IRAP e autonoma organizzazione: possibile il ripensamento del contribuente

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La Suprema Corte ritorna sul tema della ritrattabilità[2] della dichiarazione fiscale anche in ordine alla sussistenza – o meno – del presupposto impositivo.

La pronuncia trae origine dal comportamento tenuto da un libero professionista (avvocato) che ha ritualmente presentato la dichiarazione IRAP per l’anno fiscale 2006 e successivamente non ha provveduto al pagamento né dell’avviso bonario ex art. 36-bis D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, né della susseguente cartella di pagamento.

Ipotizzando che sin dal principio detto contribuente avesse ritenuto non sussistente, su di sé, il presupposto in tema di “autonoma organizzazione” previsto dall’art. 2 del D.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, questo in luogo delle alternative possibili[3] ha optato per l’adozione di un comportamento “misto” ed in parte equivocabile.

Ipotesi di assenza del presupposto impositivo

Ciò posto, la Corte con l’Ordinanza in commento ha statuito che anche nel caso di presentazione della dichiarazione, il Contribuente può (riservarsi di) dimostrare in giudizio, l’assenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, potendo per l’effetto vedersi annullata la cartella di pagamento impugnata.

L’excursus processuale ha visto il Contribuente soccombente avanti la Commissione Regionale, avendo questa rilevato che la cartella di pagamento era stata emessa a fronte di un omesso versamento di un’imposta calcolata e dichiarata dallo stesso contribuente, cartella di pagamento quindi che avrebbe potuto dunque essere impugnata soltanto per “vizi propri” ai sensi dell’art. 19 comma 3 del d.lgs.  31 dicembre 1992, n. 546, e non per questioni di merito.

La Corte – in modo chiaro e didascalico– ha precisato (1) la legittimità dell’operato dell’Ufficio che ha emesso la cartella di pagamento sulla scorta della dichiarazione del contribuente, (2) ribadendo però che la dichiarazione dei redditi non è una dichiarazione di volontà ma una dichiarazione di scienza[4], dunque emendabile e ritrattabile e pertanto il contribuente – anche nella fase processuale – può dimostrare che l’originaria dichiarazione fosse viziata da errore di fatto o di diritto e che, quindi, il presupposto impositivo non fosse sussistente[5].

Oltre ciò, il Contribuente tra i motivi di ricorso in Cassazione enuclea e precisa il fatto di aver impugnato il ruolo iscritto a titolo definitivo ai sensi dell’art. 14 del DPR 29 settembre 1973, n. 602 e la cartella che lo recepisce[6]. Ciò posto, l’impugnabilità dell’atto della riscossione promanante da avviso bonario deve estendersi anche al merito della pretesa atteso che in questo caso la cartella di pagamento non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento autonomamente impugnabili e non impugnati ma costituisce il primo e unico atto con cui la pretesa fiscale è stata esercitata nei confronti del dichiarante ed ha perciò natura anche di atto impositivo[7]. Inoltre, va ricordato il disposto dell’art. 2 co. 8-bis del DPR 22 luglio 1998, n. 322 che stabilisce che resta ferma in ogni caso per il contribuente la possibilità di far valere, anche in sede di accertamento o di giudizio, eventuali errori, di fatto o di diritto, che abbiano inciso sull’obbligazione tributaria, determinando l’indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d’imposta o, comunque, di un minore credito.

A chi spetta l’onere della prova

L’onere della prova, come nel caso in cui il contribuente avesse provveduto al pagamento ed alla successiva istanza di rimborso, spetta al contribuente che intende “ritrattare” la propria dichiarazione dimostrare il fatto impeditivo dell’obbligazione tributaria. E ciò deve esser eseguito in ossequio alle regole generali in tema di ripartizione dell’onere probatorio stabilite dall’art. 2697 del Codice civile.

La Corte infatti, richiamandosi ad un recente precedente assimilabile[8], ribadisce – in ottica sistemica – che se non fosse previsto a carico del contribuente l’onere di provare la mancanza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione “si determinerebbe un’irrazionale disparità di trattamento a sfavore di coloro che chiedono il rimborso di un’imposta versata e non dovuta, onerati di fornire la prova del diritto alla restituzione, rispetto a coloro che, dopo essersi dichiarati soggetti all’imposta ed averla indicata nella dichiarazione, ne omettono (in tutto o in parte) il versamento[9]”.

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Note

[2] Sul tema si rimanda a BAGGIO, Sulla ritrattabilità della dichiarazione tributaria, in Riv. Dir. Trib. Fasc. 11, 2002.

[3] Sintetizzabili, nel comportamento di (1) omettere completamente l’adempimento dichiarativo, non elaborando e trasmettendo la dichiarazione IRAP ovvero in quello di (2) elaborare e trasmettere la dichiarazione, versare l’imposta calcolata e successivamente chiederne il rimborso (eventualmente impugnandone il diniego espresso o tacito).

[4] Per tutti, RUSSO, Manuale di diritto tributario, Giuffrè, 2007 – pag. 263

[5] Vedasi Cass. SS. UU. n. 13378 del 30 giugno 2016 e Cass. n. 21968 del 28 ottobre 2015.

[6] PISTOLESI, Il processo tributario, 2021 – Giappichelli, pag. 33. Conforme CISSELLO (a cura di), Manuale del processo tributario – Eutekne – 2020 – pag. 413.

[7] Cos’ MARCHESELLI (a cura di), Contenzioso tributario, 2018 – IPSOA – pag. 553. Vedasi in punto anche Cass. n. 1263 del 22 gennaio 2014.

[8] Cass. n. 6239 del 05 marzo 2020, conformi Cass. n. 27127 del 28 dicembre 2016 e Cass. n. 23999 del 24 novembre 2016.

[9] Così Cass. n. 6239 del 05 marzo 2020.

Sentenza collegata

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Antonio Borghetti

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