Partecipa ad una associazione mafiosa anche chi trasmette messaggi e direttive tra il soggetto latitante e gli appartenenti alla consorteria in libertà

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(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 416-bis)

     Indice

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

1. Il fatto

Il Tribunale di Catania confermava una ordinanza con cui il GIP aveva applicato ad un indagato la misura cautelare della custodia in carcere avendo ravvisato a suo carico gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di partecipazione alla associazione di stampo mafioso.

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato che deduceva i seguenti motivi: 1) erronea applicazione della legge penale in ordine all’art. 275 cod. proc. pen. e assenza di motivazione, segnalandosi al riguardo l’errore e la illogicità della motivazione con cui il Tribunale aveva ravvisato l’esistenza di esigenze cautelari sulla scorta dei precedenti del ricorrente e del contenuto delle intercettazioni lasciate, ad avviso del ricorrente, alla libera interpretazione degli inquirenti; 2) erronea applicazione della legge penale in ordine agli artt. 273 e 274 cod. proc. pen., ritenendo come il Tribunale fosse in corso in errore nel ritenere sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in presenza di elementi suscettibili di una lettura “neutra” ed invece intesi in senso favorevole alla tesi della pubblica accusa; 3) violazione di legge con riferimento all’art. 192 cod. proc. pen. in relazione alle dichiarazioni dei pentiti di cui, per la difesa, non era stata vagliata la attendibilità; 4) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione del ricorrente ad una associazione di tipo mafioso.

3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso proposto era ritenuto inammissibile in quanto, ad avviso del Supremo Consesso, articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in sede di legittimità.

In particolare, gli Ermellini affermavano, per addivenire alla reiezione del ricorso proposto, il principio secondo cui, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie alla luce del peculiare contenuto della pronuncia cautelare, in quanto fondata non già su prove, ma su indizi e che, per altro verso, mira all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza (cfr., Sez. U, Sentenza n. 11 del 22/03/2000), fermo restando che il ricorso per Cassazione, con il quale si deduca la (in)sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è ammissibile soltanto se con esso venga denunciata la violazione di specifiche norme di legge, ovvero si deduca la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, e non si ci limiti a propone e sviluppare censure che attengono alla ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, Sentenza n. 31553 del 17/05/2017; Sez. 5, Sentenza n. 46124 del 08/10/2008; Sez. 6, Sentenza n. 11194 del 08/03/2012; Sez. 4, Sentenza n. 18795 del 02/03/2017).

Oltre a ciò, veniva fatto altresì presente come i rilievi operati dalla difesa sul tenore ed il “senso” delle conversazioni oggetto di captazione telefonica o ambientale non potessero trovare ingresso innanzi alla Cassazione, essendo assolutamente pacifico e consolidato l’orientamento nomofilattico nel senso che costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (cfr., Cass. pen., 2, 4.10.2016 n. 50.701; Cass. pen., 3, 17.5.2016 n. 35.593; Cass. pen., 2, 22.5.2013 n. 35.181 e, comunque, Cass. SS.UU., 26.2.2015 n. 22.471).


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Orbene, alla luce di siffatto quadro ermeneutico, i giudici di legittimità ordinaria rilevavano come gli elementi congruamente e puntualmente evidenziati dal Tribunale, per la Suprema Corte, avessero consentito, con valutazione che non si prestava, sempre per la Corte di legittimità, a rilievi di legittimità, di disegnare la posizione del ricorrente, se non altro in sede cautelare dove, com’è noto, non rilevano la prova piena della responsabilità ma i gravi indizi di colpevolezza, quale portavoce e intermediario di un malavitoso nella conduzione degli affari illeciti riferibili alla cosca e, dunque, di fondare su questo ruolo la diagnosi di partecipazione al sodalizio posto che integra il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso la condotta di chi offre il proprio contributo materiale, con carattere continuativo e fiduciario, ai fini della trasmissione di messaggi e direttive tra il soggetto in posizione apicale latitante e gli appartenenti alla consorteria in libertà, così da consentire al primo di continuare a dirigere l’associazione mafiosa, in quanto tale attività si risolve in un contributo causale alla realizzazione del ruolo direttivo del sodalizio nonché alla conservazione ed al rafforzamento di quest’ultimo (cfr., in tal senso, Sez. 6 – , Sentenza n. 3595 del 04/11/2020; conf., Sez. 2, Sentenza n. 41736 del 09/04/2018; Sez. 6, Sentenza n. 15664 del 17/03/2015; Sez. 1, Sentenza n. 13008 del 28/09/1998; cfr., ancora, Sez. 5, Sentenza n. 26306 del 16/03/2018, secondo cui ai fini della configurabilità della condotta di partecipazione ad associazione mafiosa non è sufficiente la collaborazione episodica alla trasmissione di messaggi scritti tra il capo cosca e soggetti affiliati alla stessa, richiedendosi, invece, un’attività di carattere continuativo e fiduciario di “veicolatore abituale di notizie“, idonea a fornire un contributo causale e volontario alla realizzazione dei fini del sodalizio criminale, nonchè alla sua conservazione e rafforzamento; conf., Sez. 5, Sentenza n. 35277 del 16/06/2017).

Ciò posto, era stimata altrettanto congrua la motivazione con cui il Tribunale aveva argomentato in punto di esigenze cautelari ritenendo non superata la doppia presunzione di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen. poiché non era stato fornito alcun elemento idoneo a supporre la intervenuta rescissione del vincolo con il sodalizio, stimato particolarmente stringente nel caso di mafie “storiche” come quella in esame, dal momento che, se si può discutere, ed in effetti non vi è unanimità nella giurisprudenza, sul rilievo da attribuire, a tal fine, al carattere “storico” del sodalizio criminale, essendo stato affermato che, in tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato previsto dall’art. 416 bis cod. pen., ai fini del superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen., occorre distinguere tra associazioni mafiose storiche o comunque caratterizzate da particolare stabilità, in relazione alle quali  è necessaria la dimostrazione del recesso dell’indagato dalla consorteria, ed associazioni mafiose non riconducibili alle categorie delle mafie “storiche“, per le quali possono rilevare anche la distanza temporale tra la applicazione della misura ed i fatti contestati, nonché elementi che dimostrino la instabilità o temporaneità del vincolo (cfr., così, Sez. 2, Sentenza n. 26904 del 21/04/2017; Sez. 5 – , Sentenza n. 36389 del 15/07/201), per contro si è però sostenuto che la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. opera allo stesso modo anche con riferimento alle associazioni mafiose cd. “nuove” e può essere, quindi, superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un tempo considerevole tra l’emissione della misura e i fatti contestati) può essere valutato solo in via residuale, facendo stretto riferimento alla natura non stabile dell’associazione e alla sua scarsa forza attrattiva e intimidatrice (cfr., Sez. 2 – , Sentenza n. 7260 del 27/11/2019; Sez. 6, Sentenza n. 15753 del 28/03/2018).

Ebbene, in relazione a tali orientamenti ermeneutici, i giudici di legittimità ordinaria notavano come il Tribunale avesse sottolineato come, in ogni caso, non fosse stato fornito dalla difesa alcun elemento per ritenere il definitivo allontanamento dell’indagato dal sodalizio e fosse invece emersa la continuativa attività di partecipazione alla attività del gruppo sotto le direttive di un malavitoso ed in stretta sinergia e collaborazione con questi.

4. Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante in quanto è ivi affermato che partecipa ad una associazione di tipo mafioso anche chi trasmette messaggi e direttive tra il soggetto in posizione apicale latitante e gli appartenenti alla consorteria in libertà.

Difatti, in tale pronuncia, si postula, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che integra il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso la condotta di chi offre il proprio contributo materiale, con carattere continuativo e fiduciario, ai fini della trasmissione di messaggi e direttive tra il soggetto in posizione apicale latitante e gli appartenenti alla consorteria in libertà, così da consentire al primo di continuare a dirigere l’associazione mafiosa, in quanto tale attività si risolve in un contributo causale alla realizzazione del ruolo direttivo del sodalizio nonché alla conservazione ed al rafforzamento di quest’ultimo, fermo restando però che non è sufficiente la collaborazione episodica alla trasmissione di messaggi scritti tra il capo cosca e soggetti affiliati alla stessa, richiedendosi, invece, un’attività di carattere continuativo e fiduciario di “veicolatore abituale di notizie“, idonea a fornire un contributo causale e volontario alla realizzazione dei fini del sodalizio criminale, nonchè alla sua conservazione e rafforzamento.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare se il veicolare messaggi e direttive tra il soggetto in posizione apicale latitante e gli appartenenti alla consorteria in libertà integri (o meno) una condotta partecipativa penalmente rilevante ai sensi dell’art. 416-bis, co. 1, cod. pen..

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale specifica tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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