In cosa il reato di violazione dei sigilli si distingue da quello di sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro

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(Riferimenti normativi: Cod. pen., artt. 334, 349)

Indice:

Il fatto

La Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma di una decisione emessa dal Tribunale della medesima città che aveva condannato l’imputato alla pena di anni 4 di reclusione ed E. 1.000,00 di multa, per i reati unificati con la continuazione, ed applicata la recidiva, di cui agli art. 349, comma 2, cod. pen. (commesso il 26 giugno 2013), art. 81, 110 cod. pen., 44 lettera A, d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42 del 2004; art. 28 del d.P.R. 128/1959 e 349, comma 2, cod. pen., dichiarava di non doversi procedere nei confronti dell’imputato per i reati di cui ai capi A e B dell’imputazione (contravvenzioni) perché estinti per prescrizione, rideterminando la pena per le residue imputazioni dei reati ex art. 349 cod. pen. in anni 3 e mesi 6 di reclusione ed E. 515,00 di multa.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure il difensore dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo i seguenti motivi: 1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606, lett. b, cod. proc. pen. (art. 349 cod. pen.) in quanto, ad avviso del ricorrente, i fatti contestatigli non integravano i reati di cui all’art. 349 cod. pen., ma la fattispecie prevista dall’art. 334 cod. pen. avendo la Guardia di Finanza operato un sequestro ex art. 354 cod. proc. pen. al solo fine di impedire l’accesso sul luogo sottoposto agli accertamenti di P.G. e, al momento del sequestro della cava in oggetto, avvisando il ricorrente delle sanzioni ex art. 334 e 335 cod. pen. nelle ipotesi di violazione fermo restando che il reato di cui all’art. 334, secondo comma, cod. pen. era prescritto; 2) violazione di legge (art. 81 cod. pen.) posto che il reato, per la difesa, era, comunque, prescritto alla data della sentenza impugnata per il decorso del termine massimo di prescrizione e, conseguentemente, era reputato l’aumento di pena per la continuazione, residuando un solo reato; 3) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per l’applicazione della recidiva non avendo la Corte di Appello motivato sulla maggiore pericolosità derivante dalla commissione del reato in oggetto, tenuto conto altresì del fatto che i precedenti penali erano risalenti e, per la difesa, non potevano essere ritenuti indici di maggiore pericolosità (vedi S.U. n. 35738/2010), rilevandosi al contempo che i fatti, del resto, erano stati commessi per pura necessità essendo la cava l’unica fonte di guadagno dell’onesto lavoratore ricorrente.

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

La Suprema Corte riteneva il ricorso proposto inammissibile perché manifestamente infondato.

In particolare, in ordine ai reati di violazione dei sigilli e sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa, gli Ermellini osservavano che la differenza tra i due questi delitti sta proprio nella apposizione o no dei sigilli, che possono essere disposti sulla cosa oggetto di sequestro; più nel dettaglio, nell’ipotesi di mancata apposizione di sigilli (ma ad esempio di solo cartello indicante il sequestro) si configura il reato di cui all’art. 334 cod. pen., mentre se sono apposti i sigilli si configura il reato di cui all’art. 349, cod. pen.: «Non integra il reato di violazione di sigilli l’asportazione, da veicolo assoggettato a sequestro amministrativo, del foglio o cartello adesivo apposto sullo stesso e recante l’indicazione del disposto sequestro a norma dell’art. 394, comma nono, reg. cod. strad., non costituendo tale foglio di segnalazione un vincolo equivalente ai sigilli, distintamente apponibili, secondo quanto previsto dal comma quinto, solo in caso di necessità» (Sez. 3, n. 20869 del 11/01/2012; nello stesso senso Sez. 3, n. 39368 del 02/07/2015) fermo restando che, comunque, il “reato di cui all’art. 349 cod. pen., nell’ipotesi in cui i sigilli siano apposti sulla cosa o su una parte di essa allo scopo di impedire la prosecuzione illegittima di un’attività, è integrato anche dal semplice riutilizzo del bene o ripresa dell’attività illecita mediante accorgimenti idonei ad evitare la lesione dell’integrità materiale del sigillo. Fattispecie relativa al sequestro di un autolavaggio azionato senza intervenire sul quadro elettrico sul quale erano stati apposti i sigilli” (Sez. 3, Sentenza n. 7407 del 15/01/2015, e Sez. 3, Sentenza n. 38198 del 27/04/2017).

In buona sostanza, la violazione dei sigilli mira ad impedire la violazione del vincolo di immodificabilità della res (Sez. 3, n. 19722 del 03/04/2008) mentre la sottrazione dei beni sottoposti a sequestro (punita ex art. 334 cod. pen.) mira ad impedire la dispersione o la sottrazione dei beni (rinviandosi, per un caso di sottrazione di bestiame in sequestro, evidentemente nell’impossibilità per la natura del bene di apposizione dei sigilli, alla Sez. 6, n. 37266 del 05/10/2006).

Ciò posto, i giudici di piazza Cavour prendevano atto come nel ricorso per cassazione il ricorrente non contestasse l’avvenuta apposizione dei sigilli e quindi, a loro avviso, il reato configurabile era quello contestato di violazione dei sigilli (Sez. 3, n. 45569 del 11/04/2018).

Detto questo, il Supremo Consesso rilevava altresì come il reato commesso alla data della pronuncia della sentenza di appello non fosse prescritto, deducendosi contestualmente che l’inammissibilità del ricorso in cassazione esclude la valutazione della prescrizione maturata dopo la sentenza impugnata visto che l’«inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso» (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000).

Precisato ciò, era infine stimato manifestamente infondato anche il motivo sulla recidiva dal momento che l’applicazione della recidiva era stata implicitamente valutata nella negazione delle circostanze attenuanti generiche in relazione ai precedenti penali e alla negativa personalità del ricorrente che aveva reiteratamente violato la legge, e tale motivazione era ritenuta corretta stante il fatto che la Cassazione ha avuto modo di affermare che l’”applicazione della recidiva facoltativa contestata richiede uno specifico onere motivazionale da parte del giudice, che, tuttavia, può essere adempiuto anche implicitamente” (Sez. 6, Sentenza n. 14937 del 14/03/2018).

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito in cosa il reato di violazione dei sigilli si distingue da quello di sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa.

Difatti, in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, si afferma, una volta fatto presente che la differenza tra i due questi delitti sta proprio nella apposizione o no dei sigilli, che possono essere disposti sulla cosa oggetto di sequestro, che, se la violazione dei sigilli (punita ex art. 349 cod. pen.) mira ad impedire la violazione del vincolo di immodificabilità della res, la sottrazione dei beni sottoposti a sequestro (punita ex art. 334 cod. pen.) mira invece ad impedire la dispersione o la sottrazione dei beni.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione allo scopo di verificare quali di questi due illeciti penali sia effettivamente configurabile.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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