Anche le manifestazioni extragiudiziali del compratore ai sensi dell’art. 1219, comma 1 c.c. e gli altri atti stragiudiziali sono idonei a interrompere il termine di prescrizione dell’azione di garanzia per vizi nella compravendita

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Secondo la ricostruzione operata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18672/2019, anche con riferimento alle azioni edilizie ex artt. 1492 e 1495, comma 3 c.c. trova applicazione la disciplina generale in tema di prescrizione, con conseguente operatività delle ordinarie cause di interruzione e di sospensione.

SOMMARIO: 1. La questione controversa; 2. Gli orientamenti anteriori alla pronuncia delle Sezioni Unite; 3. La premessa delle Sezioni Unite: la natura giuridica della garanzia per vizi nella compravendita. Il richiamo alla precedente sentenza delle Sezioni Unite n. 11748/2019; 4. La soluzione delle Sezioni Unite; 

  1. La questione controversa

Ai sensi degli artt. 1476 e 1490 ss. c.c., il venditore è tenuto a garantire al compratore che la cosa sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore. In presenza di vizi, la legge offre all’acquirente, previa denunzia nel termine di otto giorni (o nel diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge) dalla scoperta, la possibilità di domandare a sua scelta la risoluzione del contratto, quando gli usi non escludano questo rimedio (c.d. actio redhibitoria), ovvero la proporzionale riduzione del prezzo (c.d. actio aestimatoria o actio quanti minoris). Le c.d. azioni edilizie devono essere esercitate entro un termine di prescrizione annuale, decorrente dal momento in cui il bene viene consegnato.

Con riferimento a tale breve termine, previsto dall’art. 1495, comma 3 c.c., le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state recentemente chiamate a risolvere una questione di particolare importanza, posta dalla Seconda Sezione con ordinanza interlocutoria n. 23857/2018, relativa all’individuazione degli atti idonei a interromperlo. In particolare, il contrasto giurisprudenziale aveva riguardato la possibilità di riconoscere efficacia interruttiva, oltre che alla proposizione della domanda giudiziale, anche agli atti stragiudiziali, quali gli atti di costituzione in mora di cui all’art. 2943, comma 4 c.c., secondo la generale disciplina in tema di prescrizione.

  1. Gli orientamenti anteriori alla pronuncia delle Sezioni Unite

Come rilevato dalla Seconda Sezione nell’ordinanza di rimessione, sul punto si erano delineati due opposti orientamenti giurisprudenziali

Secondo un primo orientamento[1], la manifestazione extragiudiziale del compratore – al venditore – della volontà di avvalersi della garanzia costituirebbe idoneo atto interruttivo del termine di prescrizione, anche qualora questi riservi a un momento successivo la scelta in ordine alla specifica azione. A fondamento di tale assunto vi sarebbe la distinzione tra la garanzia, intesa quale autonomo diritto suscettibile di distinti atti interruttivi, e le azioni giudiziali che ne derivano, di cui all’art. 1492 c.c. Il riconoscimento da parte del venditore e il conseguente impegno dello stesso di eliminare i vizi non darebbe vita a una nuova obbligazione estintivo-satisfattiva dell’originaria obbligazione di garanzia – con conseguente improponibilità delle azioni edilizie -, ma consentirebbe all’acquirente di essere svincolato dai termini di decadenza e dalle condizioni di cui all’art. 1495 c.c. ai fini dell’esercizio di tali azioni, costituendo, ai sensi dell’art. 2944 c.c., riconoscimento del debito interruttivo della prescrizione[2].

Secondo una diversa impostazione[3], la facoltà riconosciuta all’acquirente di agire per la risoluzione del contratto o per la riduzione del corrispettivo avrebbe, invece, natura di diritto potestativo, a fronte del quale il venditore si troverebbe in una situazione di soggezione. Ne discenderebbe che il termine di prescrizione può essere interrotto solo mediante l’esperimento dell’azione giudiziale e non anche mediante gli atti di costituzione in mora ex art. 1219, comma 1, c.c. Questi ultimi, infatti, si attaglierebbero ai soli diritti di credito e non anche ai diritti potestativi: secondo il disposto dell’art. 1219, comma 1 c.c., devono consistere in una intimazione o richiesta di adempimento di un’obbligazione. Inoltre, l’art. 2943, comma 4 c.c., che attribuisce a tali atti efficacia interruttiva in via generale, si riferisce espressamente alla figura del “debitore”.

L’indirizzo in esame non distingue, tuttavia, tra prescrizione della garanzia e prescrizione delle azioni edilizie: omettendo di indagare se detto atto, in quanto idoneo a interrompere la prescrizione della garanzia, sia in grado di impedire altresì la prescrizione delle relative azioni, porterebbe a ritenere inidoneo ai fini interruttivi anche l’impegno del venditore di eliminare i vizi.

  1. La premessa delle Sezioni Unite: la natura giuridica della garanzia per vizi nella compravendita. Il richiamo alla precedente sentenza delle Sezioni Unite n. 11748/2019

Al fine di risolvere la questione sottoposta al loro esame, le Sezioni Unite muovono da una preliminare disamina circa la natura giuridica della responsabilità per vizi nella compravendita, istituto da sempre controverso sia in dottrina che in giurisprudenza.

Dopo aver dato atto dell’emersione di diverse ricostruzioni – tra queste, la tesi che la riconduce a una vera e propria assicurazione contrattuale; quella che la colloca nell’ambito della teoria dell’errore, quale vizio del consenso; quella che fa riferimento all’istituto della presupposizione; quella che la configura come caso particolare di applicazione delle regole sulla responsabilità contrattuale – le Sezioni Unite ritengono di dover aderire alla ricostruzione recentemente effettuata dalle stesse Sezioni Unite, peraltro conforme a quella proposta dalla prevalente dottrina, con la sentenza n. 11748/2019[4].

In particolare, nella richiamata pronuncia, che si occupa del diverso problema relativo all’onere probatorio[5], la Corte aveva rilevato che se è pur vero che l’art. 1476 c.c. indica tra le obbligazioni principali del venditore quella di garantire il compratore dai vizi della cosa, esso non si estrinseca in un dovere di comportamento da parte dello stesso: la norma va intesa nel senso che il venditore assume un’obbligazione circa i modi di essere attuali della cosa ed è, pertanto, legalmente assoggettato all’applicazione dei rimedi in cui si sostanzia la garanzia. Ne consegue che la consegna della cosa viziata non configura propriamente un inadempimento di un’obbligazione, ma costituisce, più precisamente, un’imperfetta attuazione del risultato promesso: per tale ragione, la responsabilità del venditore è speciale rispetto a quella ordinaria[6]. Tuttavia, presupponendo un’inesatta attuazione del risultato traslativo, essa dà luogo a una violazione della lex contractus, per cui la responsabilità del venditore nell’ambito della garanzia per vizi deve comunque essere ricondotta nell’alveo della responsabilità contrattuale.

Osservano quindi le Sezioni Unite che se, da un lato, la responsabilità in esame presenta delle peculiarità rispetto a quella ordinaria, dall’altro si tratta pur sempre di una responsabilità per inadempimento, in quanto vi è un’inesatta esecuzione del contratto sul piano dell’effetto traslativo a causa delle anomalie che inficiano il bene oggetto dell’alienazione: l’esistenza dei vizi impedisce, invero, la realizzazione del sinallagma contrattuale.

Aggiungono, inoltre, che la ratio della previsione di un così breve termine breve di prescrizione – di natura eccezionale, e perciò non estensibile al di fuori dei casi previsti – deve essere rinvenuta nell’esigenza di evitare che il decorso del tempo renda eccessivamente difficoltoso l’accertamento delle cause dei vizi e di garantire la stabilizzazione, in tempi circoscritti, dell’assetto contrattuale predisposto dalle parti. Esso concerne, pertanto, la tutela contrattuale del compratore per far valere l’inesatto adempimento per presenza di difetti nel bene oggetto della vendita, a prescindere dal rimedio che intenderà esperire.

Leggi anche:”Azioni edilizie: la natura della garanzia per vizi e l’onere della prova alla luce del più recente orientamento della Cassazione”

  1. La soluzione delle Sezioni Unite

Premessa la configurazione della responsabilità del venditore come responsabilità per un’obbligazione derivante ex contractu, ritengono le Sezioni Unite che debba essere preferito il primo dei due orientamenti sopra richiamati, secondo cui deve essere attribuita efficacia interruttiva non solo alla proposizione della domanda giudiziale, ma anche agli atti stragiudiziali. Tra questi, la comunicazione al venditore della volontà del compratore di avvalersi della garanzia, anche qualora egli riservi a un momento successivo la scelta del tipo di tutela, dovendosi escludere che tale riserva concerna un diritto diverso rispetto a quello in relazione al quale si interrompe il termine di prescrizione. Per quanto non espressamente previsto dalla peculiare disciplina della prescrizione in questione, devono pertanto trovare applicazione le norme generali, con la conseguente operatività delle ordinarie cause di interruzione e di sospensione.

La Corte precisa ulteriormente che con riguardo al potere di agire in giudizio viene in rilievo la pretesa sostanziale del compratore, cioè la pretesa all’esatta esecuzione del contratto: alla tutela di questa pretesa, se insoddisfatta, soccorrono i rimedi in cui si sostanzia la garanzia, che non si sostituiscono al diritto primario, ma ne perseguono una tutela diretta o indiretta. L’acquirente, pertanto, non è titolare di un singolo specifico potere, ma di un vero e proprio “diritto alla garanzia” derivante dal contratto, rispetto al quale non vi sono elementi per escludere l’applicabilità della disciplina generale della prescrizione.

La soluzione adottata dalle Sezioni Unite è supportata, tuttavia, da ulteriori argomentazioni.

Il Collegio osserva, infatti, che l’attuale formulazione dell’art. 1495, comma 3 c.c. diverge da quella adottata dal codice civile del 1865, che pareva imporre la necessità dell’esperimento dell’azione giudiziale laddove, all’art. 1505, comma 1, prevedeva che “l’azione redibitoria deve proporsi entro un anno dalla consegna”).

Da un punto di vista sistematico, invece, non può ritenersi decisivo, come pure era stato obiettato dall’opposto indirizzo, che la norma attuale utilizzi l’espressione “L’azione si prescrive”. Vi sono, a ben vedere, altre disposizioni normative in cui il legislatore – in senso atecnico – ha inteso riferirsi alla pretesa sostanziale pur riferendosi all’azione: tra le tante, viene in rilievo l’art. 2947, comma 3 c.c., in cui si parla indistintamente sia di prescrizione dell’azione che di prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

Inoltre, laddove l’art. 1492, comma 2 c.c. statuisce che la scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale induce a ritenere ammissibile che il compratore possa far valere la garanzia attraverso una manifestazione di volontà extraprocessuale, poiché riconnette l’effetto dell’irrevocabilità alla sola presentazione della domanda in sede processuale.

Vi è, infine, anche una non trascurabile ragione di ordine socio-economico per cui appare preferibile la soluzione accolta. Vi è, infatti, la possibilità che, nell’ipotesi in cui operi l’interruzione del termine di prescrizione secondo la disciplina generale – e quindi anche mediante atti stragiudiziali -, il venditore intervenga eliminando i vizi (sempre che vi sia un apposito accordo delle parti), così evitando che il compratore debba ricorrere all’azione giudiziale e favorendo, quindi, una risoluzione stragiudiziale preventiva della possibile controversia. Riconoscere idoneità interruttiva anche agli atti di costituzione in mora e agli altri atti stragiudiziali realizza, pertanto, un ragionevole contemperamento di tutti gli interessi coinvolti, soprattutto se si considera la brevità del termine previsto dall’art. 1495, comma 3 c.c.

Per tutte queste ragioni, le Sezioni Unite ritengono che non vi siano ragioni impeditive determinanti per escludere l’applicabilità della disciplina generale in materia di prescrizione, con conseguente operatività delle ordinarie cause di interruzione.

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Note

[1] Accolto, da ultimo, da Cass., sez. II, 10.11.2015, n. 22903, nonché da Cass., sez. II, 8.7.2010, n. 18035 e Cass., sez. II, 10.9.1999, n. 9630.

[2] Cass., Sez. Un., 21.6.2005, n. 13294.

[3] Seguita, da ultimo, da Cass., sez. II, 4.9.2017, n. 20705, nonché da Cass., sez. II, 27.9.2007, n. 20332 e da Cass., sez. II, 3.12.2003, n. 18477.

[4] Cass., Sez. Un., 3.5.2019, n. 11748.

[5] Cfr. nota n. 6.

[6] Tant’è che, secondo la ricostruzione delle Sezioni Unite, prescinde da un giudizio di colpevolezza, essendo fondata esclusivamente sul dato obiettivo dell’esistenza dei vizi, ed è regolata dagli ordinari principi in tema di riparto dell’onere della prova, di cui all’art. 2967 c.c.

Sentenza collegata

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Avv. Davide Belloni

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