La rapina pluriaggravata e il concorso di persone nel reato

Luca Leidi 01/12/16
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Il caso oggetto della sentenza n.48258 pronunciata dalla Corte di Cassazione il 23/9/2016, depositata il 15/11/2016, trae origine dalla morte di un anziano signore (ottantanovenne), avvenuto per arresto cardiaco, a seguito delle lesioni subite da parte di altri due soggetti che, non autorizzati, si introducevano a casa della vittima, travisati e con una pistola finta.

Tuttavia, lo studio del caso in questione non ha come protagonisti i soggetti agenti, bensì altri due personaggi che non hanno preso parte – materialmente – alla introduzione nella casa della vittima.

Difatti, sia in primo grado che in Appello, questi due soggetti sono stati dichiarati colpevoli di delitti di rapina pluriaggravata ed omicidio preterintenzionale in concorso, secondo il disposto dell’art.116 c.p., per aver concordato con gli agenti le modalità esecutive del reato, in quanto, come da quanto dichiarato dalle deposizioni testimoniali, conoscevano la vittima e la sua casa, avevano procurato l’arma finta, e, infine, si erano recati insieme agli agenti a Perugia per vendere ad un commerciante il ricavato della rapina.

Così, per il tramite del legale, i due soggetti “non agenti” presentavano ricorso per Cassazione al fine di contestare la violazione dell’articolo 116 c.p. (reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti), la mancata applicazione dell’attenuante di cui all’articolo 114 c.p. (minima importanza del concorso), nonché della norma dell’art. 586 c.p. (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto).

PREMESSA: RAPINA O FURTO?

Innanzitutto, un breve cenno deve essere posto sulla distinzione tra furto e rapina in quanto, si vedrà infra, il legale dei due soggetti non agenti rileva come ai ricorrenti non sia dato sapere, sulla base delle dichiarazioni del teste, se fosse stata deliberata la commissione di un reato di furto (sottrazione e impossessamento di cose mobile altrui) ovvero di una rapina (reato complesso, che unifica il reato di furto e il reato rispondente al tipo di violenza usata di volta in volta).

Come delineato correttamente da autorevole dottrina (Mantovani F., Diritto Penale. Parte speciale: delitti contro il patrimonio, Padova, 2012, 110), la rapina si differenzia dal furto aggravato ex art.625 c.p. (con violenza sulle cose), poiché la violazione è diretta, nel furto, sulla cosa, e, nella rapina, alla persona.

Nel caso de quo, si è in presenza di una violenza diretta sulla persona con lo scopo di entrare in possesso della res e, perciò, si è in presenza della fattispecie disciplinata dall’art.628 c.p., vale a dire del reato di rapina propria: “chiunque per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene”.

ATTRIBUIBILITA’ DEL CONCORSO IN REATO

Codesto inquadramento, ci porta direttamente al primo motivo di doglianza espresso dal legale dei ricorrenti. Quest’ultimo asserisce come non sia dato sapere ai suoi clienti quale reato dovesse essere commesso dagli agenti (se furto o rapina), con la conseguenza che la prevedibilità dell’evento morte appare essere del tutto opinabile e comunque tanto aleatoria da non poter consentire l’applicazione dell’art. 116 c.p. Il legale osserva che la condotta dei suoi clienti si è ridotta all’aver indicato la potenziale vittima ed il giorno dell’azione (coincidente con quello del ritiro della pensione), con la conseguente impossibilità di dover rispondere dell’iniziativa criminosa altrui non voluta se non a titolo di inammissibile responsabilità oggettiva.

Ragion per cui, il legale ricorrente domanda l’esclusione dei suoi clienti del titolo di concorso in reato.

Preliminarmente, si deve denotare come il nostro ordinamento richieda per il concorso di persone il modello della “accessorietà minima”: è sufficiente, cioè, che la condotta atipica dei concorrenti (in sé non antigiuridica e punibile) acceda ad un fatto tipico di reato, commesso da altri.

A tale scopo, l’indagine deve essere rivolta all’accertamento del contributo causale della condotta atipica alla realizzazione del fatto, da accertarsi in concreto – secondo lo schema della condicio sine qua non – sul fatto tipico, realizzato da altri. Solamente qualora la condotta atipica abbia esercitato una influenza causale sul fatto concreto tipico realizzato da altri, nelle forme del concorso materiale (se riguarda l’esecuzione)  o di quello morale (se riguarda l’ideazione), anche coloro che abbiano posto in essere tali condotte atipiche risponderanno del reato commesso da altri (Marinucci G. Dolcini E., Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2006, 357 ss.).

In giurisprudenza si è affermato che ricorre l’ipotesi di concorso di persone nel reato “ogni volta che il contributo di ciascun partecipe sia tale da costituire il supporto necessario alla realizzazione criminosa, conosciuto ed apprezzato dall’autore del reato, sicché ciascuno dei compartecipi sia consapevole della situazione di fatto in cui opera e voglia contribuire … alla realizzazione dell’evento antigiuridico“ (Cass. 9818/1991). Apporto al reo che si realizza in un “comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato” (Cass. 4383/2010).

Successivamente, una volta appurata la realizzazione di un fatto tipico di reato commesso da altri e l’esistenza del contributo causale della condotta atipica alla realizzazione del fatto, l’indagine andrà rivolta all’elemento soggettivo di punibilità: ai fini del rimprovero per concorso, sarà necessario accertare che in capo ai concorrenti sia ravvisabile il c.d. “dolo di partecipazione”, che consta nella consapevolezza e volontà di contribuire causalmente alla realizzazione del fatto reato.

Gli Ermellini rilevano che proprio il fatto di aver notiziato i soggetti agenti  dell’identità della vittima, del giorno del ritiro della pensione, nonché, della conoscenza della dimora di costui, rileva già di per sé ai sensi del concorso di persone nel reato. Il fatto di aver significato tali informazioni ai due soggetti agenti, già mette in conto la plausibilità dell’azione di reato di rapina, poiché bardati e con una pistola giocattolo si introducevano in casa della vittima per impossessarsi delle cose mobili di valore, poi scaturita nell’evento morte del soggetto cardiopatico (malattia già nota ai non agenti), sicché “l’evento morte “potevasi/dovevasi rappresentare come assolutamente prevedibile””.

SULL’APPLICAZIONE DELL’ART.116 C.P.

Il concorso di persone è disciplinato dagli artt. 110 a 119 c.p.

Quando più persone concorrono nel medesimo reato , ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salvo le disposizioni degli articoli seguenti” (art.110).

Se, però, “il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione (co.1). Se il reato commesso è più grave di quello voluto , la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave (co.2)” (art.116).

La disciplina posta da quest’ultimo articolo deroga così alla regola del dolo di partecipazione, prevedendo una responsabilità diminuita dei partecipi per un reato diverso (e più grave) rispetto a quello voluto.

Nel caso de quo, però, la Cassazione non perde tempo nel rilevare che su tale ultimo punto vi è un errore nel giudicato da parte dei Giudici di merito (“La responsabilità è stata dunque benevolmente ascritta agli imputati solo a titolo di concorso anomalo”).

In effetti, per le circostanze di cui in narrativa e asserite dai testimoni, l’evento diverso dalla rapina (il decesso dell’anziano), ben poteva essere previsto. Secondo opinione comune in giurisprudenza, la fattispecie del concorso anomalo (art.116 c.p.) è configurabile solo quando l’evento diverso non sia stato voluto neppure sotto il profilo del dolo indiretto (indeterminato, alternativo od eventuale) e, dunque, a condizione che non sia stato considerato come possibile conseguenza ulteriore o diversa della condotta criminosa concordata (Cass. 31889/2016).

In altre parole, il compartecipe è responsabile di concorso anomalo se l’evento più grave poteva essere prevedibile in concreto ma non lo si voleva, neppure a titolo di dolo indiretto o eventuale. Nel caso, invece, che l’agente abbia previsto l’evento  o comunque accettato il rischio dei suo verificarsi,  si rientrerebbe nella fattispecie del concorso ex art.110 c.p. (Cass. 11595/2016).

Il concorso di persone nel reato è disciplinato dalla fattispecie dell’art.110 c.p., e non rientra nell’ipoetsi del concorso anomalo ex art.116, ogni qualvolta l’agente partecipi in qualsiasi modo alla realizzazione dell’illecito e, quindi, anche quando con la propria condotta agevola o rafforza il proposito criminoso altrui (Cass. 10305/2013; Cass. 18745/2013 parla di fornire un “apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione, organizzazione od esecuzione”). Giova ripetere che basta anche un “concorso morale” al fine del concorso punibile (Cass. 11396/15).

Come risulta dalle testimonianze, i due compartecipi hanno riferito ai soggetti agenti indicazioni dettagliate sulla persona, sulla sua casa e sul giorno in cui la vittima avrebbe ritirato la pensione.

Ciò deve ritenersi sufficiente affinché possa realizzarsi un concorso di persone ai sensi dell’art.110 c.p., più grave rispetto a quello disciplinato dell’art.116 c.p.

In effetti, è dato rinvenire nella condotta dei soggetti non agenti l’elemento soggettivo del dolo. Se è pur plausibile che l’evento morte non sia stato coscientemente voluto, non si può negare che l’ipotesi di far entrare dei soggetti in casa di un signore anziano, affetto da malattia al cuore, con il fine di impossessarsi di cose mobili (soldi e oggetti di valore), il fatto dell’evento morte non è così improbabile come conseguenza della rapina, di talché si può ascrivere in capo ai non agenti una responsabilità quantomeno a titolo di dolo eventuale, poiché, pur di non rinunciare all’azione e ai vantaggi che se ne ripromette, accettano che il fatto possa verificarsi (il soggetto decide di agire “costi quel che costi”, mettendo cioè in conto la realizzazione del fatto: in Marinucci G. e Dolcini E., Manuale di diritto penale, cit., 254).

Differente, ad esempio, sarebbe stato il caso che i due non agenti sarebbero riusciti a provare la loro convinzione che l’anziano non si sarebbe trovato in casa. In tal caso l’art.116 c.p. sarebbe stato correttamente applicabile, poiché il fatto non sarebbe stato prevedibile dai due non autori materiali del reato.

Nella pronuncia oggetto di studio, la Cassazione esprime così la diversità di disciplina: ”Ai sensi dell’art. 116 c.p., sussiste il concorso anomalo nel reato solo nei casi in cui l’evento ulteriore, benché prevedibile in quanto collegato al delitto base programmato da un nesso di pura eventualità, non sia stato dall’agente voluto neppure nella forma del dolo indiretto, mentre ricorre l’ipotesi di concorso ex art. 110 c.p. se l’agente ha effettivamente previsto l’evento o comunque accettato il rischio del suo verificarsi.” (Massima riportata in Diritto & Giustizia, 16/11/2016, Concorso anomalo nel reato: prevedibilità ma assenza di dolo)

SULL’ATTENUANTE EX ART.114 C.P.

Rilevato dalla Corte questo errore in iudicando (comunque incensurabile in sede di legittimità e perciò confermato), la stessa respinge anche la paventata ipotesi dell’applicazione dell’attenuante ex art.114 c.p. (operato di minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato – co.1).

Recita infatti il secondo comma dell’articolo citato che “tale disposizione non si applica nei casi indicati nell’art.112” (ovvero, in presenza di circostanze aggravanti).

L’aggravante in oggetto è quella descritta al n.1, in presenza di una pluralità di persone concorrenti. Se da un lato la norma espressamente prevede l’aumento di pena “se il numero delle persone, che sono concorse nel reato, è di cinque o più, salvo che la legge disponga altrimenti”, d’altro canto quest’ultima riserva di legge ha spinto la giurisprudenza ad interpretare tale norma nel senso di ammettere tale circostanza aggravante anche nel caso in cui “il numero delle persone concorrenti nel reato sia posto a base dell’aggravamento della pena in forza di disposizioni specificatamente riguardanti il reato stesso“ (Cass. 18540/2016).

Di conseguenza, prevede l’art.628, co.3, che la rapina è aggravata “1) se la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite”.

Preso atto che la rapina è stata posta in essere mediante minaccia da più soggetti, travisati e con un arma (se pur finta), il reato soggiace sicuramente alla ipotesi aggravata del 3° comma n.1, e, perciò, non potrà essere applicata la circostanza attenuante dell’art.114 c.p. Oltretutto, si rinviene nel caso concreto anche l’aggravante dell’art.624 bis c.p. (richiamata espressamente dall’art.628, co.3, n.3 bis, c.p.), per essere il fatto compiuto nella privata dimora della vittima.

SULLA MANCATA APPLICAZIONE DELL’ART.586 C.P.

Il legale dei ricorrenti lamenta, ancora, la mancata applicazione dell’art.586 c.p. (morte come conseguenza di un altro delitto) e l’erronea applicazione dell’omicidio preterintenzionale.

Sul punto, la Corte ha rilevato che corretto è stato l’inquadramento giuridico del fatto nella fattispecie dell’omicidio preterintenzionale (evento morte in conseguenza di percosse e/o lesioni personali). Si afferma che “l’invocata ipotesi del delitto previsto dall’art. 586 cod. pen., (morte come conseguenza di un altro delitto) si differenzia dall’omicidio preterintenzionale perché nel primo l’attività del colpevole è diretta a realizzare un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni personali, mentre nel secondo l’attività è diretta – come nella specie – a realizzare un evento che, ove non si verificasse la morte, integrerebbe un reato contro l’incolumità individuale” (cfr. Cass., n. 21002/2015).

Nella preterintenzionalità, quindi, è necessario che la lesione si riferisca allo stesso genere di interessi giuridici (incolumità della persona); diversamente, nell’ipotesi di cui all’art.586 c.p. la morte o la lesione deve essere conseguenza di delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni (Cass.38946/2015).

Ed in effetti, nel caso oggetto di studio, usare la violenza ai fini della commissione di impossessarsi della refurtiva è azione diretta ad integrare il dolo di lesioni e percosse, sicché, se da tale condotta deriva l’evento morte, l’agente risponde di omicidio preterintenzionale, “anche quando gli atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dagli artt. 581 e 582 c.p., siano stati posti in essere con dolo eventuale e non diretto” (Cass.44751/2008).

Sentenza collegata

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