Falsità o omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione per accedere al gratuito patrocinio

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La Cassazione chiarisce quando è configurabile il delitto di cui all’art. 95 del d.P.R. n. 115/2002 e come devono essere provati i suoi elementi costitutivi: vediamo in che modo.

(Riferimento normativo: d.P.R., 30/05/2002, n. 115, art. 95)

Indice:

Il fatto

La Corte di Appello di Venezia confermava una sentenza del Tribunale di Belluno con cui l’imputato era stato condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione in relazione al reato di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002.

Secondo la Corte territoriale, l’imputato aveva attestato falsamente che nessuno dei familiari conviventi era proprietario di immobili o percepiva redditi, mentre, in base agli accertamenti effettuati, il figlio convivente era risultato proprietario di un immobile e di un’autovettura Bmw del valore di euro ventimila.

Ciò posto, nella sentenza emessa dai giudici di seconde cure, era stato altresì osservato che, anche a voler riconoscere la tesi difensiva secondo cui i redditi comunque non superassero i limiti di legge, ciò non escludeva comunque la sussistenza del reato.

In particolare, si reputava come l’oggettiva falsità della dichiarazione fosse sorretta dall’elemento psicologico del dolo, come confermato dalla moglie dell’imputato che, in qualità di teste, aveva affermato che il marito era consapevole della proprietà del terreno sul quale insisteva il fabbricato adibito a ricovero e tale affermazione, ad avviso della Corte territoriale, consentiva di escludere che la dichiarazione fosse stata effettuata in buona fede, a causa della non conoscenza della lingua italiana.

La Corte veneta rilevava infine come, alla luce dei numerosissimi precedenti penali, il fatto non potesse essere considerato occasionale, per cui non poteva essere applicata la causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen..

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento emesso dai giudici di secondo grado il difensore dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo i seguenti motivi: 1) vizio di motivazione; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo; 3) violazione dell’art. 131 bis cod. pen. e vizio di motivazione.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era reputato fondato alla stregua delle seguenti ragioni fermo restando che i primi due motivi di ricorso, trattati congiuntamente, erano però stimati manifestamente infondati.

Si premetteva a tal proposito innanzitutto che, ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie per l’ammissione al patrocinio, rileva ogni componente di reddito, imponibile o non, siccome espressivo di capacità economica (Sez. 4, n. 12410 del 06/03/2019) e le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio integrano il reato di cui si tratta solo allorquando riguardino la sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, ma non anche quando cadano su elementi a tal fine irrilevanti (Sez. 4, n. 20836 del 16/04/2019), rilevandosi al contempo che la correttezza di tale ultimo approccio ermeneutico, ad avviso della Suprema Corte, sembra trovare un appiglio testuale in quanto incidentalmente affermato delle Sezioni Unite in una decisione riguardante la diversa, seppur correlata, tematica della revoca del beneficio, con specifico riferimento alla falsità o all’incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione, prevista dall’art.79, c. 1, lett. c) d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in caso di redditi che non superino il limite di ammissibilità (Sez. U. n. 14723 del 19/12/2019, dep. 2020).

Ciò posto, sui principi operanti in materia, nella specie, la Corte territoriale, con motivazione, ritenuta dagli Ermellini, del tutto congrua e non contraddittoria e coerente coi principi affermati in sede di legittimità, ha evidenziato le ragioni per le quali erano state respinte le giustificazioni addotte a difesa, in quanto, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nel reddito complessivo dell’istante, ai sensi dell’art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002, deve essere computato anche il reddito di qualunque persona che con lui conviva e contribuisca alla vita in comune (Sez. 4, n. 44121 del 2012), oltre che correttamente richiamare il consolidato indirizzo della giurisprudenza della Cassazione secondo cui integrano il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dall’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio (Sez. 4, n. 40943 del 18/09/2015; Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008).

Invece, in ordine all’elemento soggettivo, era ricordato che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, che integrano l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 95, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico, rigorosamente provato, che esclude la responsabilità per un difetto di controllo, di per sé integrante condotta colposa, e salva l’ipotesi del dolo eventuale (Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019), tenuto conto altresì del fatto che, ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 95 cit., in caso di effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, non è sufficiente che l’istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell’elemento soggettivo del reato, al fine di escludere l’eventuale inutilità del falso (Sez. 4, n. 7192 del 11/01/2018; Sez. 4, n. 45786 del 04/05/2017) nel senso che, se è vero che il reato de quo è configurabile anche quando la falsità o l’omissione riguardi redditi in concreto rientranti nei limiti massimi stabiliti dalla legge per ottenere il beneficio del patrocinio per non abbienti a spese dello Stato, nondimeno in tal caso occorre verificare con particolare attenzione se, alla stregua delle risultanze processuali, la falsità o l’omissione fosse realmente espressiva di deliberato mendacio o reticenza sulle effettive condizioni reddituali o non fosse piuttosto frutto di disattenzione, come tale non qualificabile come dolo.

In aggiunta a quanto precede, si considerava altresì opportuno rammentare che l’art. 76 D.Lgs. n. 115 del 2002, che disciplina la materia del patrocinio a spese dello Stato ed è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 95 stesso d.lgs., non costituisce legge extrapenale in ordine alla quale l’errore da parte del soggetto attivo possa avere incidenza scusante, e ciò in quanto deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per «legge diversa dalla legge penale» ai sensi dell’art. 47 cod. pen. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente (Sez. 6, n. 25941 del 31/03/2015; Sez. 4, n. 14011 del 12/02/2015).

Orbene, in ordine a quanto richiesto in siffatti orientamenti ermeneutici, i giudici di piazza Cavour reputavano come la Corte di merito avesse adeguatamente motivato su tali questioni in guisa tale da considerare i motivi proposti, come accennato anche prima, infondati.

Invece, per quanto concerne la terza e ultima doglianza, il Supremo Consesso la riteneva fondata per le seguenti considerazioni.

In particolare, dopo essere fatto presente, da un lato, che la speciale causa di non punibilità prevista dalla disposizione richiamata è configurabile in presenza di un duplice condizione, essendo richiesta, congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale del citato articolo, la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento, dall’altro, che il primo dei due requisiti richiede, a sua volta, la specifica valutazione della modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’art. 133 cod. pen., cui segue in caso di vaglio positivo e dunque nella sola ipotesi in cui si sia ritenuta la speciale tenuità dell’offesa, la verifica della non abitualità del comportamento che il legislatore, con previsione piuttosto ambigua, esclude nel caso in cui l’autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate fermo restando che, con riguardo a tale ultimo presupposto, in definitiva, l’operatività dell’istituto va esclusa quando il soggetto agente abbia violato più volte la stessa o più disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi, non essendo dunque la generica capacità a delinquere a venire in conto, con la conseguenza che il mero richiamo di plurimi precedenti penali da cui l’imputato risulti gravato non è sufficiente a giustificare il mancato riconoscimento dell’esimente posto che il riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto non è precluso dall’esistenza di precedenti penali gravanti sull’imputato, pur quando, sulla base di essi, si sia applicata una pena superiore al minimo edittale, atteso che i parametri di valutazione di cui all’art. 131-bis cod. pen. hanno natura e struttura oggettiva, ed operano su un piano diverso da quelli sulla personalità del reo (Sez. 3, n. 35757 del 23/11/2016) posto che i precedenti penali possono assumere valenza ostativa solo ove l’imputato risulti essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, oppure abbia commesso più reati della stessa indole (Sez. 6, n. 605 del 03/12/2019), gli Ermellini ritenevano come la sentenza impugnata sul punto non risultasse aver fatto buon governo di questi principi, essendosi limitata a fare riferimento genericamente ai plurimi precedenti penali che sarebbero indicativi di non abitualità della condotta criminosa, sillogismo avente natura del tutto congetturale, in quanto non è stata spiegata la presunta comunanza di indole con quello per cui si procede, tenuto conto altresì del fatto che il ricorrente non si era limitato a contestare la valutazione, bensì aveva sottolineato l’assoluta mancanza di connotati ostativi alla valutazione di particolare tenuità del fatto, di abitualità della condotta criminosa e di dati oggettivi sintomatici di pericolosità.

Tal che se ne faceva conseguire l’annullamento della sentenza impugnata per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia in relazione alla questione inerente alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen..

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Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante in quanto con essa la Cassazione chiarisce quando è applicabile la fattispecie incriminatrice contemplata dall’art. 95 del d.P.R. n. 115/2002 che, come è noto, stabilisce quanto segue: “La falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall’articolo 79, comma 1, lettere b), c) e d)[1], sono punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37. La pena è aumentata se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al patrocinio; la condanna importa la revoca, con efficacia retroattiva, e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato”.

In tale pronuncia, infatti, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, si afferma che: 1) le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio integrano il reato di cui si tratta solo allorquando riguardino la sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, ma non anche quando cadano su elementi a tal fine irrilevanti; 2) integrano il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dall’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio; 3) ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 95 cit., in caso di effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, non è sufficiente che l’istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell’elemento soggettivo del reato, al fine di escludere l’eventuale inutilità del falso  nel senso che, se è vero che il reato de quo è configurabile anche quando la falsità o l’omissione riguardi redditi in concreto rientranti nei limiti massimi stabiliti dalla legge per ottenere il beneficio del patrocinio per non abbienti a spese dello Stato, nondimeno in tal caso occorre verificare con particolare attenzione se, alla stregua delle risultanze processuali, la falsità o l’omissione fosse realmente espressiva di deliberato mendacio o reticenza sulle effettive condizioni reddituali o non fosse piuttosto frutto di disattenzione, come tale non qualificabile come dolo.

Tale sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si debba verificare la configurabilità di questo illecito penale, nonché se il giudice abbia correttamente provveduto ad accertarne la sua sussistenza.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

 

[1]Ai sensi del quale: “L’istanza è redatta in carta semplice e, a pena di inammissibilità, contiene: (…) b) le generalità dell’interessato e dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali; c) una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato, ai sensi dell’articolo 46, comma 1, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’articolo 76; d) l’impegno a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell’anno precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno, dalla data di presentazione dell’istanza o della eventuale precedente comunicazione di variazione”.

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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