Corte di Cassazione sez. II 27/7/2009 n. 17462; Pres. Mensitieri A.

Redazione 27/07/09
Scarica PDF Stampa
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 26.5.1989 S.T. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Sondrio S.L., S.B., S.O., Z.E., C.A. e C.G. esponendo che nel (omissis) si era aperta la successione di S.G.B. il quale aveva lasciato eredi i propri figli G.B., C., L., T., O., M., Ma., I., B., P. e la moglie M.M.M.; aggiungeva che erano premorti alla madre i figli Ma., M., P. e I., lasciando eredi legittimi la madre, i fratelli germani G.B., L., B., O. e T. nonchè i figli di Z.E., C.A. e C.G.; che nel (omissis) si era aperta la successione di M.M.M. la quale aveva lasciato eredi legittimi i propri figli G.B., L., B., O., T. e i nipoti A. e C.G., e che il (omissis) si era aperta in (omissis) la successione di G.B.j. il quale aveva lasciato eredi legittimi i fratelli L., B., O. e T. ed i nipoti G. ed C.A..

L’attrice esponeva che nelle successioni in questione erano caduti beni immobili siti in Comune di (omissis) mentre nella successione di G.B.j. erano caduti anche un’azienda agricola con le relative scorte, attrezzature e bestiame, depositi bancari e conti correnti assicurati nonchè somme di denaro rappresentanti il risarcimento del danno alla persona a seguito di due incidenti stradali; chiedeva pertanto accertarsi l’entità e la consistenza della massa ereditaria indivisa disponendo quindi l’assegnazione.

Si costituivano in giudizio S.O., Z.E., G. e C.A.M. non opponendosi alla divisione per le quote di competenza; si costituivano in giudizio altresì L. e S.B. non opponendosi alla divisione e chiedendo la determinazione delle proprie quote con l’inserimento di crediti ancora esistenti nei confronti del defunto e degli altri eredi.

Il Tribunale adito con sentenza del 24.6.1999 approvava il progetto divisionale predisposto dal C.T.U. dichiarandolo esecutivo e determinando il conguaglio dovuto da S.L. in L. 3.001.194 maggiorato, insieme agli altri conguagli previsti dal progetto, della rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dalla data di apertura della successione alla data del deposito della sentenza.

Proposto gravame da parte di S.L. resistevano in giudizio le altre parti tra le quali S.O., Z.E., C.G. ed C.A.M. che proponevano altresì appello incidentale.

Con sentenza del 23.1.2004 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha disposto l’aumento del conguaglio dovuto da S.L. e degli altri conguagli determinati dal Tribunale di Sondrio secondo gli indici ISTAT dalla data del deposito della C.T.U. di primo grado.

Per la cassazione di tale sentenza S.L. ha proposto un ricorso articolato in sette motivi cui S.O., Z.E., C.G., C.E. e C.S. (questi ultimi due quali eredi di C.A.) hanno resistito con controricorso proponendo altresì un ricorso incidentale affidato ad un unico motivo cui il ricorrente principale ha resistito con controricorso; S.B. e S.T. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre disporre la riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la stessa sentenza.

Si procede anzitutto per ragioni di priorità logico – giuridiche all’esame dell’unico motivo del ricorso incidentale con il quale, deducendo violazione degli artt. 36, 167, 189 e 345 c.p.c., S.O., Z.E., G., E. e C.S. censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto ammissibile la domanda di usucapione formulata dalla controparte soltanto dopo il deposito della C.T.U.; essi rilevano che invece tale domanda era nuova e come tale inammissibile in quanto non proposta con la comparsa di risposta del (omissis), e che d’altra parte S.L. non poteva ignorare che anche i beni di cui aveva rivendicato la sua esclusiva proprietà erano intestati al "de cuius" con la conseguenza che il C.T.U. li avrebbe inseriti tra quelli caduti in successione.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha rilevato l’ammissibilità della questione sollevata da S.L. dell’affermata proprietà esclusiva in suo favore per usucapione di due fabbricati e di una cascina solo all’esito del deposito della C.T.U., che invero aveva incluso nella comunione ereditaria e nel relativo progetto di divisione tali immobili di cui egli si riteneva unico proprietario; in proposito ha rilevato che, poichè S.L. solo da tale deposito era stato messo nelle condizioni di eccepire la sua proprietà in ordine ai beni a suo dire erroneamente inclusi nel progetto divisionale, tale eccezione non era soggetta al regime processuale della domanda riconvenzionale, non potendosi negare ai partecipanti alla comunione di far valere la mancanza o il diverso contenuto del diritto di divisione.

A tali condivisibili argomentazioni deve aggiungersi che, pur volendo qualificare la pretesa introdotta da S.L. dopo il deposito della C.T.U. come domanda riconvenzionale di usucapione, non si giungerebbe a conclusioni diverse; invero deve considerarsi che alla fattispecie si applica "ratione temporis" la vecchia formulazione dell’art. 167 c.p.c., e che non solo non è stato dedotto che in relazione alla suddetta domanda riconvenzionale gli attuali ricorrenti incidentali ne avessero eccepito la inammissibilità, ma che anzi dalla narrativa del ricorso incidentale emerge che essi avevano accettato tacitamente il contraddittorio in merito, essendo sorte contestazioni tra le parti in ordine al progetto divisionale (vedi pag. 2 del controricorso e del ricorso incidentale), con conseguente preclusione, a seguito di tale comportamento processuale incompatibile con la volontà di opporsi alla introduzione della domanda riconvenzionale, dell’eccezione relativa alla sua inammissibilità (vedi al riguardo Cass. 27.3.1990 n. 2478).

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo, deducendo violazione degli artt. 934, 952, 1003, 1102 e 1111 c.c., e difetto di motivazione, S.L. assume che il Giudice di Appello non ha prestato attenzione alla circostanza che i fratelli L. e S.G.B.j., dopo aver acquistato due terreni in comunione tra loro per quote paritarie, avevano concordato di erigere su di essi due edifici e, all’esito di tale realizzazione, di procedere ad una amichevole divisione degli immobili ratificata con le intestazioni catastali, intendendo così derogare alla disciplina legale dell’accessione.

La censura è inammissibile.

Invero, poichè la questione sollevata non risulta trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente principale, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità della censura in quanto nuova, aveva l’onere, in realtà non assolto, di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, indicando altresì in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto onde consentire a questa Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Con il secondo motivo il ricorrente principale, denunciando violazione dell’art. 1158 c.c., censura la sentenza impugnata per non aver riconosciuto l’esponente proprietario per usucapione della quota pari alla metà degli immobili a lui intestati catastalmente per l’intera proprietà avendone avuto il possesso esclusivo et "animo domini" per il periodo previsto dalla legge; premesso che l’eccezione di usucapione non doveva essere riferita a tutti i mappali e subalterni, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, ma solo a quelli intestati a suo nome nei documenti catastali per la quota di S.L. sostiene di aver goduto tali beni in modo inconciliabile con il godimento di essi da parte del fratello G.B.j. e, dopo la sua morte, da parte dei suoi eredi.

Con il terzo motivo il ricorrente principale, deducendo violazione dell’art. 232 c.p.c., sostiene che gli elementi utili a provare l’acquisto in suo favore dei suddetti immobili per usucapione erano emersi dalle stesse affermazioni rese dalle controparti in sede di interrogatorio formale (e, per quanto riguarda S.T., dalla sua mancata comparizione per rendere l’interrogatorio formale), avendo esse riconosciuto la costruzione dei fabbricati ad opera di S.L. ed il "loro esclusivo godimento separato".

Con il quarto motivo il ricorrente principale, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1159 c.c., censura la sentenza impugnata per non aver riconosciuto il proprio acquisto per usucapione nemmeno con riferimento al fabbricato rurale eretto a cura e spese sue e del fratello G.B.j., e da essi soltanto sempre utilizzato per la loro attività agricola.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente in quanto connesse, sono infondate.

La Corte territoriale sulla base degli elementi probatori acquisiti ed in particolare della prova testimoniale ammessa ed espletata nel giudizio di appello ha ritenuto che non era risultato in modo univoco e sufficientemente preciso che S.L. avesse avuto l’autonomo ed esclusivo godimento dei beni comuni di cui pretendeva di essere divenuto proprietario per l’intero, con riferimento sia ai due fabbricati che alla cascina; più in particolare ha affermato che il fatto che S.L. aveva eseguito lavori di ristrutturazione e di riparazione probabilmente a proprie spese su uno degli immobili per cui è causa (secondo la deposizione della teste R., coniuge dell’appellante), oppure che lo stesso, insieme con S.B., dopo un incendio, aveva provveduto a far eseguire sulla parte di immobile da loro abitato lavori di rifacimento dell’impianto idraulico, presentando domanda in Comune per ottenere l’autorizzazione necessaria per tali opere (secondo quanto riferito dai testi A. e Ro.), non costituivano elementi sufficienti ai fini della prova dell’usucapione, non rivelando un possesso esclusivo incompatibile con il permanere del compossesso altrui.

Tale convincimento è condivisibile in quanto conforme all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui in tema di compossesso il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sè, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all’esercizio del possesso "ad usucapione", e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore, risultando per converso necessario, ai fini dell’usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla "res" da parte dell’interessato attraverso una attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene (vedi "ex multis" Cass. 18.2.1999 n. 1367; Cass. 15.6.2001 n. 8152; Cass. 20.9.2007 n. 19478), non essendo al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione consentiti al singolo partecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l’erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore (Cass. 11,8.2005 n. 16841).

Alla luce di tale orientamento è evidente l’irrilevanza delle circostanze addotte a sostegno della propria tesi da parte del ricorrente principale, posto che il godimento esclusivo dei beni in questione da parte di S.L. o i lavori da quest’ultimo asseritamente eseguiti su tali immobili non comportano di per sè una situazione oggettivamente incompatibile con il possesso altrui.

Con il quinto motivo il ricorrente principale, deducendo violazione dell’art. 936 c.c., ed omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata per aver taciuto sul diritto dell’esponente ad ottenere un indennizzo ai sensi della norma citata da parte dei proprietari del suolo sul quale L. e S.G.B.j. avevano realizzato con denaro loro un fabbricato rurale. La censura è inammissibile.

Invero, poichè la questione sollevata non risulta trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente principale, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità della censura in quanto nuova, aveva l’onere, in realtà non assolto, di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al Giudice di merito indicando altresì in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto onde consentire a questa Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Con il sesto motivo il ricorrente principale, deducendo violazione dell’art. 784 c.p.c. e art. 2686 c.c., assume che la sentenza impugnata, nel confermare la decisione di primo grado in ordine alla approvazione del progetto divisionale predisposto dal C.T.U., ha trascurato di rilevare che in tale progetto risultava tra i condividenti C.A.M., alla quale dopo il suo decesso erano subentrati i suoi eredi; orbene tale circostanza, determinando l’acquisizione della quota ereditaria già spettante ad C.A.M." a persona diversa, in misura diversa", ha comportato la necessità di una modifica del progetto divisionale per consentire la futura trascrizione ed intestazione delle porzioni ai nuovi condividenti.

La censura è infondata.

Il decesso di C.A.M. non ha inciso in alcun modo sul progetto divisionale approvato, posto che l’entità della sua quota rispetto agli altri condividenti non ha ovviamente subito alcuna modifica per effetto della sua morte, e che tale evento ha avuto rilevanza solo per gli eredi di C.A.M., subentrati alla quota di cui era titolare la "de cuius" nei limiti delle rispettive quote ereditarie.

Con il settimo motivo il ricorrente principale, deducendo omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, assume che la sentenza impugnata, nel riconoscere la sussistenza di alcuni crediti dell’esponente nei confronti della massa ereditaria, ha ignorato l’esistenza di altri crediti, tutti non contestati e documentalmente provati, riconducibili alla chiusura del conto di G.B.j. ed alle spese funerarie e per lavori edili, oltre al credito equivalente al valore del fabbricato rurale.

La censura è infondata.

Il Giudice di Appello, con riferimento ai crediti vantati dall’appellante principale verso gli altri coeredi, ha confermato la sentenza di primo grado che, basandosi sulle risultanze della C.T.U., aveva osservato che nella determinazione delle quote erano stati tenuti nel debito conto i rilievi di S.L. nella valutazione degli immobili.

Orbene alla luce di tale statuizione, non oggetto di specifica censura, il motivo di ricorso si manifesta insanabilmente generico, non. essendo stato chiarito in quali forme e modalità concrete la sussistenza dei pretesi crediti invocati in questa sede fosse stata dedotta e provata dinanzi al Giudice di merito.

Quanto infine al credito relativo al valore del fabbricato rurale, si richiamano le considerazioni già svolte in occasione dell’esame del quinto motivo del ricorso principale.

Anche il ricorso principale deve quindi essere rigettato.

Ricorrono giusti motivi, avendo riguardo all’esito della controversia, per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.

Redazione