Per il reato di “fuga” di cui all’art. 189, co. 6, codice della strada è sufficiente il dolo eventuale

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(Riferimento normativo: D.lgs., 30 aprile 1992, n. 285, art. 189, co. 6, primo periodo)

     Indice

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

1. Il fatto

La Corte di Appello di Napoli confermava una pronuncia emessa dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere con cui l’imputata era stata condannata alla pena di anni 1, mesi 1, giorno 10 di reclusione ed euro 400,00 di multa per il reato di cui agli artt. 590 cod. pen., commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale; 189, commi 6 e 7 cod. strada.

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento emesso dalla Corte territoriale partenopea, proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputata che deduceva i seguenti motivi: 1) incompetenza per materia del Giudice monocratico, sostenendosi al riguardo che la competenza a pronunciarsi in ordine al reato di cui all’art. 590 cod. pen. appartiene al Giudice di Pace ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. a) D.Igs. 274/2000; 2) difetto dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 189, comma 7, d.lgs. n. 285/1992; III) illiceità e sproporzione della pena per violazione dell’art. 52, comma 2, lett. a) d.lgs 274/2000 nella determinazione della pena in quanto, ad avviso del ricorrente, a fronte del fatto che i giudici di merito, nel ritenere il vincolo della continuazione tra i reati, avevano considerato più grave il reato di cui all’art. 189, comma 7, cod. strada, applicando un aumento di quattro mesi di reclusione per gli ulteriori reati satellite (189, comma 6, cod. strada e 590 cod. pen.), al contrario, nel determinare la pena per il reato di lesioni, si sarebbe dovuto fare luogo alle medesime sanzioni applicabili innanzi al Giudice di pace.

3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Gli Ermellini osservavano in via preliminare come i reati contestati all’imputato fossero tutti estinti per intervenuta prescrizione, essendo maturato il termine massimo di prescrizione dei delitti in contestazione, pari ad anni sette e mesi sei, da farsi decorrere dalla data dell’incidente stradale.

Pertanto, alla luce di ciò, i giudici di piazza Cavour evidenziavano come sussistessero le condizioni per rilevare d’ufficio l’intervenuta causa estintiva del reato per cui si procedeva, non presentando il ricorso profili di inammissibilità suscettibili d’incidere sulla valida instaurazione del rapporto di impugnazione dal momento che, in linea generale, l’inammissibilità del ricorso, sotto il profilo contenutistico, si caratterizza per l’aspecificità dei motivi, i quali, per essere tali, devono presentare aspetti di genericità ed indeterminatezza o risultare carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (così ex multis Sez. 4, Sentenza n. 18826 del 09/02/2012); oltre a ciò, si rilevava al contempo come tali qualificazioni non fossero rinvenibili nei motivi di ricorso in rapporto ai quali, specie con riferimento all’ultimo motivo doglianza, per la Corte di legittimità, non era possibile sostenere la ricorrenza di ipotesi ascrivibili alla categoria dell’inammissibilità.

Pertanto, ad avviso della Suprema Corte, ricorrevano i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare la causa di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., maturata successivamente alla sentenza impugnata.

Detto questo, il Supremo Consesso considerava come risultasse invece superfluo compiere qualsiasi approfondimento in relazione ai rilievi proposti dalla difesa nei motivi primo e terzo del ricorso atteso che, a prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti del ricorrente, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza di eventuali nullità (anche se di ordine generale), in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito che ne deriverebbe, è incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 1021 del 28.11.2001).


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Chiarito ciò, per la Cassazione, si imponeva, a questo punto della disamina, l’analisi del motivo di doglianza riguardante precipuamente la motivazione espressa dalla Corte di merito in ordine all’elemento soggettivo dei reati di cui all’art. 189, commi 6 e 7, cod strada, su cui si appuntavano le critiche difensive.

Orbene, si faceva presente a tal proposito prima di tutto che, nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunciata dal primo giudice o dalla Corte di Appello, in seguito a costituzione di parte civile nel processo, sia preciso obbligo del giudice, anche di legittimità, secondo il disposto dell’art. 578 cod. proc. pen., esaminare il fondamento dell’azione civile e verificare, senza alcun limite, l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno la condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunciate nei precedenti gradi.

Premesso ciò, gli Ermellini notavano come i giudici di seconde cure avessero offerto una congrua motivazione sulla sussistenza di siffatto elemento costitutivo di cotale illecito penale, avendo costoro richiamato la dinamica del sinistro stradale, nonché evidenziato come l’imputata avesse investito in pieno il conducente del ciclomotore, tagliandogli la strada, fermo restando che, in seguito all’urto violento, la persona offesa ed un testimone presente al fatto invano avevano richiamato l’attenzione della donna, gesticolando e gridandole di fermarsi mentre costei, ossia l’imputata, incurante di ciò, si era allontanata repentinamente, omettendo di fermarsi e di prestare soccorso alla persona offesa.

Ebbene, da tali elementi i giudici di merito avevano desunto che la imputata non potesse non avere percepito le gravi conseguenze cagionate alla vittima in seguito al violento impatto, traendo la logica conseguenza del volontario suo allontanamento dal luogo dei fatti.

Da ciò la Suprema Corte giungeva alla conclusione secondo cui fosse priva di pregio l’osservazione difensiva secondo la quale i giudici di merito non avrebbero offerto alcuna motivazione circa gli indici da cui sarebbe stata desunta la volontà della imputata di darsi alla fuga e non prestare assistenza alla vittima.

Si evidenziava a tal riguardo che, secondo una costante giurisprudenza della Cassazione, l’elemento soggettivo del reato di “fuga” è integrato anche in presenza del dolo eventuale, ravvisabile in capo all’utente della strada il quale, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta possibilità che sia derivato danno alle persone, non ottemperi all’obbligo di fermarsi e di prestare la necessaria assistenza ai feriti e, di conseguenza, ai fini della ricorrenza del reato, è bastevole anche il dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone perciò stesso il rischio, significando ciò che, rispetto alla verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato all’incidente, è sufficiente che, per le modalità di verificazione di questo e per le complessive circostanze della vicenda, l’agente si rappresenti la probabilità – o anche la semplice possibilità – che dall’incidente sia derivato un danno alle persone e che queste necessitino di assistenza (cfr. Sez. 4, n. 33772 del 15/06/2017; Sez. 4, n. 6904 del 20/11/2013; Sez. 4, n.36270 del 24/05/2012; Sez. 4, n.33294 del 14/05/2008).

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, i giudici di piazza Cavour confermavano quanto già esposto prima, ossia come la Corte territoriale partenopea avesse fornito una motivazione conforme a diritto nella valutazione delle emergenze probatorie in atti, desumendo l’elemento soggettivo da tutti gli elementi evidenziati in motivazione, quali la sede dell’urto, l’entità dei danni cagionati, la caduta del motociclista e le grida di aiuto mentre, a loro avviso, all’opposto, i rilievi difensivi non erano stati in grado di evidenziare elementi di criticità nel discorso giustificativo offerto in sentenza, così  e non si erano confrontati realmente con le argomentazioni ivi contenute.

4. Conclusioni

In ordine al reato di cui all’art. 189, co. 6, primo periodo, codice della strada che, come è noto, stabilisce che chiunque, “nelle condizioni di cui comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”, la sentenza in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito che, in ordine all’elemento soggettivo richiesto ai fini della configurabilità dell’illecito penale de quo, può rilevare anche il dolo eventuale.

Infatti, in tale pronuncia, si afferma, sulla scorta di un pregresso e costante orientamento nomofilattico, che l’elemento soggettivo del reato di “fuga” è integrato anche in presenza del dolo eventuale, ravvisabile in capo all’utente della strada il quale, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta possibilità che sia derivato danno alle persone, non ottemperi all’obbligo di fermarsi e di prestare la necessaria assistenza ai feriti e, di conseguenza, ai fini della ricorrenza del reato, è bastevole anche il dolo eventuale fermo restando che è sufficiente che, per le modalità di verificazione e per le complessive circostanze della vicenda, l’agente si rappresenti la probabilità – o anche la semplice possibilità – che dall’incidente sia derivato un danno alle persone e che queste necessitino di assistenza.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si ponga il problema di appurare la sussistenza di siffatto illecito penale, per quanto concerne l’elemento soggettivo.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo. 

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