad istituti analoghi, come quello di messa alla prova ex art. 168-bis cod. pen. il cui esito positivo determina l’estinzione del reato e per il quale è pure prevista l’iscrizione nel casellario dell’ordinanza che, ai sensi dell’art. 464-quarter cod. proc. pen., dispone la sospensione del procedimento (art. 3, comma 1, lett. i-bis), d.P.R. n. 313 del 2002) trattandosi dell’iscrizione di un provvedimento che la legge configura come revocabile con lo scopo di consentire al giudice di valutare la sussistenza delle condizioni di accesso alla misura e di impedire una illegittima seconda concessione di essa (art. 168-bis, quarto comma, cod. pen.).

A sostegno della tesi favorevole all’iscrizione del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto, i giudici remittenti richiamavano inoltre la Relazione governativa di illustrazione del d.lgs. n. 28 del 2015 la quale precisa come sia stata prevista l’iscrizione di tutti i provvedimenti che abbiano dichiarato la non punibilità per tenuità del fatto, ivi compresi i decreti e le ordinanze di archiviazione, sul presupposto che il nuovo istituto, prevedendo la «non abitualità» del comportamento come uno dei requisiti di applicabilità, impone un sistema di registrazione delle decisioni che accertano la particolarità tenuità «che comprenda ovviamente anche i provvedimenti di archiviazione adottati per tale causa».

Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, in via preliminare, delimitavano la questione di diritto sottoposto al loro vaglio giudiziale nei seguenti termini: “Se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. debba essere iscritto nel casellario giudiziale, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, come modificato dall’art. 4, comma 1, lett. a) d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28”.

Orbene, prima di esaminare gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità sulla questione oggetto di remissione, gli ermellini consideravano opportuno ricostruire, brevemente, il quadro normativo di riferimento e la sua evoluzione, per quanto di interesse ai fini della soluzione della questione proposta, nei seguenti termini: “(…) La vigente regolamentazione del casellario giudiziale è stata introdotta dal d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di casellario giudiziale europeo, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, d’ora innanzi “Testo Unico”), il quale ha sostituito, rendendola organica, la disciplina precedentemente contenuta nel codice di rito e nel R.D. 18 giugno 1931, n. 778. Nel nuovo sistema sono peraltro confluite banche dati diverse, tra cui appunto quella del casellario giudiziale, oggi definito dall’art. 2, lettera a) del Testo Unico (come modificato dal d.lgs. 12 maggio 2016, n. 74) come il «registro nazionale che contiene l’insieme dei dati relativi a provvedimenti giudiziari e amministrativi riferiti a soggetti determinati». (…) Come già ricordato, il catalogo dei provvedimenti di cui è disposta l’iscrizione nel casellario giudiziale è contenuto nell’art. 3, comma 1 del citato decreto. Catalogo che è stato ripetutamente modificato da successivi interventi normativi, i quali ne hanno ora ampliato (ad esempio inserendo i provvedimenti concernenti la messa alla prova dell’imputato) ed ora ridotto (escludendo quelli in materia di fallimento) l’estensione. Alla lettera f) dell’elenco contenuto nel richiamato comma, in origine dedicata esclusivamente ai provvedimenti definitivi di proscioglimento o di non luogo a procedere per difetto di imputabilità ed a quelli applicativi di una misura di sicurezza, il d. Igs. 16 marzo 2015, n. 28 ha introdotto il riferimento ai provvedimenti con i quali viene dichiarata la non punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., istituto configurato dal medesimo decreto. Sotto il profilo della tecnica normativa, il legislatore si è limitato a tal fine ad aggiungere alla disposizione in questione un periodo contenente tale riferimento, collegato a quello preesistente mediante una virgola e la congiunzione “nonché”. (…) Il citato d.lgs. n. 28 del 2015 ha peraltro modificato anche altre disposizioni del Testo Unico. In particolare, all’art. 5, comma 2, dopo la lettera d), è stata inserita la lettera d-bis), al fine di estendere la disciplina dell’eliminazione delle iscrizioni dal casellario giudiziale ai provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità per particolare tenuità del fatto trascorsi dieci anni dalla loro pronunzia. Nell’art. 24, comma 1, e nell’art. 25, comma, 1, è stata aggiunta invece la lettera f-bis), prevedendo in entrambi i casi la non menzione dei suddetti provvedimenti giudiziari, rispettivamente, nel certificato generale ed in quello penale rilasciati a richiesta dell’interessato. Le due disposizioni menzionate da ultime definiscono peraltro anche il contenuto dei certificati rilasciati, ai sensi dell’art. 25-bis e 28 del Testo Unico, a richiesta, rispettivamente, dei datori di lavoro e delle pubbliche amministrazioni, per come previsto dagli articoli da ultimo richiamati. (…) Infine, per desiderio di completezza, è opportuno ricordare che l’art. 1, comma 18, legge 23 giugno 2017, n. 103, ha conferito delega al Governo per l’ulteriore revisione dello statuto del casellario giudiziale, prevedendo in particolare, tra i criteri ed i principi direttivi, l’eliminazione dell’iscrizione dei provvedimenti applicativi della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto e l’attribuzione al pubblico ministero del compito di verificare, prima che venga emesso il provvedimento, che il fatto addebitato sia occasionale. La delega è stata attuata dal d. Igs. 2 ottobre 2018, n. 122 (Disposizioni per la revisione della disciplina del casellario giudiziale, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 18 e 19, della legge 23 giugno 2017, n. 103), ma non sul punto specifico (ed in proposito la Relazione illustrativa si limita ad evidenziare la volontà del legislatore delegato di non dare seguito alla direttiva, senza però precisare le ragioni di tale scelta).

Il menzionato decreto ha invece eliminato la tradizionale dicotomia tra certificato generale e certificato penale del casellario, abrogando, tra l’altro e con effetto dal 26 ottobre 2019, l’art. 25 del d.P.R. n. 313 del 2002. La novella non ha però inciso sul contenuto del certificato unico che verrà rilasciato a partire dalla data menzionata all’interessato ed al datore di lavoro, che rimane quello stabilito dall’art. 24 comma 1 del Testo Unico per il certificato generale, con esclusione dunque, come si è detto, della menzione dei provvedimenti adottati in riferimento all’art. 131-bis cod. pen. Per quanto riguarda il certificato destinato alle pubbliche amministrazioni, il d. Igs. n. 122 del 2018 ha riformulato l’art. 28 del Testo Unico, il quale ora contiene una autonoma disciplina secondo cui alle stesse viene rilasciato, a secondo delle necessità, un certificato generale ovvero un certificato “selettivo”, ma, al comma 7 del citato articolo, viene espressamente previsto che entrambi non debbano fare menzione dei provvedimenti giudiziari che dichiarino la non punibilità per particolare tenuità del fatto, esattamente come nel caso dei certificati rilasciati all’interessato ed ai privati”.

Ciò posto, una volta terminato questo excursus normativo, i giudici di piazza Cavour mettevano in risalto il fatto che, in ordine al significato della illustrata modifica apportata all’art. 3, comma 1, lettera f) del Testo Unico, fosse insorto solo di recente un contrasto nella giurisprudenza di legittimità posto che, fino alla pronunzia della sentenza Serra del 2017 menzionata nell’ordinanza di remissione, le Sezioni semplici avevano costantemente negato che i provvedimenti di archiviazione adottati in riferimento all’art. 131-bis cod. pen. potessero essere iscritti nel casellario giudiziale rilevandosi a tal riguardo come la questione fosse stata affrontata in relazione all’eventuale interesse dell’indagato a ricorrere avverso il provvedimento di archiviazione adottato ai sensi dell’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. per ragioni diverse dalla violazione del diritto al contraddittorio in forza della sua vocazione ad essere, per l’appunto, iscritto nel casellario giudiziale; interesse che, dal canto suo, è stato ritenuto insussistente in ragione dell’esclusione di qualsivoglia pregiudizio per l’indagato in conseguenza dell’adozione del suddetto provvedimento ed in particolare della possibilità che lo stesso sia oggetto di iscrizione.

Ebbene, nell’esaminare tale questione da un punto di vista giurisprudenziale, il Supremo Consesso osservava come, nell’affermare il principio, la Sez. 3, n. 30685 del 26/01/2017 avesse evidenziato come l’applicazione dell’art. 131-bis, cod. pen. presupponga l’accertamento della responsabilità dell’indagato per il fatto reato contestato e come pertanto dovrebbe dubitarsi della compatibilità costituzionale e convenzionale della disposizione relativa all’archiviazione per particolare tenuità del fatto qualora tale provvedimento effettivamente determinasse un effetto pregiudizievole quale quello dell’iscrizione nel casellario posto che all’interessato non viene attribuita la possibilità di rinunziare alla causa di non punibilità ovvero di impugnare il merito della decisione dinanzi ad una giurisdizione superiore mentre, nel respingere i dubbi sulla legittimità costituzionale della relativa disciplina sollevati dal ricorrente, la Sez. 5, n. 3817 del 15/01/2018 giustificava l’esclusione del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto dal novero di quelli iscrivibili anche e soprattutto in ragione della natura non definitiva del medesimo, argomentando in tal senso dalla possibilità per il pubblico ministero di ottenere la riapertura delle indagini ex art. 414 cod. proc. pen. e dunque, secondo la pronunzia in esame, tale natura assume valore dirimente giacchè il tenore testuale dell’art. 3, comma 1, lettera f). d. Igs. n. 313 del 2002 indicherebbe come, in tema di difetto di imputabilità, di misure di sicurezza e, per l’appunto, di non punibilità per particolare tenuità del fatto, i provvedimenti di cui è prevista l’iscrizione sarebbero solo quelli definitivi.

Oltre a ciò, veniva evidenziato come anche la Sez. 1, n. 31600 del 25/06/2018 avesse dichiarato inammissibile per carenza di interesse l’impugnazione avverso il provvedimento di archiviazione argomentando dalla non definitività dello stesso fermo restando che questa sentenza si segnalava peraltro per aver invece accolto il ricorso nella parte in cui con il medesimo era stata dedotta anche l’illegittimità dell’ordine di iscrizione nel casellario contestualmente adottato nel caso di specie dal G.i.p. rilevandosi in proposito come quest’ultimo sia provvedimento autonomo rispetto a quello di archiviazione, la cui adozione è però di competenza esclusiva dell’ufficio del casellario e non spetta pertanto al giudice della cognizione.

Si faceva presente infine che, sempre nel senso di escludere che il provvedimento di archiviazione per tenuità del fatto sia soggetto ad iscrizione, in quanto non definitivo e perchè tale iscrizione si risolverebbe in una violazione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente tutelati dell’indagato, si erano espresse anche le seguenti decisioni: Sez. 3, n. 45601 del 27 giugno 2017; Sez. 3, n. 46379 del 26 giugno 2017; Sez. 3, n. 47832 del 3 novembre 2016; Sez. 1, n. 53618 del 27 settembre 2017.

A questo punto della disamina la Cassazione notava che, a fronte di tale consolidato orientamento nomofilattico, si era venuto a formare uno di segno contrario atteso che la Sez. V, n. 40293 del 15 giugno 2017 – pur affrontando la questione oggetto di remissione in via incidentale all’esclusivo fine di ribadire il principio per cui il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto, pronunciato ai sensi dell’art. 411, comma 1, cod. proc. pen., è nullo se emesso senza l’osservanza della speciale procedura prevista al comma 1-bis di detta norma, non essendo le disposizioni generali contenute negli artt. 408 e ss. del codice di rito idonee a garantire il necessario contraddittorio sulla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. – aveva però osservato come l’instaurazione del contraddittorio con l’indagato nelle forme previste dalla disposizione sopra richiamata sia condizione ineludibile per la validità del provvedimento di archiviazione in quanto quest’ultimo non è completamente liberatorio essendo destinato ad essere iscritto nel casellario giudiziale in virtù di quanto disposto dall’art. 4 d. Igs. n. 28 del 2015.

Pertanto, ad avviso della Corte, nonostante la natura meramente assertiva di tale affermazione, appare evidente che la stessa presupponga una interpretazione del significato della modifica apportata all’art. 3, comma 1, lettera f) del d.P.R. n. 313 del 2002 dall’intervento normativo citato dalla sentenza diametralmente opposta a quella adottata dalle pronunzie che si inseriscono nell’orientamento maggioritario dando così vita al segnalato contrasto ancorchè l’articolazione delle argomentazioni poste a sostegno della posizione minoritaria fosse in definitiva imputabile all’ordinanza di remissione.

Ciò posto, gli ermellini osservavano come andasse peraltro ricordato come, antecedentemente alla pronunzia della sentenza Serra, sulla questione oggetto del rilevato contrasto già si fossero pronunziate le Sezioni Unite, sebbene in via incidentale dal momento che, nello stabilire l’ambito applicativo dell’art. 131-bis cod. pen., le Sez. U, n. 13681 del 25 febbraio 2016 avevano infatti ricordato come lo stesso sia definito non solo dalla gravità del reato desunta dalla pena edittale ma anche dal profilo soggettivo afferente alla non abitualità del comportamento, per come definito dal terzo comma dell’art. 131-bis cod. pen. precisandosi in particolare che il testo della legge lascia subito intendere che il requisito dell’abitualità è frutto del sottosistema generato dalla riforma e che al suo interno deve essere letto e di conseguenza, muovendosi all’interno di tale logica, era stato evidenziato che «sarebbe dunque fuorviante riferirsi esclusivamente alle categorie tradizionali, come quelle della condanna e della recidiva» per stabilire quando il comportamento deve ritenersi abituale.

Tal che, alla stregua di quanto appena enunciato, veniva definito l’ambito operativo della norma in questione affermandosi che «la norma intende escludere dall’ambito della particolare tenuità del fatto comportamenti “seriali”» come rivela il riferimento operato dalla disposizione succitata agli istituti codicistici del delinquente abituale, professionale e per tendenza.

In tale ottica per le Sezioni Unite doveva quindi ritenersi fondamentale il riferimento che sempre il terzo comma dell’art. 131-bis opera alla commissione di “più reati della stessa indole” sicché l’abitualità ostativa può concretarsi «non solo in presenza di condanne irrevocabili, ma anche nel caso in cui gli illeciti si trovino al cospetto del giudice che, dunque, è in grado di valutarne l’esistenza».

Una volta formulate tali considerazioni, si poneva il problema, in questa decisione, della rilevanza, ai fini della valutazione della non abitualità del comportamento, degli eventuali altri reati commessi dal medesimo autore e ritenuti non punibili ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. sul presupposto che il relativo provvedimento deve essere «iscritto nel casellario» essendo questa iscrizione per le Sezioni Unite ineludibile in ragione della considerazione per cui «la procedura di memorizzazione delle pronunzie adottate per tenuità dell’offesa costituisce strumento essenziale per la stessa razionalità ed utilità dell’istituto» mentre «l’assenza di annotazione determinerebbe, incongruamente, la possibilità di concessione della non punibilità molte volte nei confronti della stessa persona» fermo restando che tale annotazione non costituirebbe «un vulnus a diritti fondamentali, quando l’accertamento dell’esistenza del reato implicato in tale genere di pronunzia non sia avvenuto all’esito del giudizio» dal momento che «tali perplessità non tengono conto del fatto che l’annotazione è l’antidoto indispensabile contro l’abuso dell’istituto» intanto che, «se questo è il trasparente scopo della previsione, non si scorge per quale ragione chi abbia fruito del beneficio all’esito di una procedura che lo ha personalmente coinvolto, possa dolersi della discussa annotazione».

Oltre a ciò, si faceva altresì presente come la paventata lesione dei diritti dell’interessato fosse peraltro esclusa dal fatto che «la trascrizione della decisione serve e rileva solo all’interno del sottosistema di cui ci si occupa» e, pertanto, «il rilievo dell’accertamento in ordine all’esistenza dell’illecito implicato dalla dichiarazione di non punibilità è allora esattamente e solo quello di costituire un “reato” che, sommato agli altri della stessa indole richiesti dalla legge nei termini di cui si è detto, dà luogo alla legale abitualità del comportamento» e «nella valutazione complessiva afferente al giudizio di abitualità ben potranno essere congiuntamente considerati reati oggetto di giudizio ed illeciti accertati per così dire incidentalmente ex art. 131-bis».

In definitiva, secondo la pronunzia delle Sezioni Unite in esame, il requisito del comportamento abituale esige un contesto che consenta la conoscibilità del nesso di serialità e conseguentemente la concretezza e l’immediata operatività dell’effetto ostativo; effetti questi ultimi, possibili soltanto con la memorizzazione dei provvedimenti di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. ancorché non definitivi.

Ebbene, in sintonia e continuità con la linea interpretativa tracciata da questo arresto giurisprudenziale, le Sezioni ritenevano che l’orientamento per cui i provvedimenti di archiviazione per particolare tenuità del fatto non debbano essere iscritti nel casellario giudiziario non possa essere condiviso e che il principio, pur apoditticamente affermato, dalla sentenza Serra fosse invece corretto.

Ad avviso della Corte, difatti, il percorso logico-sistematico sviluppato nella citata pronunzia delle Sezioni Unite – peraltro sostanzialmente ignorato da quelle che si riconoscono, invece, nell’orientamento che si intende disattendere – non solo appare condivisibile, in quanto coerente alla ratio dell’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen., ma risulta altresì confortato da una serie di indici normativi e sistematici ulteriori rispetto a quelli evidenziati dalla stessa sentenza appena esaminata.

In tal senso, secondo la Cassazione, va innanzi tutto osservato che il tenore testuale della lettera f) dell’art. 3, comma 1, del Testo Unico, per come modificata dal d.lgs. n. 28 del 2015, non è univocamente interpretabile nel senso per cui esclusivamente i provvedimenti definitivi, che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., sono destinati all’iscrizione nel casellario posto la locuzione «nonché quelli», che introduce l’ampliamento dell’originario catalogo definito dalla citata disposizione, è certamente riferita ai «provvedimenti giudiziari» menzionati nella prima parte della stessa ma non anche necessariamente alla loro qualificazione come «definitivi» e ciò vale, a maggior ragione, se si pensa che nel Testo Unico vengono utilizzate le distinte espressioni «provvedimenti giudiziari» e «provvedimenti giudiziari definitivi» secondo il significato tipico loro attribuito dall’art. 2 lettere f) e g) dello stesso; circostanza idonea a legittimare l’opinione per cui, qualora il legislatore avesse voluto effettivamente evocare solo i provvedimenti definitivi in tema di tenuità del fatto, avrebbe più coerentemente fatto ricorso alla locuzione «nonché quelli definitivi» e non già a quella effettivamente dispiegata.

In definitiva, secondo le Sezioni Unite, il dato testuale presenta tratti di indubbia ambiguità che non consentono di estrarre con la necessaria certezza il significato della disposizione affidandosi esclusivamente all’interpretazione letterale che necessita pertanto di essere integrata ricorrendo ad altri strumenti ermeneutici.

Oltre tutto, ad ulteriore sostegno della tesi recepita, si evidenziava come un primo elemento idoneo a definire l’effettiva estensione dell’obbligo di registrazione dei provvedimenti riguardanti la non punibilità per tenuità del fatto fosse ricavabile dalla ricostruzione della volontà storica del legislatore, questa sì univocamente rivelatasi nella Relazione ministeriale allo schema del d. Igs. n. 28 del 2015, dove espressamente si afferma «la necessità di iscrivere nel casellario giudiziale il provvedimento di applicazione del nuovo istituto, ancorché adottato mediante decreto d’archiviazione» ed ancor più specificamente si precisa, ad illustrazione delle modifiche apportate al Testo Unico, che «il requisito della “non abitualità” del comportamento (….) impone un sistema di registrazione delle decisioni che accertano la particolare tenuità del fatto che comprenda ovviamente anche i provvedimenti di archiviazione adottati per tali causa».

La Relazione, in definitiva, a parere della Corte, evidenzia – negli stessi termini poi ribaditi dalla sentenza Tushaj – l’intimo ed irrinunciabile collegamento esistente tra la memorizzazione di tutti i provvedimenti che hanno applicato il nuovo istituto e l’effettiva operatività della condizione di non abitualità del comportamento e, proprio in tal senso, tra l’altro, il documento in questione giustifica la scelta di configurare, al comma 1-bis dell’art. 411 cod. proc. pen., una speciale procedura che prevede la garanzia per l’indagato di accedere al contraddittorio qualora l’archiviazione venga richiesta in riferimento allo stesso art. 131-bis condizione questa che a sua volta presuppone, ai sensi del comma 3 dell’art. 131-bis cod. pen., anche la considerazione dei pregressi reati della stessa indole commessi dall’autore in quanto è peraltro significativo che la disposizione richiamata, nel definire la serialità ostativa, faccia riferimento ai “reati” commessi e non alle “condanne” subite ed imponga la valutazione anche dei fatti ritenuti di particolare tenuità.

Tal che se ne faceva derivare l’evidente esigenza di consentire al giudice del nuovo reato, perché possa rispettare il dettato normativo, di conoscere anche i provvedimenti, comunque adottati che hanno riconosciuto la causa di non punibilità.

Un secondo e decisivo elemento in favore dell’iscrizione dei provvedimenti di archiviazione veniva poi ricavato dalle altre modifiche apportate dal d. Igs. n. 28 del 2015 al Testo Unico in quanto se è vero che la novella è intervenuta anche sulle disposizioni (artt. 24 e 25) che stabiliscono il contenuto dei certificati del casellario vietando che gli stessi menzionino i «provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale» ed ha esteso agli stessi provvedimenti l’obbligo di eliminazione delle iscrizioni (previsto dall’art. 5 del Testo Unico) trascorsi dieci anni dalla loro pronunzia, è altrettanto vero, però, come, nel Testo Unico, le espressioni «provvedimenti giudiziari» e «provvedimenti giudiziari definitivi» abbiano un significato autonomo e tipico in quanto tassativamente definito dall’art. 2. Disposizione per la quale i primi sono «la sentenza, il decreto penale e ogni altro provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria» mentre i secondi sono i provvedimenti divenuti irrevocabili o, comunque, non più soggetti ad impugnazione «con gli strumenti diversi dalla revocazione».

Da ciò se ne faceva discendere come fosse dunque evidente che le descritte modifiche apportate nel 2015 – nell’evocare i “provvedimenti giudiziari” e non solo quelli “definitivi” – presuppongono l’avvenuta iscrizione nel casellario di tutti i provvedimenti concernenti la particolare tenuità del fatto, compresi quelli di archiviazione, dissolvendo così l’ambiguità del periodo aggiunto dalla stessa novella all’art. 3, comma 1, lettera f) del Testo Unico.

Una volta stabilito che la disposizione da ultima richiamata impone l’iscrizione nel casellario non solo dei provvedimenti definitivi che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., la Corte di Cassazione stimava necessario affrontare le riserve sulla compatibilità costituzionale e convenzionale di tali conclusioni avanzate dalle pronunzie che avevano dato vita all’orientamento qui disatteso e che avevano portato le pronunzie che vi si riconoscono a concludere per una lettura più restrittiva della lettera f) dell’art. 3, comma 1, del Testo Unico.

Si faceva presente in proposito come fosse agevole evidenziare come alcuna lesione dell’art. 24 Cost. sia prospettabile nella misura in cui la speciale disciplina prevista dal comma 1-bis dell’art. 411 cod. proc. pen. consente all’indagato di dispiegare le proprie difese dinanzi al giudice investito della richiesta di archiviazione per tenuità del fatto così come non apparivano condivisibili, secondo la Corte, i dubbi – sviluppati soprattutto nella sentenza Vanzo – in merito alla presunta incompatibilità dell’iscrizione con l’art. 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo posto che tali dubbi non apparivano essere stati formulati nella misura in cui imputano all’iscrizione del provvedimento di archiviazione la lesione del suindicato diritto quando, semmai, questa deriverebbe dall’obbligo di considerare, ai fini della valutazione della non abitualità del comportamento, anche i reati dichiarati non punibili anticipatamente dato che è agevole sostenere che, anche qualora non si procedesse alla registrazione nel casellario di tali decisioni, il giudice dovrebbe tenerne conto, ai sensi del terzo comma dell’art. 131-bis cod. pen., se comunque documentate agli atti a meno di non voler escludere che tale disposizione riguardi i reati della stessa indole per i quali la tenuità del fatto è stata dichiarata al di fuori del giudizio, vale a dire una conclusione che finirebbe per compromettere in radice le finalità deflattive e di rapida espulsione dell’autore di fatti bagatellari dal circuito giudiziario – con il conseguente risparmio dei costi di varia natura che l’accesso alla fase processuale gli comporta – che l’anticipazione della pronunzia liberatoria intende perseguire posto che il pubblico ministero, per evitare i già segnalati possibili abusi dell’istituto, difficilmente rinuncerebbe in tal caso ad esercitare comunque l’azione penale allo scopo di vedere adottato un provvedimento sicuramente assoggettabile ad iscrizione.

Non di meno, si osservava altresì come la citata disposizione sovranazionale configurasse il diritto di riesame presso una giurisdizione superiore esclusivamente in riferimento alle dichiarazioni di colpevolezza od alle condanne ma si escludeva che la valutazione pregiudiziale, sulla sussistenza del fatto e sulla sua attribuibilità all’indagato compiuta in sede di archiviazione, costituisca un accertamento assimilabile ad una dichiarazione di colpevolezza nel senso inteso da tale disposizione avvenendo in una fase anteriore al giudizio tenuto conto altresì del fatto che tale conclusione è peraltro confortata dal fatto che il provvedimento di archiviazione non produce gli effetti invece riservati dall’art. 651-bis cod. proc. pen. alle dichiarazioni giudiziali dell’esimente.

Si denotava da ultimo come l’iscrizione in sé considerata non potesse essere ritenuta un effettivo pregiudizio che l’indagato avesse un reale interesse ad evitare dato che la più volte ricordata esclusione dei provvedimenti che dichiarano la non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. dalle certificazioni del casellario rende evidente come l’iscrizione assolva esclusivamente a quella funzione di memorizzazione della loro adozione destinata ad esplicare i suoi effetti soltanto nell’ambito del sottosistema definito dalla disposizione da ultima richiamata ed all’interno del circuito giudiziario.

Tal che, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, le Sezioni Unite giungevano a postulare il seguente principio di diritto: «Il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. deve essere iscritto nel casellario giudiziale, fermo restando che non ne deve essere fatta menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell’interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione». 

Conclusioni

La decisione in esame desta un notevole interesse giuridico in quanto in essa si risolve il problema se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. debba essere iscritto nel casellario giudiziale, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, come modificato dall’art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs., 16 marzo 2015, n. 28.

Orbene, la risposta fornita dalle Sezioni Unite è stata positiva.

Difatti, in questo arresto giurisprudenziale, è postulato che il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. deve essere iscritto nel casellario giudiziale pur affermandosi al contempo che non deve essere fatta menzione di tale iscrizione nei certificati rilasciati a richiesta dell’interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, dunque, proprio perché fa chiarezza su tale problematica giuridica, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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