In cosa consiste il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

Il fatto

La Corte d’appello di Firenze confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Arezzo condannava l’imputato alla pena di legge, in relazione al reato di cui all’art. 2, comma 1-bis, L. 11 novembre 1983, n. 628 come successivamente modificato con il d.lgs. 24 marzo 1994, n. 211, per avere, quale legale rappresentante della “P. L. s.r.l.”, omesso il versamento all’I.N.P.S. delle ritenute operate sulla retribuzione dei dipendenti, reato commesso dal 20 settembre al 20 novembre 2012.

 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, veniva chiesto l’annullamento del provvedimento per i seguenti motivi: 1) violazione di legge penale in relazione all’art. 2, comma 1-bis, L., 11 novembre 1983, n. 628 e successive modifiche per avere la Corte d’appello di Firenze stimato integrato il reato anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo trascurando di considerare come l’imputato si fosse trovato nell’impossibilità di adempiere all’obbligo in considerazione della grave ed imprevedibile situazione di crisi economico-finanziaria della società rappresentata dai testi sentiti all’udienza del 3 giugno 2019; 2) vizio di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato per avere il Collegio di merito ritenuto erroneamente integrato il dolo omettendo di confrontarsi con le emergenze processuali quanto alla situazione di grave crisi economica della “P. L. s.r.l.”, non potendo l’effettività di detta crisi essere esclusa – come invece ritenuto dal Collegio di merito – dalla circostanza che la società non sia fallita o non abbia fatto accesso ad alcuna procedura concorsuale; 3) omessa motivazione in relazione alla ritenuta integrazione del reato contestato sotto i profili oggettivo e soggettivo; 4) mancanza di motivazione in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio con specifico riguardo all’omessa applicazione del minimo edittale e delle circostanze attenuanti generiche.

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

 

Con il primo ed il secondo motivo di doglianza, veniva rilevato, ad avviso della Suprema Corte, come il ricorrente – nel dolersi sotto una duplice angolazione della conferma del giudizio di penale responsabilità in relazione all’omesso versamento all’I.N.P.S. delle ritenute previdenziali ed assistenziali dei propri dipendenti e, in particolare, della mancata valutazione della situazione di crisi in cui versava l’azienda, tale da escludere l’elemento soggettivo del reato – si fosse limitato a riproporre censure già sottoposte al vaglio del Collegio territoriale non confrontandosi con i passaggi argomentativi sviluppati in risposta nella sentenza impugnata, come integrata dal corredo motivazionale della richiamata decisione di primo grado (v. da ultimo Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019) in guisa tale che questo omesso confronto rendeva, per la Corte di legittimità, aspecifiche le doglianze e conseguentemente inammissibile il ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009).

Ciò posto, veniva altresì fatto presente come ad ogni buon conto, i rilievi mossi dal ricorrente si appalesassero all’evidenza destituiti di fondamento là dove, nell’escludere una qualunque rilevanza alla situazione di crisi economica dell’azienda (stimata correttamente non grave, non essendo sfociata in alcuna procedura concorsuale), il Collegio distrettuale si era limitato a fare piana applicazione del costante insegnamento di questa Corte di legittimità in materia posto che costituisce ius receptum che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (v. Sez. 3, n. 43811 del 10/04/2017 – dep. 22/09/2017 e, recentissimamente, Sez. 3, n. 20090 del 12/06/2020 e Sez. 3, n. 20089 del 12/06/2020) tenuto conto altresì del fatto di come sia altrettanto pacifico che il medesimo reato non può essere scriminato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dalla scelta del datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, di destinare le somme disponibili al pagamento delle retribuzioni,perché, nel conflitto tra il diritto del lavoratore a ricevere i versamenti previdenziali e quello alla retribuzione, va privilegiato il primo in quanto è il solo a ricevere, secondo una scelta del legislatore non irragionevole, tutela penalistica per mezzo della previsione di una fattispecie incriminatrice. (Sez. 3, n. 36421 del 16/05/2019).

Le considerazioni che precedono – quanto all’effettiva valutazione della dedotta situazione di crisi aziendale da parte della Corte d’appello – rendevano per la Cassazione manifestatamente infondato il vizio motivazionale eccepito con il secondo motivo così come veniva parimenti stimato inammissibile il terzo motivo con il quale il ricorrente denunciava la mancanza di motivazione del provvedimento impugnato quanto ai presupposti del reato contestato atteso che, ad avviso degli Ermellini, per un verso, la difesa non aveva tenuto conto del principio di diritto ormai acquisito secondo cui, ai fini del controllo di legittimità su eventuali vizi di motivazione, ricorre la c.d. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima, sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019) e di conseguenza, nell’eccepire le omissioni argomentative, sempre secondo i giudici di legittimità ordinaria, il ricorrente non si sarebbe dovuto fermare a considerare il corredo motivazionale della decisione della Corte d’appello ma avrebbe dovuto tenere conto del discorso giustificativo svolto in tale sentenza come integrato dalla motivazione della richiamata decisione di primo grado, per altro verso, il ricorrente aveva prospettato comunque censure aspecifiche là dove attaccava la motivazione del provvedimento in rassegna e non indicava gli elementi di fatto e/o di diritto dedotti con l’atto d’appello sui quali la Corte del gravame non avrebbe dato risposta omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 1770 del 18/12/2012).

Ciò posto, veniva stimato inammissibile anche il quarto motivo con cui il ricorrente si doleva dell’omessa applicazione del minimo della pena e delle circostanze attenuanti generiche visto che la deduzione quanto al trattamento sanzionatorio era ritenuta generica e trascurava la regula iuris secondo cui la determinazione della pena entro il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è pertanto insindacabile nella sede di legittimità allorchè non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013) rilevandosi al contempo che l’arbitrio e l’irragionevolezza non erano ravvisabili nelle argomentazioni svolte sul punto dai Giudici di merito avendo riguardo al corredo motivazionale complessivo delle sentenze di primo e di secondo grado, tanto più considerata la particolare mitezza della sanzione irrogata all’imputato.

A sua volta la censura in punto di omessa concessione delle circostanze ex art. 62-bis cod. pen., pur in astratto fondata stante la mancata risposta della Corte d’appello rispetto all’invocata mitigazione, risultava, per il Supremo Consesso, nondimeno inammissibile per carenza d’interesse atteso che non poteva non essere notato come, in primo grado, il Tribunale avesse negato le circostanze attenuanti generiche sulla scorta della rilevata assenza di elementi positivamente valutabili e del precedente specifico, in ossequio al principio di diritto secondo cui il riconoscimento di tali elementi circostanziali postula la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012).

In particolare, nell’atto d’appello, dopo un’introduzione di carattere generale quanto ai presupposti della diminuente di cui all’art. 62-bis cod. pen., ad avviso della Suprema Corte, la difesa si era limitata ad invocare l’istituto sulla base delle difficoltà del ricorrente legate alla crisi della sua azienda ed aveva dunque omesso un qualunque confronto con le ragioni del diniego espresse nella motivazione della sentenza di primo grado appellata (assenza di elementi positivamente valutabili e soprattutto precedente penale specifico) finendo con ciò per muovere una censura aspecifica e, pertanto, ab origine inammissibile.

A fronte di ciò, veniva, dunque, essere riaffermato nella specie il principio di diritto più volte espresso dalla Cassazione alla stregua del quale è inammissibile per carenza d’interesse il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello e che risulti ab origine inammissibile per manifesta infondatezza in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015) tenuto altresì conto del fatto che detto principio di diritto era stato ribadito in un caso in tutto sovrapponibile a quello di specie in cui l’imputato si doleva della mancata pronuncia della Corte d’appello sulle invocate attenuanti generiche in relazione a un motivo di appello manifestamente inammissibile perché non specificava le ragioni poste alla base dell’invocato riconoscimento delle stesse circostanze e non adduceva una motivata censura all’argomento al riguardo impiegato dal giudice di primo grado (v. Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019).

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui chiarisce in cosa consiste il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali.

Difatti, in questa pronuncia, avvalendosi di precedenti conformi, è affermato che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare.

Pertanto, tale orientamento nomofilattico deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si pone il problema di verificare la sussistenza o meno di siffatto illecito penale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questa tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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