Estradizione: quali effetti esplica la commutazione dell’ergastolo in uno Stato estero che non ammette la pena perpetua

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(Ricorso rigettato)

Massima della sentenza
Le Sezioni Unite hanno affermato che la commutazione dell’ergastolo in attuazione di una condizione apposta in un provvedimento di estensione dell’estradizione, adottato da uno Stato estero il cui ordinamento non ammette la pena perpetua, esplica i suoi effetti soltanto in relazione alla pena oggetto della condizione, nell’ambito della relativa procedura di estensione, senza operare con riguardo ad altra pena dell’ergastolo – oggetto di un cumulo con la prima – irrogata con una condanna per la cui esecuzione sia stato in precedenza emesso altro provvedimento di estradizione non condizionato.

Il fatto

La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere aveva rigettato, in funzione di giudice dell’esecuzione, una richiesta presentata al fine di ottenere la sostituzione, con la pena di anni trenta di reclusione, della pena dell’ergastolo attualmente in corso di espiazione per effetto di due sentenze di condanna emesse dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere.

In particolare, a fronte delle richiamate sentenze di condanna, il giudice dell’esecuzione aveva accolto la richiesta di sostituzione soltanto in relazione ad una di esse con la conseguente permanenza in espiazione della pena dell’ergastolo.

Rilevavano al riguardo i giudici di merito che con il provvedimento adottato dall’Autorità spagnola il 23 aprile 1999, nell’ambito del procedimento di estradizione n. 56/1997 – venne disposta la consegna temporanea del ristretto a condizione che costui venisse restituito alla Spagna per essere giudicato e, se del caso, scontare la condanna inflitta – rese esecutiva e produttiva di effetti l’ordinanza del 14 luglio 1998 che aveva dichiarato l’ammissibilità della già concessa estradizione verso l’Italia perché vi fosse giudicato per i fatti di cui all’ordinanza cautelare emessa il 10 dicembre 1997, avente ad oggetto un delitto di omicidio ed altri reati commessi in Casal di Principe il 19 marzo 1994.

Orbene, giunto in Italia, egli era stato processato e condannato alla pena dell’ergastolo con sentenza del 23 gennaio 2003, per essere poi riconsegnato alla Spagna il 26 gennaio 2004 ed ivi giudicato per i reati commessi in quello Stato.

In tale provvedimento di estradizione alcuna condizione, però, era stata apposta in relazione alla pena da eseguire.

Detto questo, la richiamata ordinanza del giudice dell’esecuzione poneva altresì in evidenza il fatto che, successivamente, le Autorità italiane formularono altra richiesta di estradizione in estensione, affinché il D. F. potesse rispondere di un omicidio e tale estradizione fu concessa con la condizione che, in caso di irrogazione della pena dell’ergastolo, essa non comportasse inevitabilmente la privazione della libertà per tutta la vita.

Per tale delitto il ristretto era stato condannato alla pena dell’ergastolo con sentenza emessa dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere.

Ciò posto, la Corte territoriale osservava come se, da un lato, non vi fosse dubbio che l’irrogazione della pena dell’ergastolo nei confronti di un imputato estradato con la condizione dell’applicazione di una pena detentiva solo temporanea configura un’ipotesi di pena illegale – che il giudice dell’esecuzione deve pertanto sostituire ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. -, dall’altro lato, fosse indiscutibile che il principio vale solo ed esclusivamente nelle ipotesi in cui tale condizione sia stata specificamente posta dallo Stato estradante fermo restando che ogni procedura di estradizione, sia pure svolta in estensione di un precedente provvedimento, ha la sua autonomia, sicché la condizione apposta relativamente alla pena da eseguire non può che avere ad oggetto il reato per il quale è stata prevista espressamente.

Sulla base di tali considerazioni, la richiamata ordinanza aveva concluso il suo percorso argomentativo affermando che la commutazione della pena dell’ergastolo deve essere disposta solo in relazione alla condanna cui fa riferimento il successivo provvedimento di estradizione che quella condizione ha apposto, non potendo gli effetti di tale condizione retroagire ed invadere l’ambito applicativo di precedenti provvedimenti di estradizione, relativi a reati completamente diversi.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la richiamata ordinanza proponeva ricorso il difensore del ristretto che aveva dedotto i seguenti motivi:

1) violazioni di legge e vizi della motivazione atteso che quanto statuito in sede di estensione dell’estradizione non può non produrre effetti anche sulle precedenti decisioni di estradizione non essendo concepibile che quanto stabilito in un provvedimento di chiusura di una procedura estradizionale non esplichi effetti anche sulle precedenti domande di estradizione, e ciò comporta che la condizione apposta relativamente alla commutazione della pena perpetua in sede di estensione dell’estradizione deve ritenersi operante anche in relazione alle condanne per i fatti oggetto di precedenti estradizioni, come peraltro affermato dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza n. 12655 del 21 marzo 2019;

2) censure analoghe rispetto a quanto enunciato al punto precedente venivano fatte con riferimento all’indebita scissione del cumulo delle pene in pregiudizio del condannato.

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Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione

La Prima Sezione penale rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite prospettando un contrasto potenziale di giurisprudenza.

La Sezione rimettente rileva preliminarmente che nella giurisprudenza di legittimità si è affermato il principio secondo cui “la concessione dell’estradizione, sul presupposto dell’irrogabilità di una pena detentiva temporanea per reati astrattamente punibili con l’ergastolo, da uno Stato che non ammette la detenzione perpetua, comporta che la pena detentiva eseguibile non può superare la durata indicata nella richiesta di estradizione; ne consegue che la successiva irrogazione dell’ergastolo da parte del giudice della cognizione costituisce applicazione di pena illegale che deve essere corretta attraverso il rimedio dell’incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen.” (Sez. 1, n. 1776 del 30/11/2017; Sez. 1, n. 6278 del 16/07/2014) ritenendosi in tal modo superato l’indirizzo (da ultimo seguito da Sez. 1, n. 47935 del 11/10/2016) secondo cui la violazione del principio di specialità deve ritenersi assorbita dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna (Sez. 1, n. 43095 del 22/10/2012; Sez. 1, n. 35267 del 07/06/2006).

L’ordinanza di rimessione osservava, inoltre, che l’affermazione del giudice dell’esecuzione, secondo cui la condizione di commutazione apposta soltanto in uno dei plurimi provvedimenti di estradizione non può interessare gli altri in precedenza emessi, trova indiretto sostegno in una pronuncia della Cassazione (Sez. 1, n. 47935 del 11/10/2016, omissis, cit.) che, seppur incidentalmente, ha riconosciuto la legittimità della statuizione di merito che aveva escluso la sussistenza di impedimenti all’applicazione della pena dell’ergastolo sul presupposto che in quel caso lo Stato estradante – sempre la Spagna – dopo avere, con un primo provvedimento di estradizione, apposto la condizione di commutazione della pena, aveva concesso la successiva estradizione, per l’esecuzione di altra pena dell’ergastolo, senza porre alcun limite e senza richiedere alcuna garanzia circa la non applicazione della pena perpetua.

Secondo un diverso orientamento giurisprudenziale (espresso da Sez. 1, n. 12655 del 24/01/2019), la condizione di commutazione della pena dell’ergastolo in pena temporanea, posta da uno Stato che non ammette la detenzione perpetua (nella specie, la Spagna), deve essere applicata con riferimento alla pena complessiva risultante dall’unificazione dei titoli relativi a fatti anteriori alla consegna per la cui esecuzione è stata concessa l’estensione dell’estradizione pur senza la reiterazione della condizione.

Precisato ciò, la Sezione rimettente proseguiva il suo ragionamento giuridico evidenziando come la giurisprudenza di legittimità abbia già affrontato il tema del concorso – all’interno di un rapporto esecutivo con pluralità di titoli – di due modalità di esecuzione fra loro incompatibili.

In particolare, ciò è avvenuto per i casi di unificazione di diverse pene concorrenti, alcune delle quali interessate dalla sospensione dell’esecuzione ai sensi della legge 1 agosto 2003, n. 207 (cd. “indultino”), che limitava l’applicabilità dell’istituto soltanto ai condannati in stato di detenzione ovvero in attesa di esecuzione della pena alla data di entrata in vigore della legge (ossia il 22 agosto 2003).

Al riguardo la Corte aveva stabilito che il concorso fra le due modalità di esecuzione diverse e incompatibili, l’una segnata dalla detenzione carceraria e l’altra dalla sospensione della detenzione con imposizione di prescrizioni, deve “essere regolato all’interno del medesimo rapporto esecutivo, non essendo possibile operare una scissione ideale delle pene concorrenti”, ed ha pertanto affermato che la modalità esecutiva più favorevole non può essere applicata scomponendo idealmente il cumulo “per determinare su quali, e in quale misura”, operi ….”ricomponendo all’esito il cumulo secondo il nuovo calcolo delle pene eseguibili”.

La soluzione era stata così individuata per mezzo del criterio temporale dando prevalenza al titolo sopravvenuto, ed ostativo alla fruizione del beneficio, con la conseguenza che l’esecuzione cumulativa si è avvalsa delle forme ordinarie di espiazione (in termini v., ex multis, Sez. 1, n. 47005 del 28/10/2008) ma tale criterio veniva ritenuto, in tale ordinanza di rimessione, non applicabile nel caso in esame atteso che il beneficio della condizione di commutazione non è connesso a limiti temporali, a differenza di quel che si verificava per l’ipotesi della sospensione condizionale della esecuzione della pena ai sensi della legge 1 agosto 2003, n. 207.

Conclusivamente, la Sezione rimettente aveva ritenuto di doversi discostare dall’indirizzo espresso nella richiamata sentenza n. 6278/2014 in forza di un duplice ordine di argomentazioni: a) occorre valorizzare l’autonomia di ciascun provvedimento di estradizione, non importando che taluno sia richiesto in estensione; b) proprio in ragione della richiamata autonomia dei provvedimenti di estradizione nei confronti di una stessa persona, il principio di unicità del rapporto esecutivo non può far refluire una condizione apposta dallo Stato estradante nell’esecuzione di pene da essa non interessate, come peraltro già affermato, sia pure in relazione a una diversa vicenda, nella sentenza n. 47935/2016.

La Prima Sezione aveva quindi rimesso il ricorso alle Sezioni Unite profilandosi, rispetto all’orientamento seguito dalla sentenza n. 6278, un potenziale contrasto il cui rilievo, per quanto limitato ad una sola decisione di segno contrario, appariva essere di speciale importanza perché non solo investiva il delicato problema dei rapporti tra Stati nella materia della estradizione, ma appariva potenzialmente suscettibile di ricadute anche in relazione all’analoga tematica del mandato di arresto europeo esecutivo.

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La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione

Il Procuratore generale, a sua volta, aveva illustrato le sue conclusioni eccependo in via preliminare la inammissibilità del ricorso per essere la questione oggetto del primo motivo coperta da giudicato in quanto già affrontata e definita con esito negativo, dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44488 del 1 dicembre 2010, citata in premessa e relativa al processo di cognizione concluso con la condanna alla pena dell’ergastolo della quale si discute.

In via subordinata, veniva chiesto il rigetto del ricorso ponendo in rilievo il fatto che, diversamente da quanto avvenuto nella seconda estradizione, in occasione della prima procedura non era stata apposta alcuna condizione dallo Stato richiesto in merito all’applicazione della pena dell’ergastolo, e ciò avrebbe reso tale condizione non operante nel caso di specie non potendo il giudice italiano sostituirsi alle autorità dello Stato estero richiesto dell’estradizione.

Ulteriori scritti difensivi prodotti dalla parte

Con memoria depositata ai sensi dell’art. 611, comma 1, cod. proc. pen., il difensore aveva prodotto nuovi documenti ed esposto ulteriori argomentazioni a sostegno dei motivi dedotti nel ricorso, insistendo nel suo accoglimento.

Dalla documentazione allegata in copia alla memoria difensiva risultava come, con una ordinanza del 26 gennaio 2019, l’Audiencia Nacional avesse integrato la parte dispositiva dell’ordinanza di estradizione adottata il 14 luglio 1998 (n. 56/97) aggiungendovi la clausola di seguito indicata: “La consegna sarà condizionata al presupposto che, nel caso dovesse essere inflitta al reclamato N. D. F. la pena dell’ergastolo, questa sia soggetta a revisione, in modo che non comporti la privazione della libertà inevitabilmente a vita”.

Risultava, inoltre, come tale ordinanza, recante la data del 26 gennaio 2019, fosse stata corretta nella indicazione della data di emissione da una successiva ordinanza del 27 dicembre 2019 che aveva a sua volta disposto la correzione di un errore materiale in essa contenuto là dove era scritto “Madrid 26 gennaio 2019”, da intendersi come “Madrid 26 dicembre 2019”.

Orbene, da tale provvedimento di integrazione, sarebbe emersa, ad avviso del ricorrente, una connessione tra le due primigenie ordinanze di estradizione con la conseguenza che la condizione della non irrogabilità della pena perpetua avrebbe costituito un presupposto indefettibile della concessa estradizione.

L’iniziativa assunta dal Presidente aggiunto

Con nota inviata in data 11 marzo 2021 il Presidente aggiunto aveva chiesto al Ministero della giustizia informazioni in merito alla corrispondenza fra gli originali dei provvedimenti adottati dall’Autorità giudiziaria spagnola e quelli prodotti in copia dal difensore del ricorrente, con la conseguente richiesta di trasmissione alla Corte degli originali ovvero delle copie conformi dei richiamati provvedimenti, muniti di una traduzione ufficiale in lingua italiana.

Con la medesima nota, inoltre, erano state richieste informazioni in merito alle determinazioni eventualmente adottate dal Ministro della giustizia nell’ambito delle competenze riservategli dall’art. 720, comma 4, cod. proc. pen.

Ebbene, a fronte di tale richiesta, il Ministero della giustizia aveva risposto, con nota del 22 marzo 2021, fornendo le informazioni di seguito indicate: a) le copie dei provvedimenti di concessione dell’estradizione e di estensione dell’estradizione a suo tempo inviate al Ministero dalle competenti autorità del Regno di Spagna corrispondevano integralmente alle copie dei medesimi provvedimenti prodotte dal difensore del ricorrente; b) di tali provvedimenti era stata trasmessa la traduzione in lingua italiana; c) non v’era alcun motivo di dubitare della conformità di tali copie ai rispettivi originali; d) il Ministro della giustizia non aveva adottato alcuna determinazione ai sensi dell’art. 720, comma 4, cod. proc. pen. in relazione all’incondizionato decreto di estradizione emesso in data 14 luglio 1998, così come pure in relazione al decreto di estensione dell’estradizione in data 4 ottobre 2004, che invece recava la seguente condizione: “nel caso in cui venga inflitta al soggetto N. D. F. la pena dell’ergastolo, la stessa sia suscettibile di revisione, in modo che non presupponga inevitabilmente la privazione della libertà a vita”; e) il Ministro della giustizia, infine, non aveva adottato alcuna determinazione, ai sensi dell’art. 720 cit., in relazione al richiamato provvedimento estero del 26 dicembre 2019, con il quale era stata apposta identica condizione, a distanza di oltre venti anni, al decreto di estradizione del 14 luglio 1998.

Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite

Prima di entrare nel merito della questione, le Sezioni Unite procedevano a delimitarla nei seguenti termini: “Se la condizione di commutazione della pena dell’ergastolo in pena che non comporti inevitabilmente la privazione della libertà personale per l’intera vita, posta dallo Stato estero richiesto con riferimento a condanna per la quale sia stata concessa la estradizione in estensione, debba operare anche in relazione ad altra condanna alla pena dell’ergastolo, per la cui esecuzione è stata concessa in precedenza l’estradizione senza l’apposizione della stessa condizione, e che sia stata, assieme alla prima, oggetto di unificazione delle pene ai sensi dell’art. 663 cod. proc. pen.”.

Premesso ciò, prima di esaminare tale questione, veniva rilevato che, nel caso di specie, pur versandosi in tema di rapporti intergiurisdizionali che coinvolgevano due Stati membri dell’Unione Europea, la normativa applicabile ratione temporis non era quella contemplata dalla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio dell’Unione europea del 13 giugno 2002 relativamente alla nuova procedura di consegna basata sul mandato di arresto europeo, ma quella prevista dalla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 (entrata in vigore, per l’Italia, il 4 novembre 1963 e, per la Spagna, il 5 agosto 1982), nonché dalle rispettive normative nazionali in tema di estradizione posto che la disposizione transitoria di cui all’art. 32 della predetta decisione quadro stabilisce che le richieste di estradizione ricevute anteriormente alla data del 1 gennaio 2004 continuano ad essere disciplinate dagli strumenti normativi esistenti all’epoca in materia di estradizione mentre, a sua volta, la norma transitoria di cui all’art. 40, comma 2, della legge 22 aprile 2005, n. 69, che ha dato attuazione nel nostro ordinamento alla richiamata decisione quadro 2002/584/GAI, prevede che alle richieste di consegna relative a reati commessi prima del 7 agosto 2002 restano applicabili le disposizioni anteriormente vigenti in materia di estradizione.

Tal che se ne faceva conseguire come che nella vicenda in esame, ove i reati oggetto delle due procedure estradizionali erano stati commessi anteriormente a quest’ultima data ed entrambe le richieste di consegna erano state formulate prima del su indicato limite temporale del 1 gennaio 2004, la disciplina applicabile fosse quella prevista dal diritto estradizionale, non quella relativa al mandato di arresto europeo che, in forza dell’art. 31, par. 1, della decisione quadro, ha sostituito nelle relazioni fra gli Stati membri le corrispondenti disposizioni delle convenzioni applicabili in materia di estradizione.

Precisato ciò, gli Ermellini osservavano come sul tema oggetto della questione rimessa alle Sezioni Unite fossero rinvenibili due diversi orientamenti giurisprudenziali.

Secondo un primo indirizzo interpretativo, in presenza di plurimi provvedimenti di estradizione, dei quali uno solo condizionato alla non applicazione dell’ergastolo, deve ritenersi esclusa l’efficacia espansiva di tale condizione anche alla diversa consegna in cui la condizione non sia stata espressamente apposta (Sez. 1, n. 47935 del 11/10/2016) rilevandosi al contempo che, come osservato dalla stessa ordinanza di rimessione, la fattispecie esaminata nella sentenza da ultimo citata era per taluni aspetti diversa da quella oggetto della presente vicenda, perché in quel caso (anch’esso riguardante una domanda di estradizione formulata dall’Italia al Regno di Spagna) la condizione era stata apposta dall’autorità estera con il primo provvedimento e non era stata reiterata con la concessione della seconda estradizione, sicché tale circostanza era stata interpretata come l’espressione di un mutato orientamento da parte delle Autorità spagnole.

Sulla stessa linea interpretativa si era tra l’altro posta altra decisione della Corte (Sez. 5, n. 21761 del 29/01/2019) in relazione ad un caso in cui era stata rigettata la richiesta di rideterminazione della pena dell’ergastolo nella pena massima di ventuno anni di reclusione, ritenendo la pena irrogata legale in quanto applicata nel rispetto del titolo estradizionale, ove alcuna condizione in tema di pena perpetua era stata apposta dalla Spagna.

In particolare, secondo tale decisione, l’irrogazione della pena dell’ergastolo nei confronti dell’imputato estradato sotto la condizione, recepita dallo Stato italiano ai sensi dell’art. 720, comma 4, cod. proc. pen., che gli venga applicata una pena detentiva solo temporanea, configura un’ipotesi di pena illegale che il giudice dell’esecuzione ha il potere di sostituire ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. fermo restando però che siffatta evenienza, tuttavia, è configurabile, secondo tale orientamento, esclusivamente nel caso in cui la condizione sia stata specificamente posta dallo Stato estradante.

Un diverso orientamento giurisprudenziale ha, invece, affermato che l’esclusione della pena perpetua non può essere relegata nell’ambito della sola condanna alla pena dell’ergastolo a cui formalmente accede la condizione di commutazione nella pena temporanea atteso che, se così fosse, il significato di garanzia della condizione in parola sarebbe vanificato qualora, in applicazione della regola sull’unicità del rapporto esecutivo e sulla necessaria unificazione dei plurimi titoli, si dovesse ritenere che la commutazione della pena è un adempimento i cui effetti si disperdano non appena si proceda al cumulo con le altre pene perpetue, tutte irrogate per fatti anteriori alla consegna e per le quali si è pertanto reso necessario il ricorso all’estensione dell’estradizione; in altre parole, una volta formato il cumulo delle pene per la cui esecuzione l’estradizione è stata reiteratamente richiesta, la condizione posta in relazione ad una di esse estende la sua forza preclusiva anche sulle altre (Sez. 1, n. 12655 del 24/01/2019).

Oltre a ciò, veniva altresì fatto presente come tale indirizzo interpretativo muovesse dal presupposto della necessaria ragionevolezza dei comportamenti tenuti dall’Autorità estradante e poggia le sue argomentazioni sulla impossibilità di ritenere che la mancata apposizione della condizione per le richieste successive alla prima, ove invece il provvedimento di estradizione è stato sottoposto a condizione, comporti l’implicita revoca della condizione anteriormente apposta.

Pur tuttavia, a tale ultimo precedente, la Sezione rimettente non aveva ritenuto di potersi conformare sulla base di un duplice ordine di argomentazioni, rispettivamente incentrate sulla insindacabilità delle determinazioni assunte dallo Stato estero e sull’impermeabilità della autonomia dei provvedimenti di estradizione rispetto al principio di unicità del rapporto esecutivo.

Si era in primo luogo esclusa, entro tale prospettiva, qualsiasi possibilità di indagare sulle intenzioni dello Stato membro di emissione e di interpretare, pertanto, la sua scelta di non apporre la condizione di commutazione dato che quest’ultima vale «….per quel che è e nei limiti in cui è stata posta: non viene né potenziata né annullata dai provvedimenti di estradizione incondizionata precedenti o successivi: non ne è travolta ma nemmeno si espande».

In secondo luogo, coerentemente con tale premessa argomentativa, era stata valorizzata l’autonomia di ciascun provvedimento di estradizione, non rilevando che taluno di essi venga richiesto in estensione, sicché, proprio in ragione di tale assenza di interferenze, il principio di unicità del rapporto esecutivo impedisce di far refluire una condizione apposta dallo Stato estradante nell’esecuzione di pene che da tale condizione non siano interessate.

Orbene, il Collegio, così riunito a Sezioni Unite, riteneva di condividere l’impostazione delineata dalla ordinanza di rimessione per le ragioni di seguito indicate.

In particolare, una volta fatto presente che, come accennato prima, perlomeno in parte, alle Sezioni Unite era devoluta la composizione di un contrasto giurisprudenziale insorto su una questione che si collocava nel delicato punto di intersezione fra il diritto estradizionale e l’applicazione in sede esecutiva di un cumulo relativo a pluralità di condanne all’ergastolo, nell’ipotesi in cui il rapporto di cooperazione giudiziaria internazionale ponga l’Italia, quale Stato richiedente, in contatto con uno Stato – come, nel caso di specie, il Regno di Spagna – che non contempli nel suo apparato sanzionatorio la pena della detenzione a vita.

Precisato ciò, veniva in primo luogo osservato come, in simili evenienze, le norme convenzionali (ad es., l’art. 16, parr. 1 e 2, del Trattato di estradizione sottoscritto dall’Italia con il Venezuela il 23 agosto 1930 e ratificato nel nostro ordinamento con la legge 17 aprile 1931, n. 517) prevedano talora la possibilità che lo Stato estero accordi la consegna, subordinandola, tuttavia, alla condizione che la sanzione irrogata perda il suo carattere di perpetuità.

Analogo obiettivo, del resto, ha inteso perseguire, nell’ambito dei Paesi aderenti all’Unione europea, la disciplina della nuova procedura di consegna basata sul mandato di arresto europeo, atteso che l’art. 5, n. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio dell’Unione europea del 13 giugno 2002, nel prevedere le garanzie che lo Stato emittente deve fornire in casi particolari, stabilisce che “se il reato in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso è punibile con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà a vita, l’esecuzione di tale mandato può essere subordinata alla condizione che lo Stato membro emittente preveda nel suo ordinamento giuridico una revisione della pena comminata – su richiesta o al più tardi dopo 20 anni – oppure l’applicazione di misure di clemenza alle quali la persona ha diritto in virtù della legge o della prassi dello Stato membro di emissione, affinché la pena o la misura in questione non siano eseguite”.

Nella sua più recente evoluzione, come ricordato nell’ordinanza di rimessione, la giurisprudenza di legittimità tende ad affermare che, dalla violazione di un impegno assunto in sede internazionale, discende l’illegalità della pena perpetua eventualmente inflitta all’estradato (Sez. 1, n. 1776 del 30/11/2017; Sez. 1, n. 6278 del 16/07/2014), la quale può essere in tal caso rimossa anche attraverso l’incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen..

Un approdo ermeneutico, questo, il cui esito, ad avviso del Supremo Consesso, valorizzando le implicazioni sottese alle più recenti indicazioni offerte dalle Sezioni Unite in tema di limiti opponibili alla intangibilità del giudicato nei casi in cui la pena debba subire modificazioni necessarie imposte dal sistema a tutela dei diritti primari della persona (Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014; Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013), costituisce il superamento di un altro indirizzo che negava, invece, l’esperibilità del rimedio in fase esecutiva (Sez. 1, n. 26202 del 17/06/2009).

L’estradato, dunque, è tutelato dai riverberi negativi di eventuali infrazioni compiute nel procedimento penale a suo carico posto che non v’è dubbio che l’irrogazione della pena dell’ergastolo, rispetto ad un imputato estradato sotto la condizione – recepita dallo Stato italiano ai sensi dell’art. 720, comma 4, cod. proc. pen. – che gli venga applicata una pena detentiva solo temporanea, configuri un’ipotesi di pena illegale.

Tale disposizione, invero, integra il parametro normativo legale che fonda l’esercizio della potestà punitiva statuale e concorre, insieme alla norma incriminatrice interna, a delimitare la cornice edittale astratta del reato, che risulterà dalla combinazione della previsione di pena originariamente stabilita con gli adattamenti e le limitazioni che formano oggetto della condizione stabilita per effetto della norma convenzionale fermo restando che quest’ultima, a sua volta, dovendo rispettare i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, tra cui l’art. 25, secondo comma, Cost., non potrà importare aggravamenti del trattamento sanzionatorio, ma renderà possibile, se del caso, la mitigazione, ove accettata dall’Italia nel quadro degli strumenti di cooperazione giudiziaria in materia estradizionale.

Da ciò se ne fa discendere che, nell’ipotesi di estradizione concessa sotto condizione, l’inosservanza di quest’ultima costituisce una forma di inadempimento di obblighi internazionali di fonte convenzionale la cui tutela riposa direttamente (non diversamente da quanto accade per gli obblighi derivanti dalla adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) sull’art. 117, primo comma, Cost. (Sez. 1, n. 1776 del 30/11/2017) rilevandosi al contempo come possa accadere, peraltro, che la dinamica del rapporto di cooperazione giudiziaria in materia estradizionale presenti profili di particolare complessità, determinati dal fatto che la persona, ricercata per una pluralità di titoli, sia consegnata in forza di molteplici provvedimenti di estradizione che si susseguono nel tempo.

Ebbene, nel caso in esame, rilevavano le Sezioni Unite, si controverteva sulla eventuale efficacia espansiva della condizione apposta soltanto in relazione ad un provvedimento di estradizione e sulla sua attitudine a vincolare l’esecuzione anche di altro provvedimento ove essa formalmente non figura con riferimento alla specifica ipotesi nella quale le pene da eseguire siano state oggetto di provvedimento di “cumulo” ai sensi dell’art. 663 cod. proc. pen..

Del resto, secondo la Corte di legittimità, la scelta, da parte dello Stato richiesto, di apporre condizioni necessarie per concedere l’estradizione, costituisce il frutto di una determinazione affatto inusuale tanto da essere espressamente prevista anche nell’art. 720, comma 4, cod. proc. pen..

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Il presente testo affronta in modo completo e approfondito la disciplina del processo penale, permettendo uno studio organico e sistematico della materia. L’opera è aggiornata alla L. n. 7 del 2020 di riforma della disciplina delle intercettazioni, al D.L. n. 28 del 2020 in tema di processo penale da remoto, ordinamento penitenziario e tracciamento di contatti e contagi da Covid-19 e alla più recente giurisprudenza costituzionale e di legittimità.   Giorgio SpangherProfessore emerito di procedura penale presso l’Università di Roma “La Sapienza”.Marco ZincaniAvvocato patrocinatore in Cassazione, presidente e fondatore di Formazione Giuridica, scuola d’eccellenza nella preparazione all’esame forense presente su tutto il territorio nazionale. Docente e formatore in venti città italiane, Ph.D., autore di oltre quattrocento contributi diretti alla preparazione dell’Esame di Stato. È l’ideatore del sito wikilaw.it e del gestionale Desiderio, il più evoluto sistema di formazione a distanza per esami e concorsi pubblici. È Autore della collana Esame Forense.

Marco Zincani, Giorgio Spangher | 2021 Maggioli Editore

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Questa disposizione, in effetti, disciplina quella peculiare forma di estradizione attiva condizionata che ricorre nell’ipotesi in cui le autorità italiane avanzino una richiesta di estradizione nei confronti di una persona della quale altro Stato abbia la fisica disponibilità, al fine di sottoporla a procedimento penale ovvero di dare esecuzione ad una pronuncia di condanna e, in tal caso, all’eventuale apposizione di una o più condizioni da parte dello Stato richiesto, si correla il potere-dovere delle competenti autorità dello Stato richiedente di vagliarne la conformità ai principi fondamentali del proprio ordinamento giuridico.

E’ evidente, al riguardo, per il Supremo Consesso, la connotazione politica della decisione, affidata al Ministro della giustizia, di accettare o rifiutare le condizioni eventualmente poste dallo Stato estero per concedere l’exequatur alla domanda di estradizione proveniente dall’Italia posto che a tale organo politico compete l’accettazione delle clausole cui l’estradizione è subordinata, purché non contrastanti con “i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano”, ma con il vincolo, se tale limite non è violato, del loro rispetto da parte dell’autorità giudiziaria che ad esse necessariamente deve adeguarsi ponendo in essere gli atti e gli adempimenti conseguenziali mentre non v’è, di contro, alcun obbligo per l’autorità giudiziaria di osservare condizioni ulteriori rispetto a quelle accettate dal Ministro.

Se dallo Stato richiesto non è formulata una espressa manifestazione di volontà in ordine ad una consegna condizionata, essa non quindi è affatto desumibile sulla base di elementi presuntivi, nemmeno quando questi abbiano natura dispositiva e condizionino la effettività della tutela di diritti costituzionalmente garantiti dall’ordinamento straniero.

Infatti, solo se posta, la condizione comporta una responsabilità dello Stato richiedente, come evidenziato dalla dottrina, sicché non può esservi alcuna interferenza tra onere e responsabilità della condizione: il primo, infatti, resta nell’ambito della competenza funzionale dello Stato richiesto, la seconda invece segue le regole stabilite dall’ordinamento dello Stato richiedente e la conferma di tale impostazione ermeneutica si ricava proprio dall’analisi testuale della richiamata disposizione di cui all’art. 720 cod. proc. pen., là dove si attribuisce al Ministro il potere di accettare le riserve eventualmente poste dallo Stato che ha concesso la consegna, imponendo al contempo all’autorità giudiziaria il vincolo del rispetto delle sole condizioni accettate mentre, solo se la condizione viene espressamente posta, lo Stato richiedente, nell’accettarne il contenuto in quanto compatibile con i principi fondamentali, può ritenersi impegnato a garantirne il rispetto a livello internazionale.

Sul piano sistematico, inoltre, la norma codicistica ricollega alla sussistenza della clausola sia i poteri di controllo del Ministro sulla sua ammissibilità, che l’obbligo giudiziale di darvi esecuzione; sul versante politico, invece, essa mira a garantire il rispetto per l’autonomia di ogni ordinamento giuridico, prescrivendo che la libertà di decisione dello Stato estero trovi un limite nella discrezionalità dell’autorità nazionale competente e nei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano.

L’interna articolazione delle regole di riparto delle competenze politiche e giurisdizionali stabilite nell’art. 720 cod. proc. pen. costituisce, per i giudici di piazza Cavour, la riprova che soltanto la condizione espressa ha una portata vincolante per l’autorità italiana, laddove il mancato rispetto dei diritti fondamentali nel procedimento estero non autorizza le autorità nazionali a porvi rimedio attraverso la previsione di presunzioni che troverebbero un limite invalicabile nell’enunciato legislativo fermo restando che l’estradando, peraltro, può attivare i rimedi giurisdizionali appositamente previsti nell’ordinamento dello Stato richiesto, qualora il provvedimento di estradizione non preveda la condizione che dovrebbe esservi apposta a tutela di un suo diritto (nel caso di specie, il divieto di applicazione della pena perpetua) ma occorre tuttavia considerare che, nell’ipotesi in cui quei rimedi interni non siano stati utilizzati e il provvedimento di estradizione non contenga alcuna condizione, non è consentito al giudice italiano sindacare il provvedimento estero tanto più se si considera che all’autorità giudiziaria italiana non è neppure consentito di apporre arbitrariamente in via interpretativa una condizione o una limitazione che lo Stato estero non ha previsto.

Da ciò se ne fanno conseguire, quale logico corollario, due conseguenze: a) l’obbligo per il giudice nazionale di dar seguito al provvedimento di consegna condizionata è determinato dalla natura e dall’ampiezza del suo contenuto e non può oltrepassare il limite, di carattere sostanziale, derivante dal fatto che lo Stato richiesto non abbia esplicitamente subordinato la concessione dell’estradizione alla riserva che il soggetto consegnato non venga sottoposto alla pena dell’ergastolo; b) solo nell’ipotesi in cui l’autorità estera abbia manifestato la volontà di condizionare l’estradizione alla presenza, nell’ordinamento dello Stato richiedente, di particolari misure volte a mitigare la esecuzione dell’ergastolo, l’irrogazione della sanzione perpetua da parte del giudice italiano viene ad integrare un’ipotesi di pena illegale, emendabile per il tramite dell’incidente di esecuzione.

La condizione di commutazione della pena dell’ergastolo che, nel corso di una procedura estradizionale, venga apposta in relazione ad una sola delle pene dello stesso genere irrogate con plurime sentenze di condanna emesse nei confronti della medesima persona opera, per il Supremo Consesso, pertanto, con esclusivo riferimento alla esecuzione della pena per la quale quel provvedimento di estradizione sia stato emesso.

Oltre a ciò, veniva altresì fatto presente che, sotto altro, ma connesso profilo, si poneva la disamina delle questioni legate alla natura e alle modalità di applicazione dell’istituto della “estensione dell’estradizione” o “estradizione suppletiva” che opera qualora sia necessario ampliare l’ambito della prima consegna e consentire l’esecuzione di titoli relativi a reati commessi in precedenza, superando, in tal modo, il vincolo costituito dal principio di specialità.

Si osservava a tal proposito che, sulla configurazione del rapporto con la precedente richiesta di estradizione, un’autorevole dottrina osserva che, a differenza di quanto può trasparire dalla denominazione ricevuta nel codice (art. 710 cod. proc. pen.), l’estensione dell’estradizione presuppone una nuova domanda di estradizione e non un puro e semplice operare della prima concessione anche con riferimento al fatto diverso.

I tratti caratterizzanti l’istituto, dunque, per la Cassazione, non consentono di individuarvi una fattispecie ancillare ovvero una mera appendice esecutiva della precedente procedura ma ne disegnano – come del resto si verifica anche nelle contigue ipotesi della riestradizione (art. 711 cod. proc. pen.) e del transito (art. 712 cod. proc. pen.) – un procedimento autonomo, pur se logicamente collegato a quello della estradizione principale.

Il procedimento di estradizione suppletiva si instaura a seguito di una nuova domanda di estradizione, che non solo viene presentata, dopo la consegna dell’estradato, da parte dello stesso Stato che l’ha ottenuta, ma ha altresì ad oggetto un fatto anteriore alla consegna e diverso da quello per il quale l’estradizione è già stata concessa trattandosi, quindi, di una richiesta di estensione di effetti della precedente estradizione attraverso una nuova domanda con la quale si sollecita lo Stato richiesto ad esprimere il suo consenso al fine di eliminare i limiti – oggettivamente derivanti dal principio di specialità dell’estradizione – che sono imposti alla giurisdizione dello Stato richiedente e che sono da quest’ultimo accettati con il precedente esito positivo della procedura.

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Il ricorso al procedimento di estensione costituisce, dunque, per la Corte di legittimità, lo strumento convenzionalmente previsto ed accettato per ottenere, nel rispetto del principio di specialità, lo scopo che altrimenti potrebbe raggiungersi solo attraverso una sua violazione fermo restando che una ulteriore conferma di tale impostazione si ricava dalla stessa formulazione lessicale della disposizione di cui all’art. 710 cit. che, nel disciplinare in linea generale le forme dell’istituto, sia pure sul versante dell’estradizione passiva, prevede la presentazione di una “nuova domanda di estradizione” dopo la consegna dell’estradato, non un puro e semplice operare della prima concessione anche in relazione ad un fatto diverso e anteriore, posto che la procedura estensiva si modella in via di principio sulle stesse regole – “in quanto applicabili” – che operano per l’originaria domanda di estradizione formulata in via ordinaria, ma contempla alcune deroghe poiché il giudizio davanti alla Corte d’Appello si svolge in assenza della persona interessata dalla nuova domanda di estradizione e presuppone che alla nuova domanda vengano allegate le dichiarazioni rese dinanzi ad un giudice dello Stato richiedente dall’interessato, sì da consentirgli di esprimersi in ordine alla richiesta di estensione tenuto conto altresì del fatto che non si fa neppure luogo al giudizio se l’estradato, con le sue dichiarazioni, presta il consenso alla richiesta estensiva.

Costituisce, peraltro, un’ipotesi diversa quella relativa alla domanda aggiuntiva di estradizione, che viene generalmente distinta dalla estensione dell’estradizione in quanto presuppone la non avvenuta estradizione per un reato oggetto di una domanda precedentemente presentata, laddove la richiesta di estensione presuppone l’avvenuta consegna in estradizione a fronte di un petitum precedentemente formulato per altro reato anteriormente commesso rispetto a tale consegna.

Veniva altresì rilevato, al riguardo, che, a seguito della riforma del Libro XI del codice di procedura penale operata dal d.lgs. 3 ottobre 2017, n. 149, l’istituto della estensione dell’estradizione è stato per la prima volta disciplinato anche nell’ambito della procedura di estradizione attiva atteso che attraverso la nuova disposizione di cui all’art. 721-bis cod. proc. pen. – inserita nel tessuto codicistico dall’art. 5, comma 1, lett. c), d.lgs. cit. – si consente l’emissione di un’ordinanza cautelare non esecutiva e strumentale al perfezionamento della procedura estradizionale suppletiva attivata con una richiesta appositamente inviata allo Stato estero, senza che le relative cadenze procedimentali dell’istituto divergano dal modello generale delineato, nei suoi contenuti essenziali, dalla richiamata disposizione di cui all’art. 710.

L’autonomia della procedura di estradizione suppletiva, in definitiva, impone di mantenerne separati i presupposti, i contenuti e gli obiettivi da quelli propri della procedura ordinaria di estradizione, senza che le forme o le condizioni che caratterizzano la progressione dell’una possano refluire sulla intervenuta definizione dell’altra.

Analoga autonomia, sul piano sia procedimentale che valutativo, rilevavano sempre le Sezioni Unite, prevede altresì la disposizione, specificamente applicabile nel caso di specie, di cui all’art. 14, par. 1, lett. a), della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, al fine di superare il limite derivante dall’applicazione del principio di specialità.

Ora, nel delineare le eccezioni opponibili alla regola della specialità, la norma pattizia prevede espressamente l’ipotesi del consenso manifestato dallo Stato parte che abbia già provveduto alla consegna e che dovrà in seguito pronunziarsi, ai sensi dell’art. 14, par. 1, “per un fatto qualsiasi anteriore alla consegna che non sia quello che ha dato luogo all’estradizione” dato che, in tal caso, si prevede che una “domanda sarà presentata a tale scopo, corredata degli atti previsti nell’articolo 12 e di un processo verbale giudiziario contenente le dichiarazioni dell’estradato. Questo consenso sarà dato quando il reato per il quale è chiesto implica l’obbligo dell’estradizione conformemente alla presente Convenzione”.

La disposizione di cui all’art. 14, par. 1, lett. a), dunque, nel ritenere necessaria una nuova domanda per ottenere il consenso dello Stato che ha concesso l’estradizione, richiama la norma generale prevista dall’art. 12 della Convenzione, che a sua volta contiene la disciplina della originaria richiesta di estradizione, regolandone la forma, il contenuto e le modalità di documentazione e trasmissione.

Per la estensione dell’estradizione la richiamata norma pattizia prevede, pertanto, la presentazione di una domanda ad hoc, accompagnata da una specifica documentazione e finalizzata ad un ben preciso risultato, rappresentato dall’ampliamento della già concessa estradizione in relazione ad una diversa causa petendi.

Oltre a ciò, considerazioni analoghe venivano altresì svolte in ordine alle forme esecutive degli adempimenti materiali relativi alla consegna rimandata (rinviata) o condizionata che possono verificarsi in seguito alla definizione della procedura estradizionale, secondo quanto previsto dall’art. 19 della suddetta Convenzione poiché, secondo tale norma, lo Stato richiesto potrà, “dopo avere deciso sulla domanda di estradizione”, rinviare la consegna della persona richiesta, affinché possa essere da esso perseguita o, se è già stata condannata, affinché possa espiare sul suo territorio una pena irrogatale per un fatto diverso da quello per il quale l’estradizione è domandata (par. 1).

Invece di rinviare la consegna, inoltre, la medesima disposizione prevede che lo Stato richiesto possa consegnare temporaneamente allo Stato richiedente la persona richiesta alle condizioni che saranno stabilite di comune accordo fra le Parti (par. 2).

Da ciò se ne faceva derivare che, alla concessione dell’estradizione, non necessariamente consegue, senza soluzione di continuità, la materiale consegna dell’estradato allo Stato richiedente, secondo le forme e i tempi disciplinati dall’art. 18 della richiamata Convenzione.

Sia il rinvio della consegna che la consegna temporanea, accompagnata dalla possibile apposizione di condizioni concordate di comune intesa fra le Parti, presuppongono, peraltro, che sulla domanda di estradizione lo Stato richiesto abbia già deciso trattandosi, dunque, di alternative modali della procedura di consegna, intesa quale adempimento materiale successivo alla concessione dell’estradizione, che può come tale presentare diverse connotazioni in sede esecutiva, a seconda delle esigenze, repressive o di altra natura, proprie degli Stati parte: esigenze che variano a seconda della peculiarità del caso e che, proprio attraverso la apponibilità di determinate condizioni, possono trovare in concreto il loro soddisfacimento sulla base di un bilanciato apprezzamento dei rispettivi interessi.

Nella prospettiva ora delineata, per i giudici di legittimità ordinaria, l’estradizione temporanea o condizionata implica che lo Stato interessato dovrà procedere al materiale adempimento della consegna non appena la presenza della persona richiesta non sia più necessaria ai fini della celebrazione del processo all’interno del proprio ordinamento.

La norma pattizia, in altri termini, introduce chiaramente una attenuazione della facoltà di differimento che sussiste in deroga all’obbligo di estradizione e che non è a sua volta concepibile, quindi, se non in relazione alla comune assunzione di tale obbligo, lasciando al contempo ai singoli Stati parte la piena libertà di valutare l’opportunità o meno del differimento.

Lo schema seguito dalla Convenzione europea di estradizione del 1957 viene significativamente replicato in numerose fonti pattizie bilaterali, prevedendosi per lo più la facoltà, non l’obbligo, del differimento in relazione alla specificità delle diverse situazioni concrete.

A mero titolo esemplificativo venivano menzionati al riguardo: a) l’art. 10 della Convenzione di estradizione con la Repubblica Argentina del 9 dicembre 1987, ratificata con I. 19 febbraio 1992, n. 219; b) l’art. 8 del Trattato di estradizione con l’Australia del 26 agosto 1985, ratificato con I. 2 gennaio 1989, n. 12; c) l’art. XIII del Trattato con il Canada del 6 maggio 1981, ratificato con I. 22 aprile 1985, n. 158; d) l’art. 12 del Trattato con il Paraguay del 19 marzo 1997, ratificato con I. 27 gennaio 2000, n. 14).

Cadenze non dissimili, del resto, caratterizzano l’articolazione procedimentale configurata dalla stessa normativa codicistica (art. 709 cod. proc. pen.) là dove, sempre in seguito alla decisione sulla domanda di estradizione, si prevedono sia la sospensione della consegna (in forma di obbligo anziché di mera facoltà) che una consegna temporanea allo Stato richiedente, rimettendo la relativa facoltà al Ministro della giustizia, che vi provvederà dopo aver sentito l’autorità giudiziaria competente per il procedimento in corso nello Stato o per l’esecuzione della pena, concordando successivamente modalità e termini della consegna con le autorità dell’altro Stato.

In definitiva, una volta consegnata alle autorità dello Stato richiedente la persona oggetto della relativa domanda, il procedimento di estradizione, anche nella sua appendice propriamente esecutiva, deve considerarsi ormai esaurito ma ciò non esclude ovviamente la presenza, secondo le specifiche previsioni al riguardo dettate dalle fonti convenzionali, di un eventuale obbligo di riconsegna una volta che siano cessate le esigenze – legate alla definizione del procedimento interno ovvero all’espiazione della pena irrogata per il fatto diverso – in vista delle quali si sia proceduto alla consegna temporanea.

Dall’autonomia delle diverse domande estradizionali che possono essere in concreto attivate nei confronti della medesima persona – non importa se in via ordinaria o estensiva – discendeva, per le Sezioni Unite, che la condizione apposta in relazione al provvedimento terminativo dell’una non può esercitare alcuna incidenza sul provvedimento che definisce l’altra fermo restando come sia peraltro evidente, nella prospettiva logico-sistematica e teleologica propria della normativa estradizionale, che una condizione può essere validamente apposta dallo Stato estero, e ritualmente accettata dal Ministro della giustizia ai sensi dell’art. 720, comma 4, cit., solo in vista della concessione dell’estradizione (per concedere l’estradizione….), dunque ai fini del definitivo accoglimento della domanda, non certo quando la relativa procedura si sia conclusa e le finalità – processuali o esecutive – per le quali essa è stata concessa siano state – come nel caso in esame – ormai definitivamente raggiunte.

In conclusione, la questione posta dall’ordinanza di rimessione era risolta enunciando il seguente principio di diritto: «La commutazione dell’ergastolo in attuazione di una condizione apposta in un provvedimento di estensione dell’estradizione, adottato da uno Stato estero il cui ordinamento non ammette la pena perpetua, esplica i suoi effetti soltanto in relazione alla pena oggetto della condizione, nell’ambito della relativa procedura di estensione, senza operare con riguardo ad altra pena dell’ergastolo – oggetto di cumulo con la prima – irrogata con una condanna per la cui esecuzione sia stato in precedenza emesso altro provvedimento di estradizione non condizionato».

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante in quanto con essa viene composto un contrasto giurisprudenziale ossia: se la condizione di commutazione della pena dell’ergastolo in pena che non comporti inevitabilmente la privazione della libertà personale per l’intera vita, posta dallo Stato estero richiesto con riferimento a condanna per la quale sia stata concessa la estradizione in estensione, debba operare anche in relazione ad altra condanna alla pena dell’ergastolo, per la cui esecuzione è stata concessa in precedenza l’estradizione senza l’apposizione della stessa condizione, e che sia stata, assieme alla prima, oggetto di unificazione delle pene ai sensi dell’art. 663 cod. proc. pen..

Difatti, in tale pronuncia, tale contrasto ermeneutico è stato risolto nel seguente modo: “La commutazione dell’ergastolo in attuazione di una condizione apposta in un provvedimento di estensione dell’estradizione, adottato da uno Stato estero il cui ordinamento non ammette la pena perpetua, esplica i suoi effetti soltanto in relazione alla pena oggetto della condizione, nell’ambito della relativa procedura di estensione, senza operare con riguardo ad altra pena dell’ergastolo – oggetto di cumulo con la prima – irrogata con una condanna per la cui esecuzione sia stato in precedenza emesso altro provvedimento di estradizione non condizionato”.

Tale sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ove si verifichi una situazione di tal genere in quanto ci si dovrà attenere a quanto affermato in tale arresto giurisprudenziale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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