Disturbo della quiete pubblica: ammesso il sequestro preventivo del cane

Scarica PDF Stampa

IL FATTO

Il Tribunale del Riesame di Trieste disponeva con ordinanza il sequestro preventivo dei cani di proprietà di B.L., una condomina indagata per i reati previsti e puniti dagli artt. 674[1]  c.p., “getto pericoloso di cose”, e 659[2] c.p., “disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”.

 

Di fatto, all’indagata veniva contestata l’immissione di rumori intollerabili e molesti, nonché di sgraditi olezzi all’interno del condominio, aventi origine da tre cani posseduti dalla medesima e tenuti illo tempore in precarie condizioni igienico-sanitarie, con una marcata carenza di pulizia del cortile.

Non a caso, l’indagata, vantava precedenti specifici per le accuse contestate.

 

Premesso quanto sopra, in forza dell’esposto di alcuni vicini di casa, acquisite le valutazioni delle competenti Autorità Sanitarie ed i rilievi fonometrici dell’ARPA, il Tribunale del riesame di Trieste, riteneva che, seppur lecitamente detenuti, i cani potessero essere considerati “cosa pertinente al reato”, poiché davano, in effetti, concreta occasione all’indagata di reiterare le condotte di reato per cui si procedeva; pertanto, ne disponeva sequestro preventivo[3].

 

Nei confronti del prefato provvedimento, ricorreva B.L. per Cassazione, denunciando violazione di legge penale.

 

Nello specifico, l’indagata lamentava che: “il sequestro preventivo dei cani è legittimo solo in caso di loro maltrattamento; al contrario, gli animali di compagnia non possono essere considerati cose pertinenti al reato, in quanto esseri senzienti.”; inoltre, contestava la presenza di fumus commissi delicti con riferimento alla contravvenzione di cui all’art. 659 c.p, adducendo che l’abbaiare dei cani è un fenomeno del tutto naturale, ed il correlato reato, sussiste solo qualora esso sia continuo ed ininterrotto e tale da impedire il riposo notturno di una indeterminata pluralità di persone.

 

Inoltre, la ricorrente sosteneva che le misurazioni dell’ARPA non erano valutabili, poiché non acquisite in contraddittorio; peraltro, al caso di specie, alle misurazioni non erano applicabili i valori limite previsti dalla legge quadro sull’inquinamento acustico.

 

Da ultimo, l’indagata, rilevava l’assenza dei presupposti di cui all’art. 674 c.p. per la mancanza di pericolo per la salute pubblica, che costituisce la ratio dell’incriminazione; invero, a suoi dire, si trattava di singoli escrementi, peraltro ritenuti dal Veterinario Comunale non problematici quanto al carattere dell’igiene.

 

Esponeva la B.L. ulteriori censure, tutte in fatto ed in merito.

 

La III Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 54531, pubblicata in data 22 dicembre 2016, respingeva il ricorso proposto dall’indagata e, contestualmente, la condannava al pagamento delle spese processuali.

 

                                                                       LA DECISIONE      

La Suprema Corte traeva la propria decisione in primis sulla scorta dei propri precedenti; in particolare, quanto alla qualificazione del “cane” in quanto “res”, richiamava  “la Sez. 2, n. 18749 del 05/02/2013 – dep. 29/04/2013, Giacomello, Rv. 255761; Sez. 5, n. 31 del 11/10/2011 – dep. 10/01/2012, Capozza, Rv. 251700”.

 

In forza di tale configurazione, in risposta alle infondate argomentazioni della ricorrente – per cui il sequestro preventivo dell’animale sarebbe possibile solo per tutelarlo contro i maltrattamenti e non in altri casi -, sottolineava, come, proprio in ragione della previsione codicistica di cui all’art. 544 sexies c.p., esiste una ulteriore conferma positivizzata per cui: “gli animali possono essere soggetti a confisca e, quindi, a sequestro preventivo”.

 

Dipoi, quanto al ragionamento della ricorrente, secondo cui, i cani non sono sequestrabili poiché “essere senzienti”, la Suprema Corte censurava duramente detta affermazione, atteso che: “riconoscere i cani come “esseri senzienti” – qualunque portata si voglia attribuire a tale espressione – non muta affatto, in maniera vincolante sul legislatore nazionale e sul giudice, il loro regime giuridico”.

 

Pure tutte le ulteriori esposizioni dell’indagata, apparivano agli occhi degli Ermellini prive di pregio, in particolare, pure i richiami al diritto comunitario e internazionale risultavano inopportuni nel caso particolare; invero: “il Trattato di Lisbona e la Convenzione di Strasburgo evocati dalla ricorrente altro non facciano che vietare l’inflizione agli animali di sofferenze non necessarie: divieto cui aveva già provveduto il Codice Zanardelli e nei decenni rafforzato sotto vari aspetti (per un excursus sulla legislazione su questo tema, cfr. Sez. 3, n. 44822 del 24/10/2007 – dep. 30/11/2007, Borgia, Rv. 23845701).”

Comunque, l’invocato stato di sofferenza dell’animale, allontanato dal padrone e trasferito in altro luogo per la custodia, non era provato o provabile.

 

A dire della Corte di Cassazione, neppure il particolare sentimento che lega la ricorrente ai propri animali, poteva assurgere a motivo di non sequestrabilità; a ben vedere, “tale sentimento non può che cedere rispetto a quelli tutelati dalle norme penali già menzionate”.

 

Concludeva dunque il Supremo Tribunale, stabilendo definitivamente che: “Il sequestro preventivo [4]dei cani è pertanto legittimo: si tratta di cose pertinenti ai reati contestati la cui disponibilità da parte dell’indagata può protrarre la loro consumazione.”

 

Dipoi, inconsistenti tutte le ulteriori censure della ricorrente poiché in buona parte in fatto e riguardanti la logicità della motivazione e pertanto, inammissibili, poiché, avverso l’ordinanza impugnata era ammissibile il solo ricorso solo per violazione di legge.

 

In tale alveo, rientrava la contestazione circa la richiamata “irrilevante” e dopotutto “fisiologica” produzione di rumore da parte degli animali poiché, a mente dell’art. 659 c.p.: si “impone ai padroni degli animali di impedirne lo strepito, cosicché non può essere invocato un “istinto insopprimibile” del cane per sostenere l’insussistenza del reato.”

 

Si richiamava, sul punto un precedente consolidato: “Questa Corte ha già affermato, in una fattispecie identica (proprietario di cani, tenuti in un giardino recintato, che non aveva impedito il loro continuo abbaiare, tale da arrecare disturbo al riposo delle persone dimoranti in abitazioni contigue), che per l’integrazione del reato previsto dall’art. 659 cod. pen. è sufficiente l’idoneità della condotta ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone, non occorrendo l’effettivo disturbo alle stesse (Sez. 1, n. 7748 del 24/01/2012 – dep. 28/02/2012)“.

 

Al pari, allo stesso modo inconsistente, appariva la contestazione circa all’affermazione della sussistenza del fumus commissi delicti della contravvenzione di cui all’art. 674 c.p., poiché, richiamando un precedente analogo, la Suprema Corte, riteneva che essa è pienamente configurata “anche nel caso di emissioni moleste “olfattive” che superino il limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c., (Sez. 3, n. 45230 del 03/07/2014 – dep. 03/11/2014, Benassi, Rv. 260980); non si richiede che la condotta contestata abbia cagionato un effettivo nocumento, essendo sufficiente che essa sia idonea a molestare le persone (Sez. 3, n. 971 del 11/12/2014 – dep. 13/01/2015, Ventura, Rv. 261794)”.

 

Da ultimo, quanto alla concezione di “esistenza” e “tollerabilità” delle stesse emissioni, la Cassazione, precisava come le stesse ben potevano basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se quest’ultime “non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti (Sez. 3, n. 12019 del 10/02/2015 – dep. 23/03/2015, Pippi, Rv. 262711).

 

Per quanto di ragione, la Suprema Corte, rigettava il ricorso di B.L. e la condannava la pagamento delle spese processuali.


[1] Art. 674 c.p.  “Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a euro 206.”

[2] Art. 659 c.p. “Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309. Si applica l’ammenda da euro 103 a euro 516 a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorità.”

[3] Cfr. art. 321 c.p.p.

[4] Il codice prevede tre ipotesi di sequestro preventivo:

– quando vi è il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze dello stesso (ad esempio, nel caso di pellicola cinematografica oscena o di immobile abusivo);

– quando vi è il pericolo che la cosa possa agevolare la commissione di altri reati (ad esempio, nel caso d denaro derivante da una rapina);

– quando la cosa è pericolosa in sé, poiché di essa è consentita od imposta la confisca (ad esempio, l’arma usata per commettere un reato).

La finalità di prevenzione comporta che questo tipo di sequestro possa essere chiesto dal giudice soltanto dal pm.

Il sequestro preventivo non si limita a creare un vincolo di indisponibilità su una cosa, bensì comporta una vera e propria “inibitoria”, e cioè vincoli di “fare” e di “non fare”.

L’inibitoria deve essere collegata con un vincolo di indisponibilità ad una cosa mobile o immobile il cui uso è implicato necessariamente nell’agire vietato dalla legge penale.

Procedimento: è disposto dal giudice su richiesta del pm.

Il giudice valuta l’esistenza dei presupposti senza sentire il possessore della cosa, che può essere tanto l’imputato, quanto la persona offesa o un terzo.

Quando non è possibile attendere il provvedimento del gip, il sequestro preventivo è disposto con decreto motivato del pm.

Questi chiede al giudice la convalida e l’emissione del decreto di sequestro.

Entro 10 giorni il giudice emette ordinanza di convalida e dispone il decreto di sequestro.

La revoca del sequestro preventivo può essere chiesta al giudice dal pm, dall’imputato o da chiunque ne abbia interesse.

Il sequestro preventivo deve essere revocato quando sono venute meno le esigenze preventive previste dalla legge.

Il limite massimo di tempo entro cui può essere mantenuto il sequestro preventivo è la sentenza di primo grado, anche se impugnabile.

Contro il decreto di sequestro emesso dal giudice possono presentare richiesta di riesame l’imputato, il difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate, (Stefano Civitelli).

Sentenza collegata

612329-1.pdf 169kB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Dott.ssa Picaro Valeria

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento