È valida la clausola che pone a carico del conduttore le imposte relative all’immobile locato  

Irene Russo 22/07/19
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La traslazione d’imposta

Può accadere che il soggetto tenuto ex lege al pagamento del tributo trasferisca il relativo onere fiscale ad un altro soggetto.

Il trasferimento può avvenire tramite due modelli giuridici previsti dal nostro ordinamento, quello della rivalsa – meccanismo che consente al sostituto o al responsabile d’imposta (titolari dell’obbligo di versamento) di recuperare dal soggetto passivo che realizza il presupposto dell’imposizione le somme pagate o da pagare all’erario – e quello dell’accollo – patto con cui il contribuente di diritto trasferisce ad altri il proprio debito d’imposta – ammesso purché, come precisa l’art. 8 della legge 212/2000, il contribuente originario non sia liberato.

Da queste due figure occorre tenere distinta la traslazione economica del tributo, traslazione c.d. occulta – fenomeno che rileva nel caso che si andrà ad esaminare – ovvero “un comportamento connaturale allo svolgimento di qualsiasi attività economica, in forza del quale ogni carico tributario di qualsiasi natura sopportato dall’operatore economico viene trasferito sui consumatori dei beni e dei servizi, mediante fissazione di un prezzo determinato in base alla legge del mercato della domanda e dell’offerta”[1]. In sostanza, il contribuente di diritto (detto anche percosso), mediante la pattuizione di un corrispettivo che tiene conto anche dell’incidenza del prelievo fiscale, riversa il proprio onere tributario su un altro soggetto, il contribuente di fatto (detto anche inciso).

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Il caso

Due società concludono un contratto di locazione che contiene una clausola secondo la quale il conduttore è tenuto a farsi carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati, tenendo conseguentemente manlevato il locatore.

La società conduttrice agisce avanti al Tribunale per la restituzione degli importi versati quali imposte del bene locato sulla base della nullità della predetta clausola ma il giudice di primo grado respinge la domanda. La pronuncia viene confermata in appello. Contro la pronuncia del giudice dell’impugnazione la conduttrice propone ricorso per Cassazione.

Con il primo motivo la ricorrente lamenta che la clausola che contempla il fenomeno della traslazione delle imposte gravanti sull’immobile in capo al conduttore – soggetto escluso dalla legge dal novero degli obbligati nei confronti del fisco – viola l’art. 53 Cost., in collegamento con l’art. 2 Cost..

Con il secondo motivo la ricorrente si duole che la Corte abbia erroneamente interpretato la clausola in esame, in violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., ritenendola una componente negativa del canone di locazione laddove le parti nell’accordo hanno inteso regolare esclusivamente il rimborso degli oneri fiscali da parte del conduttore.

Con il terzo motivo la ricorrente sostiene che il contratto di locazione addossa un onere accessorio al conduttore, o comunque gli impone un pagamento di somme sganciate rispetto alla controprestazione del locatore, e viola pertanto l’art. 79 della legge 392/78, che elenca tassativamente e inderogabilmente gli oneri a carico del conduttore.

Per le ragioni sopraesposte, con il quarto motivo di ricorso, viene asserita la nullità della clausola in esame.

Il quesito posto alle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite sono state chiamate a rispondere “se sia valida la clausola di un contratto di locazione che attribuisca al conduttore di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, tenendo conseguentemente manlevato il locatore”.

Tale questione involve la più ampia problematica se l’art. 53 della Costituzione che impone di concorrere alle spese pubbliche proporzionalmente alla capacità contributiva costituisca un limite all’autonomia privata in tema di individuazione del soggetto passivo d’imposta con conseguente nullità del patto che identifica un soggetto diverso rispetto a quello tenutovi per legge e se pertanto l’obbligo contenuto nella predetta disposizione abbia natura solo oggettiva (nel senso che dal patrimonio del debitore d’imposta si ricava la corrispondente obbligazione tributaria, che tuttavia può essere adempiuta da un soggetto diverso) o anche soggettiva (nel senso che deve essere adempiuto esclusivamente dal soggetto indicato dalla legge).

I precedenti della giurisprudenza di legittimità in tema di traslazione d’imposta

Il tema esaminato vede fronteggiarsi due orientamenti giurisprudenziali.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 5 del 1985, pronunciandosi in relazione ad un contratto di mutuo, hanno sancito la nullità ex art. 1418 c.c. – per violazione dell’art. 53 Cost. – della clausola che imponeva al mutuatario di versare all’erario le imposte dovute dal mutuante. Poiché un soggetto è tenuto al versamento di un tributo in stretta relazione al reddito percepito, il relativo adempimento all’obbligo di concorrere alla spesa pubblica deve gravare sullo stesso soggetto avente la corrispondente capacità contributiva, che subisce in seguito al prelievo fiscale una riduzione del proprio patrimonio. Ne discende che il dovere contributivo non può essere trasferito ad un soggetto detentore di un patrimonio diverso da quello su cui è prevista l’imposizione. Pertanto, il citato orientamento ha considerato “vietato e nullo (ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, c.c. e per contrasto con l’art. 53 Cost.) qualunque patto con il quale un soggetto, ancorché senza effetti nei confronti dell’erario, riversi su altro soggetto, pur se diverso dal sostituto, dal responsabile d’imposta e dal cosiddetto contribuente di fatto il peso della propria imposta, sia che si tratti d’imposta diretta che di imposta indiretta”.

Ad una diversa conclusione sono approdate le stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 6445 del 1985, pur partendo da considerazioni analoghe concernenti il valore e la portata dell’art. 53 Cost.. Ferma restando la nullità del patto traslativo che comporta che l’imposta non venga effettivamente pagata dal possessore del reddito, le Sezioni Unite hanno ritenuto che il patto con cui il mutuatario si obbliga a rimborsare al mutuante quanto da questo pagato a titolo di imposta è valido se ha efficacia limitata inter partes, poiché l’imposta viene ugualmente corrisposta dal soggetto che percepisce il reddito.

Questo secondo orientamento è stato condiviso da gran parte della successiva giurisprudenza di legittimità.

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La pronuncia delle Sezioni Unite del 2019

L’orientamento maggioritario introdotto dalle S.U. n. 6445 del 1985 è stato confermato dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite n. 6882 del 2019.

Secondo la Cassazione, che ha condiviso le motivazioni della pronuncia della Corte di Appello, la determinazione del canone nel caso sottopostole risulta essere la combinazione dell’applicazione di due distinte clausole, l’una che stabilisce espressamente l’importo del canone locativo, l’altra – quella oggetto della lite – che ne determina un’ulteriore componente.

Pertanto, la disposizione contrattuale che onera il conduttore del pagamento delle imposte relative all’immobile locato – alla luce del tenore complessivo dell’accordo- non deve essere intesa quale patto traslativo dell’imposta che esonera il percettore del reddito dalla contribuzione fiscale ma piuttosto come una componente del canone locativo, il cui ammontare è liberamente quantificabile dalle parti. La manleva del locatore, si aggiunge, costituisce nient’altro che un rimborso o “una diversa forma di pagamento variamente posta a carico del conduttore”.

In conclusione, stante la natura della clausola così come delineata dalla giurisprudenza in esame, la traslazione d’imposta attuata dalle parti risulta legittima in quanto non sussiste alcuna violazione dei principi fissati dalla Costituzione in materia di contribuzione fiscale.

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Note

[1] Efficace definizione del fenomeno data nell’ordinanza 21 gennaio 1983 della Corte d’Appello di Milano, pubblicata in Dir. Prat. Trib. 1983, II, 208 con nota di SCARDULLA, Traslazione di imposta e diritto al rimborso

Sentenza collegata

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