L’utilizzazione in via esclusiva di un bene comune da parte di un singolo condomino

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In punto di diritto l’utilizzazione in via esclusiva di un bene comune da parte del singolo condomino in assenza del consenso degli altri condomini, ai quali resta precluso l’uso, anche solo potenziale, della “res”, determina un danno “in re ipsa”, quantificabile in base ai frutti civili tratti dal bene dall’autore della violazione

È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione II Civile, con la sentenza del 8 maggio 2017, n. 11184, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso, nel caso de quo, dalla Corte d’appello di Milano.

 

La vicenda

La pronuncia traeva origine dal fatto che LIVIA, proprietaria di un appartamento all’ultimo piano facente parte del Condominio dell’edificio in Milano, in occasione di lavori edili occupò una parte del sottotetto del fabbricato, ponendolo in collegamento col proprio appartamento attraverso una scala interna realizzata praticando un’apertura nella soletta del detto sottotetto.

La Corte di Appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, accogliendo le domande proposte dal Condominio nei confronti di LIVIA, dichiarò la natura condominiale del sottotetto e l’illegittimità delle opere eseguite da LIVIA, condannando quest’ultima alla rimozione di tali opere, al ripristino dello stato dei luoghi e al risarcimento del danno (liquidato in euro 4.000,00).

Per la cassazione della sentenza di appello ricorre LIVIA sulla base di tre motivi.

 

I motivi di ricorso

Per quanto è qui di interesse, la ricorrente con il primo motivo di ricorso, deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte di Appello erroneamente interpretato gli atti negoziali prodotti (atto costitutivo del condominio, regolamento contrattuale condominiale, titoli di provenienza della proprietà di LIVIA), pervenendo così alla conclusione del difetto di un titolo che stabilisse la natura giuridica del sottotetto e della necessità di fare ricorso al criterio sussidiario della destinazione oggettiva del bene all’uso comune.

Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto per avere la Corte di Appello condannato MEVIA al risarcimento del danno per l’occupazione del sottotetto, in assenza della prova di qualsiasi pregiudizio economico ed erroneamente ritenendo che il danno fosse in re ipsa.

 

La decisione

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, mediante la citata sentenza n. 11184/2017 ha ritenuto i motivi non fondati ed ha rigettato il ricorso.

Va premesso, precisa la Suprema Corte, che la fattispecie per cui è causa è soggetta, ratione temporis, alla disciplina di cui all’art. 1117, primo comma, n. 1 cod. civ. nel testo anteriore a quello introdotto dalla legge 11/12/2012 n. 220, a tenore del quale costituiscono parti comuni dell’edificio, se il contrario non risulta dal titolo, il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, etc., «e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune».

Secondo la giurisprudenza della Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, in tema di condominio, la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune.

Il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo (Corte di Cassazione, Sezione VI – 2, n. 17249 del 12/08/2011).

In particolare, per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicché, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, può applicarsi la presunzione di comunione ex art. 1117, comma 1, cod. civ.; viceversa, allorché il sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, va considerato pertinenza di tale appartamento (Corte di Cassazione, Sezione II, n. 6143 del 30/03/2016; Sezione II, n. 24147 del 29/12/2004; Sezione II, n. 8968 del 20/06/2002).

Nella specie, conclude la Cassazione, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi di diritto in quanto prima i giudici di merito hanno motivatamente escluso che i titoli prodotti dalle parti attribuissero la proprietà del sottotetto a LIVIA e hanno sottolineato che, seppure dai titoli non risulta che il sottotetto dell’edificio sia di proprietà comune dei condomini, dall’atto di acquisto di LIVIA non risulta affatto che il sottotetto sia stato trasferito in proprietà alla stessa.

Una volta escluso che dai titoli possa ricavarsi la proprietà del sottotetto, esattamente i giudici di merito hanno fatto applicazione del criterio sussidiario della destinazione del bene dettato dall’art. 1117 primo comma n. 1 cod. civ. (nel testo vigente ratione temporis), ritenendo il sottotetto di proprietà condominiale per il fatto di essere destinato all’uso comune (tale uso comune i giudici di merito hanno dedotto dal fatto che il locale è costituito da un unico spazio comune compreso tra la scala A e quella B, con accesso dalla scala condominiale; e dal fatto che in esso sono collocate tubazioni condominiali, parti dell’impianto condominiale di riscaldamento centralizzato e dell’antenna centralizzata TV, nonché il vano tecnico dell’ascensore installato nella scala B).

A dire del Collegio anche il terzo motivo è infondato in quanto secondo sua precedente giurisprudenza, l’utilizzazione in via esclusiva di un bene comune da parte del singolo condomino in assenza del consenso degli altri condomini, ai quali resta precluso l’uso, anche solo potenziale, della “res”, determina un danno “in re ipsa”, quantificabile in base ai frutti civili tratti dal bene dall’autore della violazione (Corte di Cassazione, Sezione II, n. 19215 del 28/09/2016).

Sentenza collegata

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Avv. Mancusi Amilcare

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