Immissioni rumorose: l’”ipervigilanza” di chi le subisce esclude il risarcimento

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Argomento sempre di stretta attualità quello delle immissioni in condominio, sovente foriero di litigi che spesso finiscono nelle aule di giustizia.

Come è noto, una volta accertato che le immissioni superano la soglia della normale tollerabilità di cui all’art. 844 Cc, la liquidazione del danno non patrimoniale da immissioni (si pensi ad esempio, al diritto alla tranquillità, alla sicurezza, al riposo notturno, ecc.), risulta sussistente in re ipsa, vale a dire che è insito nella molestia e, pertanto, non abbisogna di prova (Tra le tante: Cass. 23283/2014; Cass. 7048/2012; Cass. 6612/2011; Cass. 5844/2007).

A tal proposito, infatti, è stato confermato che “quando venga accertata la non tollerabilità delle immissioni, l’esistenza del danno è in re ipsa e, pertanto, il vicino, fino a quando il pregiudizio derivante dalle immissioni intollerabili non venga eliminato, ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno a norma dell’art. 2043 c.c. (Sez. 2, Sentenza n. 4693 del 18/10/1978; Sez. 2, Sentenza n. 2580 del 12/03/1987; Sez. 3, Sentenza n. 5844 del 13/03/2007” (Cass. 2864/2016).

Tuttavia, quando le immissioni rumorose, nello specifico, lo scorrere dell’acqua nei sanitari del bagno dell’alloggio della custode, le emissioni sonore provenienti dal televisore che ivi si trova e il vociare di persone presenti nei locali, vengono percepite da soggetti con “caratteristiche della personalità ossessivo-compulsiva”, per “una certa difficoltà nella gestione dei conflitti, degli affetti e delle emozioni”, che, pur non sfociando in una vera e propria patologia, comunque sono degli indicatori di una personalità “piuttosto vigile ed attenta all’ambiente; le situazioni sono spesso vissute come pericolose o potenzialmente dannose e la percezione del mondo tende ad assumere facilmente una coloritura persecutoria”, tali evenienze portano ad escludere il diritto al risarcimento del danno.

Tanto ha statuito la Corte di Cassazione, II Sezione Civile, nella sentenza n. 661, del 12 gennaio 2017.

La stessa è stata chiamata a decidere la controversia instaurata dai comproprietari di un appartamento in condominio, nei confronti del condominio medesimo, in relazione alle immissioni sonore provenienti dall’attiguo alloggio della custode del palazzo, dovute all’utilizzo dei servizi igienici e del televisore, nonché alle voci, percepibili anche in orario notturno, delle persone presenti nella camera da letto.

La domanda volta alla insonorizzazione del predetto alloggio e al risarcimento del danno veniva accolta dal Tribunale di Milano ma, tuttavia, parzialmente rigettata dalla Corte d’Appello meneghina, che escludeva il diritto al risarcimento del danno e, conseguentemente, condannava i comproprietari dell’appartamento a restituire le somme liquidate in primo grado a titolo di risarcimento in favore del condominio.

Proponevano ricorso per cassazione i predetti comproprietari eccependo, tra l’altro, la violazione degli artt. 844 e 2043 Cc, ricorso tuttavia rigettato dalla Suprema Corte.

La Corte, in disparte la circostanza per cui i locali oggetto di giudizio non sono stati più utilizzati dopo la cessazione del rapporto di lavoro del custode, se non per sporadiche ed occasionali riunioni condominiali, presumibilmente svolte poche volte all’anno e in orari diurni o di prima serata, circostanza che “non può arrecare ai condomini che risiedono nell’appartamento adiacente alcun apprezzabile disturbo”, premette come dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta dalla corte di merito, sono state riscontrate a carico dei ricorrenti “”caratteristiche della personalità ossessivo-compulsiva”, per “una certa difficoltà nella gestione dei conflitti, degli affetti e delle emozioni”, che, sebbene sotto soglia, suggerisce che “la signora è piuttosto vigile ed attenta all’ambiente; le situazioni sono spesso vissute come pericolose o potenzialmente dannose e la percezione del mondo tende ad assumere facilmente una coloritura persecutoria””.

Si è al cospetto, pertanto, di “un soggetto “ipervigilante”, vale a dire di una persona che “investe molta energia per mantenere vivo un continuo stato di allerta. Tali persone sono vulnerabili e di conseguenza sono sempre sulla difensiva, pronte a controbattere a un attacco. Non hanno fiducia negli altri, non sentono il bisogno di vicinanza e per questo evitano di instaurare relazioni intime e profonde con altre persone””.

In tale contesto, pertanto, conclude la Corte di Cassazione, bene ha fatto la Corte d’Appello ad “escludere l’esistenza di un nesso causale tra le lamentate immissioni rumorose ed il malessere ansioso-depressivo, rilevando che quel malessere non è l’effetto dei fattori ambientali, quanto piuttosto da ricollegare al fatto che gli attori sono – come confermato dalla documentazione sanitaria – individui dalla personalità disturbata, con difficoltà nelle relazioni interpersonali che sono la causa di una reazione abnorme a modeste sollecitazioni disturbanti, quali lo scorrere dell’acqua nei sanitari o le emissioni acustiche provenienti dal televisore dalle persone presenti nell’appartamento adiacente”.

Ed invero, “la personalità disturbata degli attori”, costituisce “la causa prossima di rilievo del malessere ansioso-depressivo” che, conseguentemente, “esclude l’efficacia causale delle immissioni rumorose”, tanto in ossequio al combinato disposto dagli artt. 40 e 41 Cp e e 2043 Cc, per cui, in relazione ai principi in tema di causalità, l’accertamento del nesso causale tra il fatto illecito e l’evento dannoso rientra tra i compiti del giudice del merito che, nel caso di specie, è stato escluso in relazione alla personalità ipervigilante degli attori.

Sentenza collegata

612400-1.pdf 372kB

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Avv. Accoti Paolo

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