Corte di Cassazione – sez. fer. pen . – sentenza n. 36844 del 02-09-2019

Redazione 03/09/19
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In materia di mandato di arresto europeo, non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell’ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma dell’ordinamento italiano ma è sufficiente che il fatto – per come in concreto descritto – corrisponda sul piano qualificatorio ad una delle ipotesi di consegna obbligatoria previste dalla legge ovvero, quanto alla condizione di cui all’art. 7 della legge in esame, che la concreta fattispecie sia punibile come reato in entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l’eventuale diversità, oltre che del trattamento sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato.

Al giudice spetta il dovere d’accertare, in un caso, la sussistenza del requisito della doppia incriminabilità di un fatto, che, pur ricondotto nel campo dell’astrattezza, va sempre riferito ad un’ipotesi ascrivibile alla “realtà effettuale” e non a quella “virtuale”, e, dall’altro, in via alternativa, se davvero sussista una ipotesi di c.d. consegna obbligatoria di cui all’art. 8 della legge n. 69 del 2005 fermo restando che tale compito è devoluto alla Corte di appello anche nei casi in cui la questione non sia specificamente dedotta, non solo perché la Corte di merito, in tema di mandato di arresto europeo, non esercita funzioni di giudice della impugnazione, ma perché essa è tenuta a verificare che sussistano tutti i presupposti previsti dalla legge, positivi o negativi, per disporre la consegna.

In tema di mandato di arresto europeo, può essere certamente data esecuzione ad una richiesta di consegna nei confronti di persona imputata di un reato per procedere al compimento di un atto istruttorio specificamente individuato atteso che l’art. 6, comma 1, lett. c), della legge n. 69 del 2005 consente il ricorso alla procedura in esame con riferimento ad ogni provvedimento di natura coercitiva emesso dall’Autorità giudiziaria dello Stato di emissione qualunque ne siano i motivi purché inerenti al processo.

Può essere data esecuzione in Italia ad un M.A.E. emesso sulla base di un provvedimento cautelare volto ad evitare la celebrazione del processo penale in assenza dell’imputato.

Il parametro per valutare la compatibilità della normativa degli Stati dell’Unione europea ai principi costituzionali, richiamati in via generale dall’art. 2 della legge n. 69 del 2005, è rappresentato dai principi «comuni» garantiti dalle Carte sovranazionali ed in particolare dalla Cedu.

La previsione dell’art. 18, lett. e) della L. 22 aprile 2005, n. 69, che stabilisce il rifiuto della consegna «se la legislazione dello Stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva», va interpretata alla luce, non del sistema di garanzie previsto dall’ordinamento italiano, bensì dei principi «comuni» di cui all’art. 6 T.U.E., tra i quali si pone quello del contenimento della durata della detenzione preventiva entro «tempi ragionevoli», come garantito dall’art. 5 par. 3 CEDU fino al giudizio di primo di primo grado.

Il motivo di rifiuto basato sull’intervenuta prescrizione del reato, di cui all’art. 18, lett. n), L. 22 aprile 2005, n. 69, opera esclusivamente laddove, sussistendo in concreto le condizioni di procedibilità di cui all’art. 9 cod. pen., vi sarebbe stata effettivamente la possibilità di giudicare il fatto oggetto del m.a.e. in Italia.

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