Assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole e valore di mercato dell’immobile

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 SOMMARIO:

  1. Introduzione
  2. I fatti in causa
  3. Il motivo di ricorso dell’ex moglie
  4. La decisione della Suprema Corte di Cassazione

Introduzione

La Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, con l’Ordinanza Interlocutoria 19/10/2021 n. 28871, essendosi registrati due orientamenti contrapposti, ha rimesso gli atti al Primo Presidente in modo che valuti se dovesse essere opportuno trasferire la soluzione del contrasto alle Sezioni Unite.

I fatti in causa

La vicenda iniziò nel 2014, quando il Tribunale di Roma pronunciò la separazione personale tra i coniugi Tizio e Caia, con l’assegnazione dell’appartamento adibito a casa familiare alla ex moglie, perché affidataria delle due figlie nate dal loro matrimonio.

Nel 2018, con sentenza n. 1973, la Corte d’Appello confermò la sentenza n. 107397/2017 del Tribunale di Roma con la quale si scioglieva la comunione in quote uguali i coniugi legalmente separati avevano sull’appartamento in questione.

Lo scioglimento della comunione venne realizzato attraverso l’attribuzione dell’intero immobile all’ex moglie Caia, che ne aveva fatto richiesta, con conguaglio pecuniario in favore dell’ex marito Tizio, con un importo pari alla metà dell’intero valore di mercato dell’immobile, come stimato dal CTU, senza nessuna decurtazione legata al diritto di godimento sullo stesso riconosciuto a Caia dal giudice della separazione.

La Corte d’Appello, confermando alcuni precedenti della Suprema Corte di Cassazione, riteneva che:

  • L’assegnazione del godimento dell’immobile adibito a casa familiare a uno dei condividenti, disposta dal giudice della separazione personale, non poteva incidere sulla determinazione del relativo valore di mercato, l’immobile fosse attribuito in proprietà esclusiva al coniuge, titolare del diritto di godimento sullo stesso.
  • Il diritto in questione veniva attribuito nell’esclusivo interesse dei figli e non si poteva risolvere in un guadagno indebito per il coniuge affidatario degli stessi.

 

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L’assegnazione della casa familiare in caso di separazione o divorzio

La casa coniugale è il teatro della vita familiare, fulcro degli interessi e delle abitudini in cui si realizza la vita della famiglia. La notevole complessità delle problematiche connesse all’abitazione si ripercuote inevitabilmente sulla sua assegnazione, in sede di separazione o divorzio.Non v’è dubbio, infatti, che, in occasione della crisi matrimoniale, l’assegnazione della casa adibita a residenza della famiglia rappresenti uno dei motivi di maggior conflitto, in quanto vengono a scontrarsi esigenze e diritti contrapposti, tutti oggetto di esplicita tutela costituzionale: da un lato, l’esigenza del coniuge, non proprietario, di continuare ad abitare nella casa che ha rappresentato il centro degli affetti e dell’organizzazione domestica; dall’altro, la necessità di tutelare il diritto, costituzionalmente garantito, alla proprietà privata.Il legislatore, nel regolamentare la materia – che non riesce a fornire un’apprezzabile soluzione a tutti i problemi sociali e giuridici –, ha spostato l’attenzione dai genitori alla famiglia, composta anche dai figli, i cui interessi devono essere prioritariamente privilegiati, all’evidente scopo di salvaguardare il bisogno dei minori (o anche dei figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti o portatori di handicap) di mantenere inalterati i rapporti con l’ambiente in cui sono vissuti.Quindi solo l’interesse dei figli a non subire ulteriori cambiamenti dovuti alla crisi familiare e a conservare un minimo di continuità e regolarità di vita è l’unico motivo che può spingere a sacrificare (limitare) il diritto di proprietà.Giuseppe Bordolli, Consulente legale in Genova ed esperto di diritto immobiliare. Svolge attività di consulenza per amministrazioni condominiali e società di intermediazione immobiliare. È collaboratore del quotidiano Condominio 24 Ore on line e cartaceo e di varie riviste di diritto immobiliare. Autore di numerose pubblicazioni in materia di condominio, mediazione immobiliare, locazione, divisione ereditaria, privacy, nonché di articoli e note a sentenza. È mediatore e docente in corsi di formazione per le professioni immobiliari

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Il motivo di ricorso dell’ex moglie

Caia decide di ricorre in Cassazione lamentando un unico motivo, riportato al n. 3 dell’articolo 360 del codice di procedura civile.

La ricorrente ha denunciato la violazione o falsa applicazione degli articoli 337 sexies, comma 1 e   6 comma 6, 720, 726 e 1116 del codice civile, dell’articolo 3 della Costituzione e della Legge 1 dicembre 1970 n. 898.

Secondo la donna, il diritto che deriva dall’assegnazione dell’immobile disposta in sede di separazione a favore del coniuge affidatario dei figli, sopravvive alla divisione dell’immobile e si può opporre sia nei confronti dei terzi acquirenti sia nei confronti dell’altro coniuge, con la preclusione per entrambi del godimento dell’immobile sino al termine di efficacia del provvedimento.

Ha anche osservato che l’assegnazione della casa familiare, a norma delle sopra menzionate disposizioni, ha la finalità esclusiva di tutelare la prole, conservando l’ambiente domestico per il bene della stessa, per evitare altri traumi che si aggiungerebbero a quello relativo alla separazione personale dei genitori.

L’assegnazione può cessare esclusivamente quando dovessero venire meno i presupposti che l’hanno determinata, di solito con il raggiungimento della maggiore età e dell’indipendenza economica dei figli.

Ha sostenuto anche che assegnare la casa familiare disposta dal giudice della separazione a favore di uno dei coniugi, fa sorgere sull’immobile un vincolo patrimoniale che nelle azioni di divisione deve essere considerato, perché sino a quando il provvedimento mantiene la sua operatività, preclude al coniuge non assegnatario di godere dello stesso, anche se gli venisse attribuito dalle azioni di divisione.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione, nell’esaminare la questione, ha rilevato che sulla stessa sono emersi nel tempo due contrapposti orientamenti:

  • Secondo un primo orientamento, fatto dalla sentenza impugnata, l’assegnazione del godimento della casa familiare in sede di separazione personale o divorzio dei coniugi non può formare oggetto di considerazione, quando si compie la divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi, allo scopo di determinare il valore di mercato del bene, se l’immobile venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento sullo stesso.

Un simile diritto è attribuito nell’interesse esclusivo dei figli e non del coniuge affidatario , per questo, decurtandone il valore dalla stima dell’immobile, si realizzerebbe un guadagno indebito a favore dello stesso coniuge affidatario, potendo lo stesso, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza nessun vincolo e per il prezzo integrale.

  • Secondo un altro orientamento, l’assegnazione della casa familiare a uno dei coniugi, al quale l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo, opponibile ai terzi per nove anni, e, in caso di trascrizione, senza limite di tempo, comportando una decurtazione del valore della proprietà, intera o parziale, della quale è titolare l’altro coniuge, che resta stretto da quel vincolo come i suoi aventi causa, sino a quando il provvedimento non venga .Allo stesso modo nel giudizio di divisione se ne deve tenere conto indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro coniugi oppure venga  venduto a terzi.

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Sentenza collegata

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Dott.ssa Concas Alessandra

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