Come deve essere intesa la prova costante ed effettiva di buona condotta di cui all’art. 70, co. 1, d.lgs. n. 159/2011

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(Riferimento normativo: D.lgs., 6/09/2011, n. 159, art. 70)

Indice

  1. Il fatto 
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione 
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione 
  4. Conclusioni

1. Il fatto

La Corte di Appello di Napoli respingeva una domanda di riabilitazione posteriore ad applicazione di misura di prevenzione ritenendo, a suo avviso, come non potesse ritenersi integrato il presupposto di legge per la riabilitazione, consistente nell’aver dato prova effettiva e costante di buona condotta.

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento emesso dalla Corte territoriale partenopea proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’istante, deducendo mancanza e manifesta illogicità della motivazione, nonchè erronea applicazione della disciplina regolatrice di cui all’art. 70 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 in quanto, a suo avviso, non vi era prova alcuna che l’istante avesse avuto ricadute delittuose o comportamenti di sospetto successivi alla sottoposizione alla misura di prevenzione cessata posto che la condotta tenuta nel periodo rilevante ai fini della riabilitazione era, sempre ad avviso di tale legale, immune da pregiudizi ed orientata a stili di vita rispettosi della civile convivenza, il che doveva portare, per il ricorrente, alla emissione di un provvedimento favorevole.


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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso proposto era ritenuto manifestatamente infondato per le seguenti ragioni.

Si evidenziava a tal proposito come, avendo la Corte territoriale valorizzato il tenore di vita del tutto incompatibile con le entrate familiari e la segnalazione negativa, anche richiamando la anteatta condotta delittuosa, ciò, per la Corte di legittimità, rendeva non sindacabile il percorso argomentativo che, a sua avviso, tra l’altro, realizzava una corretta interpretazione dei presupposti di legge avendo la Suprema Corte, sul tema, più volte affermato che, in tema di misure di prevenzione, la prova costante ed effettiva di buona condotta, necessaria per la concessione della riabilitazione, implica una valutazione della personalità sulla base non già della mera astensione dal compimento di fatti criminosi, ma di fatti e comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale, quale espressione del recupero dell’interessato ad un corretto modello di vita (da ultimo, Sez. 1, n. 8030 del 23.1.2019; Sez. 1, n. 19767, del 15/12/2020; Sez. 2, n. 29222, del 9/9/2020).

Tal che se ne faceva conseguire come la rilevanza attribuita al tenore di vita incompatibile con le entrate patrimoniali e non altrimenti giustificato e la frequentazione con pregiudicato (come si era potuto accertare nel caso di specie), in simile quadro, per il Supremo Consesso, non fosse affatto irragionevole, trattandosi di indicatore obiettivamente contrastante con la necessità di fornire concreta dimostrazione del recupero di un corretto modello di comportamento.

Il ricorso, pertanto, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, era dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

4. Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito come deve essere intesa la prova costante ed effettiva di buona condotta di cui all’art. 70, co. 1, d.lgs. n. 159/2011.

Difatti, fermo restando che la norma giuridica appena citata dispone che la “riabilitazione è concessa, se il soggetto ha dato prova costante ed effettiva di buona condotta, dalla corte di appello nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria che dispone l’applicazione della misura di prevenzione o dell’ultima misura di prevenzione”, in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso e costante orientamento nomofilattico, si afferma che, in tema di misure di prevenzione, la prova costante ed effettiva di buona condotta, necessaria per la concessione della riabilitazione, implica una valutazione della personalità sulla base non già della mera astensione dal compimento di fatti criminosi, ma di fatti e comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale, quale espressione del recupero dell’interessato ad un corretto modello di vita.

E’ quindi sconsigliabile, perlomeno alla luce di tale approdo ermeneutico, chiedere siffatta riabilitazione, sol perché l’istante non abbia posto in essere condotte devianti, essendo invece richiesto per tale scopo un quid pluris, vale a dire, come appena visto, che ricorrano fatti e comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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