L’opposizione alla convalida di sfratto instaura un autonomo giudizio a cognizione piena

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Nel caso di cessione del contratto di locazione d’immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione è onere del conduttore cedente provare l’esistenza della dichiarazione con cui il locatore lo abbia liberato dalla responsabilità sussidiaria per l’ipotesi in cui il cessionario non adempia le obbligazioni assunte

Nel procedimento per convalida di sfratto, l’opposizione dell’intimato determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento a cognizione piena, pertanto, è consentito al locatore domandare con la memoria la condanna al pagamento dei canoni pregressi il cui mancato pagamento non è stato dedotto nell’intimazione di sfratto per morosità.

È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione III Civile, con ordinanza del 23 marzo 2017, n. 7430, mediante la quale ha accolto il ricorso e cassato quanto già deciso dalla Corte d’appello di Torino.

 

La vicenda

La pronuncia traeva origine dal FATTO che CAIO intimò innanzi al Tribunale di Torino – sezione distaccata di Susa lo sfratto per morosità, in relazione a locazione ad uso diverso da quello abitativo, per il mancato pagamento dei canoni a partire dal gennaio 2011 per Euro 12.600,00 oltre IVA, nei confronti sia di MEVIA, originaria conduttrice, sia di TIZIO, cui era stato ceduto il contratto di locazione con la cessione dell’azienda.

Quest’ultimo oppose l’esistenza di accordo verbale stipulato nel novembre 2010 di riduzione del canone mensile a Euro 1.000,00 per diminuzione dei locali locati a decorrere dal gennaio 2011 e propose domanda riconvenzionale di risarcimento del danno.

Emessa ordinanza di rilascio dell’immobile, e proposta dall’intimante a seguito del mutamento del rito in sede di memoria integrativa domanda di condanna al pagamento della somma di Euro 36.000,00 per canoni pregressi, il Tribunale adito accolse la domanda del locatore, condannando TIZIO al pagamento della somma di Euro 36.000,00 oltre IVA a titolo di canoni di locazione per il periodo gennaio 2008 – febbraio 2012, e rigettò la domanda riconvenzionale.

Avverso detta sentenza proposero appello sia il CAIO che TIZIO.

La Corte d’appello di Torino, previa riunione delle cause, rigettò l’appello proposto da CAIO ed a parziale riforma della sentenza impugnata condannò TIZIO al pagamento della somma di Euro 14.000,00 e CAIO alla restituzione in favore di TIZIO della somma versata a titolo di deposito cauzionale, pari ad Euro 2.160,00.

In riferimento all’appello proposto da TIZIO, la Corte d’appello osservò che la domanda di condanna al pagamento proposta in sede di memoria integrativa dopo il mutamento del rito, in quanto non relativa ai canoni a scadere ma ad inadempimenti antecedenti al gennaio 2011 (non dedotti tempestivamente ed anzi implicitamente ammessi come non avvenuti), era inammissibile perché nuova e che in ogni caso parte convenuta aveva provato il pagamento mediante estratti di conti bancari e relativi bonifici nonché fatture quietanzate.

Aggiunse il giudice di appello che l’accordo verbale opposto dal conduttore, avente ad oggetto la riduzione del canone in corrispettivo della diminuita superficie in godimento, era stato provato mediante testimonianze, ammissibili non essendo prevista per la locazione ad uso non abitativo la forma scritta e sussistendo un principio di prova scritta rappresentato sia dalla copia di alcuni assegni intestati a CAIO.

Avverso la citata sentenza, CAIO ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.

 

I motivi di ricorso

Per quanto è qui di interesse, con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 36 legge n. 392 del 1978 e 2697 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civile.

Osserva il ricorrente che la norma di cui all’art. 36 va interpretata nel senso della corresponsabilità di cedente e cessionario, salvo ricorra la dichiarazione di liberazione del cedente da parte del locatore, e che la circostanza della manifestazione di volontà di esonero del conduttore cedente rientra nell’onere della prova di quest’ultimo.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 667 – 426 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva il ricorrente che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto domanda nuova, e non semplice emendatio, l’istanza, in sede di memoria integrativa all’esito del mutamento del rito, avente ad oggetto i canoni antecedenti al gennaio 2011.

 

La decisione

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, mediante la citata sentenza n. 7430/2017 ha ritenuto fondati i motivi ed ha accolto il ricorso.

Precisa la Suprema Corte che in caso di cessione del contratto di locazione ai sensi dell’art. 36 della legge n. 392 del 1978, qualora il locatore non abbia liberato il cedente, tra quest’ultimo e il cessionario, divenuto successivo conduttore dell’immobile, viene ad instaurarsi un vincolo di responsabilità sussidiaria, caratterizzato dal beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di agire nei confronti del cedente per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti al suddetto contratto, solo dopo che si sia venuto a configurare l’inadempimento del nuovo conduttore, nei cui confronti è necessaria la preventiva richiesta di adempimento mediante la semplice modalità della messa in mora (Corte di Cassazione, 4 giugno 2009, n. 12896; Corte di Cassazione, sentenza 20 aprile 2007, n. 9486).

La questione posta dal motivo di censura è su chi, fra ceduto e cedente, incomba l’onere della prova della dichiarazione del locatore ceduto di liberazione del conduttore cedente. Per la risoluzione della questione deve muoversi dalla peculiarità della cessione prevista dal citato art. 36 rispetto alle altre ipotesi di cessione.

Nella comune cessione del contratto, prevista dal codice civile, ciascuna parte non può cedere il contratto a terzi se l’altra parte non vi consenta (art. 1406 cod. civ.). Tale disposizione ritorna nell’art. 1594 cod. civ., a mente del quale il conduttore «non può cedere il contratto senza il consenso del locatore».

L’art. 2 legge n. 392 del 1978, per le locazioni di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, riprende il disposto dell’art. 1594. Si differenzia invece l’art. 36 per le locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, che dispone che «il conduttore può sublocare l’immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l’azienda, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Il locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Nel caso di cessione, il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte».

La cedibilità del contratto «anche senza il consenso del locatore» è condizionata alla contestuale cessione o locazione (rectius affitto) dell’azienda, sulla base di una disciplina che fa sistema con l’art. 2558 cod. civile.

La cessione di cui all’art. 36 non ha invece effetti liberatori per il cedente, come si evince dal tenore letterale della disposizione, per la quale il locatore può agire contro il cedente, in presenza dell’inadempimento del cessionario, a meno che non lo abbia liberato («se non ha liberato il cedente»).

L’esclusione della rilevanza del consenso del locatore quale elemento costitutivo della fattispecie di cessione si spiega per l’esigenza di salvaguardia della circolazione dell’azienda e di conservazione del valore economico del complesso aziendale. L’emarginazione del locatore dalla vicenda è tuttavia bilanciata dall’automaticità dell’effetto non liberatorio della cessione, che può venir meno in conseguenza della dichiarazione del ceduto di liberare il cedente.

Il giudice di merito dovrà in conclusione attenersi al seguente principio di diritto: «nel caso di cessione del contratto di locazione d’immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione è onere del conduttore cedente provare l’esistenza della dichiarazione con cui il locatore lo abbia liberato dalla responsabilità sussidiaria per l’ipotesi in cui il cessionario non adempia le obbligazioni assunte».

Per quanto concerne il secondo motivo, anch’esso fondato, la Cassazione precisa che l’evoluzione della giurisprudenza della stessa Corte è stata nel senso che nel procedimento per convalida di sfratto, l’opposizione dell’intimato ai sensi dell’articolo 665 cod. proc. civ. determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento a cognizione piena, alla cui base vi è l’ordinaria domanda di accertamento e di condanna, e nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di proporre una domanda nuova (Corte di Cassazione, sentenza 3 maggio 2004, n. 8336; Corte di Cassazione, 29 settembre 2006, n. 21242; Corte di Cassazione, sentenza 28 giugno 2010, n. 1539).

Si è affermato in questo quadro che nel procedimento per convalida di sfratto l’opposizione dell’intimato dà luogo alla trasformazione in un processo di cognizione, destinato a svolgersi nelle forme di cui all’art. 447-bis cod. proc. civ., con la conseguenza che, non essendo previsti specifici contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il thema decidendum risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all’art. 426 cod. proc. civ., potendo, pertanto, l’originario intimante, in occasione di tale incombente, non solo emendare le sue domande, ma anche modificarle (Corte di Cassazione, 20 maggio 2013, n. 12247; Corte di Cassazione, sentenza 16 dicembre 2014, n. 26356).

Conseguenzialmente al convenuto è consentito proporre la domanda riconvenzionale entro il termine per il deposito della memoria integrativa (Corte di Cassazione, 30 giugno 2005, n. 13963).

Conclude la Suprema Corte che, pertanto, il giudice di merito ha errato nel ritenere che nella memoria di cui all’art. 426 cod. proc. civ. non fosse consentito al locatore chiedere la condanna per le mensilità di canone antecedenti rispetto a quelle per le quali era stato intimato lo sfratto per morosità.

Dovrà egli attenersi al seguente principio di diritto: «posto che nel procedimento per convalida di sfratto, l’opposizione dell’intimato ai sensi dell’articolo 665 cod. proc. civ. determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento a cognizione piena, alla cui base vi è l’ordinaria domanda di accertamento e di condanna, è consentito al locatore domandare con la memoria di cui all’art. 426 cod. proc. civ. la condanna al pagamento dei canoni pregressi il cui mancato pagamento non è stato dedotto nell’intimazione di sfratto per morosità».

Sentenza collegata

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Avv. Mancusi Amilcare

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