Dipendenti: va retribuito il tempo per indossare la divisa

Redazione 08/02/17
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Il tempo che i dipendenti impiegano ogni mattina per indossare la divisa aziendale va retribuito come normale orario di lavoro. Lo stesso vale, ogni sera, per il tempo necessario a svestirsi. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n. 2965 del 3 febbraio 2017, che ha riconosciuto ad alcuni lavoratori il rimborso dei minuti impiegati per la vestizione nei precedenti cinque anni.

Ci sono però delle limitazioni da tenere in considerazione. Vediamo quali.

 

Quali attività vanno retribuite?

Oltre alle ore di lavoro vero e proprio, l’azienda deve pagare al dipendente anche il tempo necessario a prepararsi all’attività da svolgere, se questo è espressamente previsto e regolato dal datore di lavoro.

Se infatti il Regio decreto n. 629/1923 definisce generalmente come lavoro effettivoogni lavoro che richieda un’occupazione assidua e continuativa”, e il D.Lgs. n. 66/2003 definisce l’orario di lavoro come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio delle sue attività”, bisogna anche considerare che la giurisprudenza comunitaria stabilisce che rientra nell’orario di lavoro il tempo in cui il dipendente è obbligato a essere fisicamente presente sul luogo di lavoro. Tempo che dunque va retribuito.


Il tempo per vestirsi e svestirsi deve essere pagato

La Corte di Cassazione conferma quindi la sentenza della Corte d’Appello e stabilisce che il tempo impiegato per vestirsi e per cambiarsi d’abito deve essere retribuito.

Nello specifico, gli Ermellini hanno affermato che i minuti necessari a indossare la divisa sono da considerarsi lavoro effettivo quando tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, che “ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione”. Inoltre, le operazioni di vestizione vanno retribuite quando queste siano strettamente necessarie per lo svolgimento dell’attività lavorativa.


Fase finale e fase preparatoria di lavoro

Più in generale, e sulla base della normativa sopra accennata, la Corte ha stabilito la differenza nel rapporto di lavoro tra una fase finale, che soddisfa direttamente l’interesse del datore di lavoro, e una fase preparatoria, relativa a prestazioni accessorie e strumentali e autonomamente esigibili dall’azienda.

Alla fase preparatoria, quando è appunto richiesta dal datore di lavoro e non a discrezione del lavoratore, deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva.

 

Il rimborso va in prescrizione dopo cinque anni

Attenzione, però: è vero che il datore di lavoro deve rimborsare il dipendente per il tempo di vestizione e cambio d’abito non retribuito, ma tale rimborso va in prescrizione dopo cinque anni e si applica dunque solo al quinquennio immediatamente precedente la notifica del ricorso.

La Cassazione conferma infine quanto stabilito dalla Corte d’Appello stabilendo che il tempo necessario a vestirsi e a svestirsi deve normalmente corrispondere a dieci minuti.

Sentenza collegata

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