Corte di Cassazione sez. II 19/12/2007 n. 26796; Pres. Corona R., Est. Piccialli L.

Redazione 19/12/07
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Svolgimento del processo

Con atto notificato il 3.6.94 N.A., nella qualità di proprietario di un appartamento sito in (OMISSIS), facente parte di un piccolo condominio comprendente anche immobili di R.G., citò quest’ultima al giudizio del Tribunale di Taranto, ascrivendole l’illegittima apertura in un muro divisorio di un varco, mediante il quale era possibile, attraverso l’antistante cortile comune, raggiungere un contiguo immobile di esclusiva proprietà della convenuta; l’attore dichiarava di opporsi alla servitù di passaggio, che in tal modo riteneva essere stata realizzata e chiedeva condannarsi la convenuta alla chiusura del varco in questione.

La convenuta si costituì ed eccepì la "prescrizione" dell’azione ex adverso propostaci cui comunque chiese il rigetto nel merito.

Veniva ammessa ed espletata consulenza tecnica di ufficio e, con sentenza in data 17.7.2000 del G.O.A. della "sezione stralcio" del Tribunale adito, la domanda fu accolta. Avverso tale decisione la R. propose appello, cui resistette il N., chiedendo l’integrazione della motivazione in relazione all’accertamento del suo diritto di proprietà. Con sentenza del 25.6.03, depositata il 22.9.03, la Corte d’Appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, dichiarato inammissibile per difetto d’interesse il ritenuto appello incidentale del N., sul rilievo che il medesimo era risultato vittorioso in primo grado, accoglieva il gravame della R., rigettando la domanda dell’appellato attore, con conseguente condanna del medesimo alle spese del doppio grado del giudizio.

La Corte, pur premettendo l’imprescrittibilità, quale connotato del diritto di proprietà a cui tutela è concessa, dell’azione negatoria di servitù, riteneva tuttavia infondata la domanda nel merito, non ravvisando in concreto, nella creazione dell’accesso attraverso il cortile condominiale, alcuna violazione dell’art. 1102 cod. civ., in un contesto nel quale "le due unità limitrofe sono comunicanti ed appartengono alla stessa proprietaria ( R.G.) che può accedervi sia attraverso un’area scoperta condominiale, sia attraverso una strada privata"; ciò in quanto il passaggio attraverso l’area condominiale non estenderebbe il "diritto sulla cosa comune della Rata in danno del N.", nè impedirebbe a quest’ultimo di esercitare "analogo passo per accedere alla sua proprietà". In altri termini sarebbe "ininfluente ai fini del godimento dell’area comune per il N." la circostanza che "la R. abbia messo in comunicazione due proprietà alla stessa appartenenti ed insistenti su due diverse particelle", una delle quali, la n. 339, era "risultata comunque separata dell’area comune con un muretto ed una rete metallica".

Avverso tale sentenza il N. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi di censura.

Resiste la R. con controricorso.

Vi è memoria per il ricorrente.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 343 e 346 c.p.c., con riferimento alla dichiarazione d’inammissibilità del ritenuto appello incidentale. Si sostiene al riguardo che, non essendosi espressamente pronunziato il Tribunale sulla sussistenza del diritto di proprietà, a cui fondamento l’attore aveva prodotto una precedente sentenza dichiarativa del medesimo ufficio, l’appellato N. per far affermare tale diritto, contestato dalla controparte ed evitare acquiescenza sul punto e conseguente decadenza dalla richiesta ai sensi dell’art. 346 c.p.c., tanto più che l’appellante principale aveva espressamente reiterato l’eccezione al riguardo, non aveva altro rimedio che di riproporla, così come aveva fatto, chiedendo, nella comparsa di costituzione e risposta, che la Corte d’Appello, nel confermare la sentenza impugnata in ordine al dispositivo, la modificasse "soltanto in punto di diritto, con il riconoscimento delle ragioni prospettate in 1^ grado e ribadite in questa sede".

*****è, dunque, non vi fosse l’onere di proporre appello incidentale, sussisteva comunque l’esigenza di espressa riproposizione della richiesta in questione, onde evitare la presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 citato.

La censura è fondata.

Il N. aveva agito in negatoria servitutis, a tutela della libertà del cortile comune dall’assunta servitù, posta in essere dalla condomina R., a favore di un immobile di proprietà esclusiva della stessa, adducendo quale titolo legittimante tale azione il proprio diritto di proprietà su uno degli immobili facenti parti del condominio; tale titolarità gli era stata, tra l’altro, contestata dalla convenuta, con eccezione ribadita anche in sede di appello. Tanto premessoci suddetto appellato attore, a fronte della non esauriente motivazione della sentenza di primo grado, che pur accogliendone la domanda, non aveva espressamente acclarato, in funzione della legittimazione ad agire ex artt. 1102 e 949 c.c., il dedotto diritto di proprietà, tuttora oggetto di contestazione da parte dell’appellante aveva l’onere di ribadire – come in effetti ha ribadito, senza tuttavia proporre appello incidentale – la propria richiesta ex art. 346 c.c., al fine di evitare la presunzione di rinuncia che tale disposizione prevede, per le domande ed eccezioni non accolte nel grado precedente, ancorchè favorevolmente conclusosi per la parte interessata.

A tal riguardo va richiamato il costante indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, a termini del quale, in ipotesi di domande o eccezioni respinte, ritenute assorbite o comunque non esaminatela parte interessata, risultata vincitrice in primo grado, non è tenuta a proporre appello incidentale, ma è sufficiente che le riproponga espressamente, onde evitare la presunzione di abbandono dettata dall’art. 346 cit., ed il giudice di appello è tenuto ad esaminarle, anche nei casi in cui la parte suddetta abbia proposto, pur non essendovi tenuta, appello incidentale dichiarato inammissibile dal giudice medesimo (v., tra le altre, Cass. n. 2146/06, 8583/03, 2469/09, 8127/02, 7879/01). Nel caso di specie, peraltro, è agevole rilevare dal tenore della comparsa di costituzione e risposta dell’appellato (il cui esame è reso necessario dalla natura processuale della censura ed il cui contenuto al riguardo, risulta conforme alla sopra esposta richiesta, testualmente riportata nel motivo di ricorso) che il N. non propose un appello incidentale, ma si limitò a ribadire, chiedendo, un’espressa dichiarazione sul punto, ad emenda ed integrazione della motivazione, ritenuta carente, della pur favorevole sentenza di primo grado;ha errato pertanto, la corte di merito nel qualificare appello incidentale tale richiesta e nel dichiararla pertanto inammissibile, senza neppure esaminarla. Con il secondo motivo vengono dedotte "violazione e/o falsa applicazione degli artt. 949, 1102, 1103 e 1059 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5", lamentandosi che erroneamente, in relazione alle citate norme di diritto sostanziale con carente motivazione, in punto di accertamento della situazione dei luoghi, la corte territoriale abbia escluso che la creazione del varco, posto in essere dalla convenuta al fine di consentire l’accesso dall’area condominiale ad altra di sua esclusiva proprietà, integri gli estremi di un abuso del bene comune, essendosi invece in tal modo dato luogo ad una servitù a carico di quest’ultimo, a favore del bene estraneo alla comunione, con limitazione dei diritti dei rimanenti partecipanti alla stessa.

Anche tali censure sono fondate e vanno accolte, nei termini di seguito precisati. La tematica del presente giudizio, costituita dalla realizzazione da parte di un condomino di un varco di accesso, praticato in un muro condominiale, al fine di mettere in comunicazione lo spazio interno, anche comune, dallo stesso delimitato, con altri immobili confinanti, di proprietà esclusiva, ha più volte formato oggetto di esame da parte della giurisprudenza di legittimità, che è costantemente pervenuta alla conclusione dell’illegittimità, ai sensi dell’art. 1102 c.c., di siffatti interventi, nei casi nei quali il suolo, o il fabbricato, cui si sia dato accesso con le suddette modalità, costituisca un’unità immobiliare estranea al condominio, ancorchè appartenente a taluno dei condomini (v., tra le altre, Cass. n. 9036/06, 360/95, 2773/92, 5780/88); le ragioni del contrasto con la citata fondamentale regola civilistica in tema di uso della cosa comune risiedono nel mutamento di destinazione d’uso che i beni condominiali vengono a subire, senza il necessario consenso degli altri condomini ed in violazione dei concorrenti diritti degli stessi, per effetto della modificazione del muro perimetrale, che oltre ad essere in parte distolto dalla sua funzione di recinzione dei beni comuni, verrebbe ad essere, con la creazione del varco di accesso, asservito al passaggio in favore dell’immobile confinante, con correlativa diminuzione della consistenza dei diritti di comunione.

Alla stregua del suesposto principio, dal quale il collegio non ritiene di doversi discostare e che viene pertanto ribadito, deve essere censurata, per evidente carenza argomentativa, l’affermazione esposta nella sentenza impugnata, secondo la quale l’accesso attraverso un cortile condominiale, mediante un varco praticato nel relativo muretto di recinzione, ad una limitrofa unità immobiliare, appartenente alla condomina R., non violerebbe l’art. 1102 cod. civ., non estendendo il diritto della condomina sulla cosa, nè impedendo il concorrente diritto di passaggio all’altro condomino, N..

Tale affermazione potrebbe essere valida solo nel caso, invero non individuabile dal contenuto della decisione impugnata, in cui la confinante unità immobiliare facesse parte del complesso condominiale de quo, ipotesi nella quale la natura comune e la funzione del cortile sarebbero compatibili con l’accesso ad uno degli immobili costituenti il condominio, risultando invece palesemente in contrasto con il sopra affermato principio giurisprudenziale, in riferimento agli artt. 1102 e 949 c.c., nella diversa ipotesi in cui l’unità immobiliare alla quale si è dato accesso sia estranea al condominio.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata, in relazione alle accolte censure e per nuovo giudizio di appello alla stregua dei principi sopra esposti, con rinvio ad altra sezione della corte di provenienza, cui si demanda anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la pronunzia sulle spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce.

Redazione