In caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del tribunale del riesame in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del giudice delle indagini preliminari, non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia a pena di inefficacia della misura suddetta

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(Ricorso rigettato)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 294)

Il fatto

 

Il Tribunale di Roma respingeva l’appello proposto da un imputato avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Cassino aveva rigettato l’istanza di dichiarazione di inefficacia e, in subordine, di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere disposta nei suoi confronti in relazione a un reato di concussione continuata a seguito dell’appello del pubblico ministero contro l’ordinanza reiettiva del giudice per le indagini preliminari.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso detto provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi: 1) vizio di violazione di legge e di motivazione per il mancato esame dei rilievi mossi nell’atto di appello quanto all’inefficacia sopravvenuta della misura cautelare stante il mancato interrogatorio previsto dall’art. 294 c.p.p. dopo che, il 14 giugno 2019, era stata eseguita l’ordinanza applicativa della misura, divenuta definitiva a seguito del rigetto del ricorso per cassazione proposto dal S. , all’epoca ancora indagato; a sostegno di tale tesi, la difesa rilevava che la celebrazione dell’udienza camerale di discussione dell’appello cautelare non equivale ad un giudizio a cognizione piena stante il carattere limitato sia dei diritti della difesa che del patrimonio conoscitivo del giudice assumendosi, inoltre, che la norma di cui all’art. 294 c.p.p. è chiara nel richiedere l’espletamento dell’interrogatorio all’esito dell’esecuzione di qualunque provvedimento applicativo di una misura cautelare, senza eccezioni; 2) vizio di violazione di legge e di motivazione per il mancato esame dei fatti nuovi posti a base della richiesta di revoca o sostituzione rilevanti ai fini della valutazione in ordine alla persistenza delle esigenze cautelari; 3) vizio di violazione di legge e di motivazione per la scelta della misura applicata essendo stata ribadita la motivazione già svolta sul punto in un precedente analogo provvedimento relativo allo stato di fatto antecedente rispetto a quanto rappresentato nell’atto di appello; 4)
vizio di violazione di legge ex art. 27 Cost., comma 2 e art. 6, comma 2, CEDU e violazione del principio della presunzione d’innocenza stante l’omessa considerazione dello stato di incensuratezza del prevenuto e il valore attribuito alla mera pendenza di alcuni procedimenti penali a suo carico.

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La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione

 

A sua volta la Sesta Sezione penale, con ordinanza, aveva rilevato un contrasto giurisprudenziale in merito alla necessità di procedere all’interrogatorio di garanzia a pena di inefficacia della misura cautelare qualora sia stata applicata con provvedimento del tribunale in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del giudice per le indagini preliminari.

Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite evidenziava prima di tutto come il contrasto in oggetto vertesse sulla seguente questione: “se, in caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del tribunale, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del giudice per le indagini preliminari, sia o no necessario procedere all’interrogatorio di garanzia a pena d’inefficacia della misura cautelare“.

Premesso ciò, gli Ermellini facevano presente che, secondo un primo orientamento, a cui si era conformato il provvedimento impugnato, qualora il tribunale del riesame, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del Giudice per le indagini preliminari, applichi una misura cautelare coercitiva, non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia, in quanto il provvedimento emesso in sede di appello cautelare è preceduto dall’instaurazione di un contraddittorio pieno, finalizzato ad approfondire anticipatamente tutti i temi dell’azione cautelare anche attraverso i contributi forniti dalla difesa (Sez. 6, n. 50768 del 12/11/2013) rilevandosi al contempo che, a fondamento di tale interpretazione, era stato evidenziato come la ratio sottesa all’esigenza di procedere, nei tempi stringenti imposti dal relativo dato normativo, all’interrogatorio di garanzia in esito alla emissione della misura cautelare, appaia correlata alla necessità di garantire all’indagato, tramite l’immediato immediato contatto con il giudice, la possibilità di fornire gli elementi, in fatto e diritto, volti a scalfire la gravità indiziaria e riesaminare le originarie motivazioni sottese all’intervento cautelativo così da consentire al decidente di rivalutare la perduranza delle ragioni sottese alla misura in esito a siffatto contatto chiarificatore imposto dalla instaurazione ex post del contraddittorio con il destinatario dell’intervento cautelare.

A fronte di ciò, si era quindi rilevato come siffatta esigenza risultasse essere stato, di contro, assorbita allorché, per la specifica dinamica processuale che aveva portato al provvedimento cautelare, l’interrogatorio abbia perso il ruolo di imprescindibile prerogativa difensiva ossia una situazione che sussiste, per esplicita indicazione normativa, quando la misura sia stata applicata una volta aperto il dibattimento giacché il contraddittorio pieno assorbe in toto e rende indifferenti gli spazi difensivi che giustificano l’interrogatorio sotto qualsivoglia versante dell’intervento cautelare.

Si aggiungeva inoltre la considerazione secondo la quale la superfluità dell’interrogatorio è stata riscontrata dalla giurisprudenza nei casi di rinnovazione della misura cautelare a seguito di caducazione per ragioni meramente formali e di rito di un precedente provvedimento coercitivo in relazione agli stessi fatti, con pregressa rituale celebrazione dell’interrogatorio.

Alla luce di quanto sin qui enunciato, si era dunque ritenuta insussistente l’esigenza di disporre l’interrogatorio di garanzia allorquando il provvedimento applicativo di una misura cautelare sia emesso, sempre nel corso delle indagini preliminari, non secondo l’ordinaria ipotesi del contraddittorio differito, bensì dal giudice dell’appello cautelare ex art. 310 c.p.p. avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta cautelare da parte del giudice per le indagini preliminari: ipotesi nella quale il provvedimento è per forza di cose anticipato dalla instaurazione del contraddittorio finalizzato ad approfondire anticipatamente tutti i temi dell’azione cautelare consentendo preventivamente, nella sua massima estensione, l’apporto difensivo in punto di legittimità complessiva dello status custodiale che, su appello dalla parte pubblica, si intende instaurare.

Si era di conseguenza notato che, in questa situazione processuale, la finalità dell’interrogatorio appare pienamente anticipata dalla trattazione, nel contraddittorio, della pretesa cautelare sicché imporre l’atto dopo la misura finirebbe per assumere il significato della superfetazione difensiva ascrivendo all’incombente le connotazioni tipiche di una formalità superflua, ampiamente assorbita dalla dinamica dell’attività processuale che la precede.

Il principio di diritto, inoltre, era stato ribadito con la sentenza della Sez. 2, n. 38828 del 25/05/2017.

A tale pronuncia si contrapponeva una successiva decisione di segno contrario – non massimata -, nella quale la stessa Sezione Sesta penale aveva affermato, con riferimento alla medesima ipotesi, che non si può prescindere dall’interrogatorio di garanzia della persona sottoposta a misura, salvo che non sia iniziato il dibattimento, di tal che, in caso di mancata o tardiva celebrazione dell’incombente processuale, la misura cautelare perde efficacia (Sez. 6, n. 6088 del 20/11/2014, dep. 2015).

Tale orientamento, cui aveva aderito l’ordinanza di rimessione, faceva leva innanzitutto sul quadro normativo di riferimento.

In tal senso si sottolineava che l’art. 294 c.p.p., comma 1, dispone che: “fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice che ha deciso in ordine all’applicazione della misura cautelare, se non vi ha proceduto nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto o del fermo di indiziato di delitto, procede all’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall’inizio dell’esecuzione della custodia, salvo il caso in cui essa sia assolutamente impedita” mentre il successivo comma 1-bis della stessa norma prevede che “se la persona è sottoposta ad altra misura cautelare, sia coercitiva che interdittiva, l’interrogatorio deve avvenire non oltre dieci giorni dalla esecuzione del provvedimento o dalla sua notificazione”; ed il comma 1-ter recita che “l’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare deve avvenire entro il termine di quarantotto ore se il pubblico ministero ne fa istanza nella richiesta di custodia cautelare”.

Oltre a ciò, si evidenziava, altresì, la stretta correlazione di tale norma con l’art. 302 c.p.p., comma 1, prima parte, alla stregua del quale la custodia cautelare disposta nel corso delle indagini preliminari perde immediatamente efficacia se il giudice non procede all’interrogatorio entro il termine previsto dall’art. 294 c.p.p..

Dal complesso di tali disposizioni codicistiche si evincerebbe, secondo tale orientamento, che il giudice, che abbia emesso un provvedimento limitativo della libertà personale, è tenuto ad interrogare la persona sottoposta alla misura cautelare e che l’incombente processuale è doveroso e sanzionato a pena di inefficacia della misura salvo che, giusta le espresse clausole di riserva, il decidente abbia già provveduto all’interrogatorio all’atto della convalida del provvedimento pre-cautelare ovvero abbia già preso avvio la fase dibattimentale, nell’ambito della quale l’imputato ha facoltà di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio, nel pieno contraddittorio fra le parti.

Oltre a ciò, si era rimarcato come nessuna eccezione sia prevista per l’ipotesi in cui l’ordinanza di custodia cautelare sia stata emessa dal tribunale a seguito di appello del pubblico ministero avverso il provvedimento del giudice per le indagini preliminari di rigetto della richiesta ex art. 291 c.p.p. sicché, in tal caso, salvo che il giudice non abbia rigettato la richiesta di emissione del provvedimento coercitivo dopo avere proceduto all’interrogatorio in udienza di convalida dell’arresto o del fermo ovvero che sia già stata dichiarata l’apertura del dibattimento (cioè, salvo che non si versi in taluno dei casi eccezionali contemplati dalle sopra ricordate clausole di riserva delineate nell’art. 294), non può che valere la regola generale secondo la quale l’interrogatorio di garanzia è doveroso a pena di inefficacia della misura cautelare.

Si era poi osservato che, sulla stessa linea, si pone il disposto dell’art. 302 c.p.p., comma 1, seconda parte, là dove impone, in caso di caducazione della misura cautelare per omesso o intempestivo interrogatorio di garanzia, la rinnovazione dell’interrogatorio a piede libero e ciò a conferma dell’assoluta inderogabilità dell’incombente processuale, pena l’inapplicabilità del provvedimento coercitivo.
A supporto della tesi privilegiata da questo secondo orientamento, si era inoltre posto in risalto come l’interrogatorio di garanzia costituisca un momento processuale assolutamente imprescindibile al fine di consentire al soggetto sottoposto a limitazione della libertà personale di rendere la propria versione dei fatti innanzi al giudice e dunque di svolgere appieno la propria difesa, ossia un momento processuale non surrogabile dalla previsione della facoltà della persona di rendere dichiarazioni spontanee nell’ambito dell’udienza camerale di discussione dell’appello cautelare, vuoi per il carattere meramente eventuale dell’esercizio di detta facoltà, vuoi per la differenza sostanziale tra le dichiarazioni spontanee e l’interrogatorio.

Orbene, terminato di illustrare questi due orientamenti nomofilattici, le Sezioni Unite ritenevano di dover condividere il primo orientamento per le seguenti ragioni.

Si osservava innanzitutto che la tesi sostenuta nell’ordinanza di rimessione (con cui, come appena visto, veniva recepito il secondo indirizzo interpretativo), pur fornendo argomenti suggestivi incentrati sulla valorizzazione dell’interrogatorio come momento cruciale del diritto di difesa, riguardava situazioni specifiche estranee a quella in esame posto che l’interrogatorio ex art. 294 c.p.p., quale momento ineliminabile di difesa nei casi previsti dalla norma (anche alla luce degli interventi della Corte costituzionale di seguito richiamati), non è esportabile, al medesimo fine, in una vicenda quale quella della misura adottata all’esito dell’appello cautelare dove le finalità difensive vengono comunque soddisfatte dal contraddittorio nel procedimento camerale instauratosi in seguito all’impugnazione: contraddittorio che il sistema consente, a nulla rilevando la facoltatività delle dichiarazioni giacché ciò che conta è la circostanza che l’interessato è posto nelle condizioni di esercitare appieno le proprie difese essendo rimesso alle determinazioni discrezionali proprie le modalità concrete dell’esercizio del relativo diritto.

Infatti, secondo le Sezioni Unite, a differenza dell’ordinaria sequenza procedimentale (richiesta del pubblico ministero ed ordinanza del giudice per le indagini preliminari) che avviene inaudita altera parte e concettualmente “a sorpresa“, nella ipotesi in esame, è prevista – rispetto all’istanza cautelare sottoposta al giudice dell’appello – la presenza del difensore e la sua assistenza tecnica prima della decisione del giudice finalizzata a consentire un approfondimento anticipato di tutti i temi dell’azione cautelare.

Inoltre, sempre ad avviso dei giudici di piazza Cavour, in seguito all’entrata in vigore della L. n. 47 del 2015, le possibilità di partecipazione alla fase dell’impugnazione cautelare dell’indagato sono notevolmente aumentate poiché secondo il nuovo disposto dell’art. 309 c.p.p., comma 6, è oggi previsto che l’imputato abbia diritto di comparire personalmente all’udienza in esame sicché può dirsi garantito un contraddittorio pieno e senza limitazioni che rende superfluo l’adempimento previsto dall’art. 294 c.p.p..

D’altronde, sebbene debba indiscutibilmente riconoscersi, come evidenziato nell’ordinanza di rimessione, che il percorso della giurisprudenza costituzionale e di legittimità si è ampliato nel senso che l’obbligatorietà dell’interrogatorio di garanzia è stata prevista in relazione ad ordinanze disposte o eseguite oltre il termine delle indagini preliminari, è altrettanto vero, per la Suprema Corte, che si tratta di situazioni rispetto alle quali l’interrogatorio assume un ruolo non aliunde surrogabile, diverse da quella di interesse.

In questa prospettiva, le ineccepibili argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 77 del 24 marzo 1997 e n. 32 del 10 febbraio 1999, là dove si valorizza il ruolo dell’interrogatorio di garanzia quale diritto fondamentale della persona sottoposta alla custodia anche nella fase successiva alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento e fino all’inizio di questo, non paiono, per la Corte di legittimità, applicabili in questa sede per difetto della eadem ratio e lo stesso vale per le puntuali considerazioni sviluppate dalla Sez. U, n. 3 del 28/01/1998, a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 77 del 1997, che, nel definire la natura e la finalità dell’interrogatorio di garanzia, direttamente riconnesse alla tutela del bene della libertà personale consacrato quale diritto inviolabile nell’art. 13 Cost., hanno affermato che “il cittadino in vinculis deve essere messo nella migliore condizione di apprestare le sue difese nella massima espansione al fine di far valere le ragioni dirette a riacquistare la libertà, che rappresenta il suo status nomale, derivandone la non equipollenza di altri mezzi all’interrogatorio di garanzia, dato che solo questo consente il contatto immediato e diretto tra il soggetto interessato ed il giudice che deve decidere sulla sua libertà”.

In realtà, la tesi qui disattesa, ad opinione del Supremo Consesso, non coglie la specificità della situazione che nasce allorquando la misura è adottata in sede di appello cautelare perché non apprezza gli spazi defensionali che tale incidente offre all’indagato/imputato visto che la specificità della disciplina dell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p., essenziale in taluni contesti procedimentali (come evidenziato dalle richiamate sentenze della Corte costituzionale e delle stesse Sezioni Unite) non costituisce sempre momento ineliminabile ed insostituibile per l’esercizio pieno delle facoltà defensionali atteso che vi sono situazioni in cui l’interrogatorio è previsto al di fuori del paradigma dell’art. 294 c.p.p. ma solo perché si tratta di situazioni in qualche misura assimilabili a quella presa in considerazione in tale norma mentre vi sono, invece, situazioni in cui l’interrogatorio, quale mezzo di difesa, è previsto “prima” dell’adozione della misura giacché all’evidenza il legislatore ha ritenuto di valorizzare un momento di conoscenza anticipata delle ragioni difensive a fronte della potenziale “invasività” qualitativa della misura oltre ad esserci ulteriori situazioni dove l’interrogatorio non è previsto, nè è necessario, perché il contraddittorio è veicolato in altra equipollente maniera.

In altre parole, secondo le Sezioni Unite, il nostro ordinamento giuridico riconosce il ruolo defensionale essenziale dell’interrogatorio di garanzia ma negare l’applicabilità dell’art. 294 al procedimento in esame non significa affatto privare l’interessato di validi strumenti per esercitare il diritto di difesa proprio perché le modalità di esercizio del diritto di difesa possono essere le più diverse in considerazione della specificità della fase processuale e non in tutti i casi l’applicazione del paradigma dell’art. 294 c.p.p. è l’unico mezzo che può consentire una efficace difesa visto che la garanzia costituzionale del diritto di difesa non infatti che il legislatore possa darvi attuazione in modo diverso tenuto conto delle diverse fasi processuali.

Ciò posto, venendo alla disamina delle situazioni che confortano tale conclusione, meritano menzione, ad avviso della Cassazione, sotto il primo profilo, alcune norme – diverse dall’art. 294 c.p.p. – che prevedono l’interrogatorio quale momento di esercizio delle facoltà defensionali, ma ciò viene fatto solo in ragione della specificità delle situazioni.

Così, in primo luogo, l’art. 299 c.p.p., comma 3-ter, là dove si prevede la possibilità che il giudice possa procedere all’interrogatorio nel caso di revoca o sostituzione della misura e prevede obbligatoriamente l’adempimento quando l’istanza di revoca o sostituzione sia fondata su elementi nuovi o diversi.

Così, in secondo luogo, l’art. 302 c.p.p., che prevede l’obbligo di interrogatorio per emettere una nuova misura quando quella precedentemente applicata sia divenuta inefficace.
Nella prima ipotesi, l’interrogatorio assume rilievo proprio per consentire al giudice di apprezzare, con il riscontro diretto dell’interessato, le ragioni prospettate per la revoca o la sostituzione della misura.

Nell’altra ipotesi, si tratta di situazione per certi versi assimilabile all’applicazione originaria della misura che trova il momento di garanzia nella disciplina di cui all’art. 294 c.p.p. escludendosi che tali disposizioni possano essere utilizzate a supporto della tesi avversata.

Le ipotesi in cui l’interrogatorio è anticipato (cfr., in particolare, art. 289 c.p.p. e D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 47 in tema di responsabilità amministrativa degli enti) confermano, invece, per il Supremo Consesso, che la mancata previsione dell’interrogatorio “dopo” l’applicazione della misura non rappresenta concettualmente una violazione del diritto di difesa se lo spazio per il contraddittorio e per l’esercizio del diritto di difesa sia stato comunque ampiamente assicurato e
questo è ciò che si verifica nella disciplina della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio ex art. 289 c.p.p. in ordine alla quale l’inversione della sequenza disciplinata per le altre misure personali ha la finalità di evitare che il provvedimento che incide sulla funzionalità e continuatività dell’amministrazione pubblica possa essere adottato senza la conoscenza e ponderata valutazione di evenienze che l’indagato può fornire anche in ordine alla necessità di adottare il provvedimento (cfr. Sez. 6, n. 26929 del 15/03/2019).

Oltre a ciò, si è del resto convincentemente affermato – finanche e proprio in caso di applicazione della misura interdittiva in sede di appello cautelare – che la non necessità di procedere all’interrogatorio è ampiamente giustificata dal fatto che il diritto al contraddittorio è assicurato dalla possibilità l’indagato di comparire all’udienza per la trattazione del gravame e di chiedere di essere interrogato (v. Sez.6, n. 14958 del 05/03/2019) e ciò si verifica anche nella peculiare disciplina dell’applicazione delle misure cautelari nel procedimento della responsabilità amministrativa degli enti rilevando, a tal proposito, il modello procedimentale a contraddittorio anticipato, cui si ispira il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 47, rispetto al quale il legislatore, proprio a fronte della potenziale incisività per la vita dell’ente dell’applicazione di misure cautelari interdittive che potrebbero finanche paralizzare l’attività dell’ente, ha privilegiato un momento di interlocuzione anticipata sì da consentire, da un lato, all’ente di fare valere prima dell’adozione eventuale della misura le proprie ragioni e, dall’altro, da imporre al giudice della misura l’obbligo, in sede di motivazione dell’ordinanza, di esplicitare i motivi per i quali non sono stati ritenuti rilevanti gli elementi forniti dalla difesa per contrastare l’ipotesi accusatoria (cfr. Sez. 6, n. 10903 del 05/03/2013) trattandosi di discipline utilmente richiamabili a conferma del fatto che l’esercizio del diritto di difesa, a fronte dell’applicazione di una misura cautelare, è legittimamente costruito dal legislatore in modo diversificato e non sempre riproducendo il meccanismo tratteggiato dall’art. 294 c.p.p. con l’interrogatorio di garanzia successivo all’adozione della misura.

In realtà, per la Suprema Corte, a ben vedere la migliore riprova della necessità di distinguere le situazioni si rinviene in quelle ipotesi in cui il contraddittorio è assicurato in altra maniera diversa dall’interrogatorio e questo è quello che si verifica qualora la custodia venga disposta dopo la sentenza di condanna non essendo necessario procedere, in tale evenienza, all’interrogatorio di garanzia (Sez. U, n. 18190 del 22/01/2009) fermo restando che tale diversità di disciplina è stata giustamente apprezzata proprio alla luce della particolare situazione del condannato visto che è vero che l’interrogatorio è adempimento che consente alla persona sottoposta alla misura cautelare di prospettare immediatamente le ragioni difensive in merito a tutti i presupposti per l’applicazione ed il mantenimento della stessa ma le medesime esigenze difensive sono pienamente soddisfatte, nell’ipotesi di interesse, con la celebrazione del dibattimento, fase processuale che consente all’imputato, nella pienezza del contraddittorio che caratterizza l’assunzione delle prove a carico ed a discarico, di prospettare al giudice tutte le ragioni difensive anche attraverso l’esame o le dichiarazioni spontanee di cui all’art. 494 c.p.p..

In definitiva, osservavano le Sezioni Unite nella pronuncia qui in commento, la mancanza dell’interrogatorio – in questo specifico caso – non priva affatto l’imputato dello spazio per una piena difesa proprio perché l’avvenuto svolgimento della fase dibattimentale gli ha (già) consentito di dispiegare nella misura massima possibile la sua difesa così come analogo ragionamento deve farsi per l’ipotesi della trasgressione alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare, prevista dall’art. 276 c.p.p., là dove non è disposto, in caso di sostituzione o di cumulo della misura trasgredita con altra più grave, l’interrogatorio del prevenuto (v. Sez. U, n. 4932 del 18/12/2008, dep. 2009) e ciò in tutta evidenza si giustifica con il fatto che l’interrogatorio è già avvenuto in occasione dell’applicazione della misura originariamente applicata e poi trasgredita mentre la sostituzione o il cumulo conseguono alla ritenuta violazione delle prescrizioni di tale misura, in ordine alla quale le ragioni defensionali possono e debbono essere veicolate in altra sede, con l’impugnazione del provvedimento non emergendo ragioni per riproporre un atto in ordine al quale l’indagato è stato già posto in grado di fornire gli argomenti a sua difesa in punto di gravità degli indizi e di esigenze di cautela.

Detto questo, a sua volta la sentenza delle Sezioni Unite 4932 del 2008 aveva posto in risalto il fatto che la Corte Costituzionale, in numerosissime occasioni, ha riaffermato il principio secondo cui la garanzia costituzionale del diritto di difesa non esclude, quanto alle sue modalità di espletamento, che il legislatore possa darvi attuazione in modo diverso purché si tratti di scelte discrezionali non irragionevoli (si vedano, tra le altre, le ordinanze 29 luglio 2005, n. 350 e, quanto alla difesa tecnica, 28 giugno 2002, n. 299) tenuto conto altresì del fatto
che l’interrogatorio perde il ruolo di imprescindibile prerogativa difensiva anche quando, durante la fase delle indagini preliminari, la misura sia stata emessa replicando un precedente intervento cautelare caducato per ragioni meramente formali e di rito sempre che la misura caducata sia stata caratterizzata dall’esecuzione dell’interrogatorio e non si fondi su ragioni indiziarie e di cautela diverse da quelle che avevano giustificato la precedente misura (v. Sez. U, n. 28270 del 24/04//2014, in caso di inefficacia della precedente misura motivata dalla decorrenza dei termini sanciti dall’art. 309 c.p.p., commi 9 e 10, per la decisione del tribunale del riesame).

Ebbene, proprio la richiamata diversità di meccanismi procedimentali costruiti per consentire l’esercizio del diritto di difesa, ad avviso della Suprema Corte, conferma la non estensibilità dell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p. ad una situazione in cui il diritto di difesa è stato comunque ampiamente assicurato ove si consideri che il provvedimento emesso in sede di appello cautelare è preceduto dalla instaurazione di un contraddittorio pieno finalizzato ad anticipare tutti i temi dell’azione cautelare, anche attraverso i contributi forniti dalla difesa (v. Sez. 6, n. 50768 del 12/11/2013).

Da ciò se ne faceva conseguire in tale caso come non ricorrano le ragioni difensive poste alla base dell’interrogatorio di garanzia ossia la necessità di garantire all’indagato, tramite un immediato contatto con il giudice, la possibilità di fornire gli elementi in fatto ed in diritto volti a scalfire la gravità indiziaria e riesaminare le originarie motivazioni sottese all’intervento cautelativo dato che, in questa ipotesi, siffatta esigenza è assorbita dal contraddittorio che si instaura davanti al giudice dell’impugnazione cautelare al quale si possono prospettare le ragioni a supporto dell’auspicato diniego della richiesta cautelare del pubblico ministero e anzi, a ben vedere, è la stessa situazione che si verifica nei confronti della misura applicata una volta aperto il dibattimento giacché, in questo caso, il contraddittorio assorbe pienamente e rende indifferenti gli spazi difensivi che giustificano l’interrogatorio dal momento che tale fase processuale consente all’imputato, nella pienezza del contraddittorio che caratterizza l’assunzione delle prove a carico e a discarico, di prospettare al giudice tutte le ragioni difensive, anche attraverso l’esame o le dichiarazioni di cui all’art. 494 c.p.p..

Oltre a questo, veniva altresì rilevato come l’esattezza di una tale conclusione non sia contraddetta dalla facoltatività delle dichiarazioni che possono essere rese in sede di impugnazione cautelare poiché ciò che conta è la circostanza che l’interessato è posto nelle condizioni di esercitare appieno le proprie difese essendo rimesso alle determinazioni discrezionali proprie le modalità concrete dell’esercizio del relativo diritto.

In definitiva, il meccanismo dell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p., che pure è momento fondamentale di esercizio del diritto di difesa, non può essere sempre semplicisticamente esportato al di fuori delle ipotesi per cui esso è espressamente previsto essendo i principi costituzionali – artt. 13 e 24 Cost. – egualmente soddisfatti, in situazioni diverse e non assimilabili, da altre legittime modalità di espressione del contraddittorio defensionale dove il legislatore non ha espressamente previsto l’interrogatorio dopo l’esecuzione della misura o lo ha previsto prima dell’esecuzione della misura ovvero, per quanto interessa, ha previsto altre e diverse modalità di interlocuzione difensiva tanto che una semplicistica estensione dell’obbligo di interrogatorio risulterebbe espressione di un vuoto formalismo.

In considerazione di quanto sin qui detto, veniva pertanto affermato il seguente principio di diritto: “In caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del tribunale del riesame in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del giudice delle indagini preliminari non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia a pena di inefficacia della misura suddetta“.

Sempre sulla questione si legga anche:”Sezioni Unite sull’applicabilità della misure cautelare personale dal Tribunale del riesame”

Conclusioni

La decisione in questione è assai interessante in quanto, componendosi un contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite giungono a postulare il principio di diritto secondo il quale, in caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del tribunale del riesame in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del giudice delle indagini preliminari, non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia a pena di inefficacia della misura suddetta.

Di conseguenza, alla luce di questo arresto giurisprudenziale, il mancato interrogatorio di garanzia in tale caso non comporta l’inefficacia della misura cautelare coercitiva applicata dal Tribunale del Riesame.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su siffatta tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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