Corte di Cassazione Penale Sezioni unite 15/10/2008 n. 38834; Pres. Morelli F.

Redazione 15/10/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO

Con ordinanza in data 1 febbraio 2007 il G.I.P. del Tribunale di Napoli, investito quale giudice dell’esecuzione, respingeva l’opposizione presentata, ex art. 667 c.p.p., comma 4, dal P.M. contro il provvedimento del 21 luglio 2007 che aveva disposto il dissequestro e la restituzione a D.M.F. di alcuni beni costituenti il prezzo dei reati di corruzione a lui ascritti, in relazione ai quali il G.I.P. del Tribunale di Napoli, con sentenza in data 11 dicembre 2002, confermata dalla Corte di Appello della stessa sede in data 12 ottobre 2004, aveva dichiarato non doversi procedere per essere i reati estinti per prescrizione, nulla disponendo in ordine agli oggetti in sequestro.

Con la sua ordinanza il G.I.P. richiamava i principi formulati, sia pure incidenter tantum, dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte n. 5 del 25 marzo 1993, Carlea, ritenendo che essi non fossero superati da successive e convincenti decisioni di segno opposto e che, pertanto, solo le cose oggettivamente criminose potessero essere confiscate anche in assenza di sentenza di condanna, ai sensi del disposto dell’art. 240 c.p., comma 2, n. 2, e non anche il prezzo del reato di cui all’art. 240 c.p., stesso comma 2, n. 1.

Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, argomentando dal combinato disposto degli artt. 240, 236 e 210 c.p., in quanto l’art. 236 c.p., comma 2, prevede espressamente che, nell’ipotesi di confisca, non si applica la norma di cui all’art. 210 c.p., la quale, a sua volta, al comma 1, prevede che l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza, con la conseguenza, ad avviso del p.m. ricorrente, che la confisca, qualora ne ricorrano gli altri presupposti, può essere disposta anche in caso di estinzione del reato; ritenere che, nei casi di proscioglimento, la confisca possa essere disposta solo nelle ipotesi previste dall’art. 240 c.p., comma 2, n. 2, renderebbe priva di senso la disciplina derogatoria dell’art. 236 c.p.. Inoltre, secondo il p.m. ricorrente, non sarebbe pacifico che la frase "anche se non è stata pronunciata condanna", collocata alla fine dell’art. 240 c.p., comma 2, n. 2 si riferisca solo alle cose indicate in tale numero e non anche a quelle indicate nel n. 1, medesimo comma, dovendosi ritenere, al contrario, che tale frase, collocata alla fine del capoverso per mere ragioni espositive, si riferisca ad entrambe le categorie di cose elencate ai nn. 1) e 2) di detto capoverso; d’altro canto, diversamente argomentando, non si comprenderebbe perchè l’inciso "in caso di condanna" sia riportato solo nel comma 1, detto art., a proposito di altre categorie di cose, e non sia stato ripetuto anche nel n. 1, comma 2. La 1^ Sezione penale di questa Corte, alla quale il ricorso era stato assegnato, con provvedimento del 28 marzo 2008 ne disponeva la rimessione alle Sezioni Unite.

Il provvedimento di rimessione rilevava che l’orientamento espresso dalla citata sentenza n. 5 del 1993 delle Sezioni Unite, chiamata a decidere del caso particolare della confisca prevista dall’art. 722 c.p. e non della più generale ipotesi disciplinata dall’art. 240 c.p., era stato seguito da pronunce conformi, mentre altre sentenze si erano espresse in modo contrastante. Osservava, inoltre, che la ratio che aveva ispirato le Sezioni Unite, cioè il timore di superamento in sede di cognizione o addirittura in sede esecutiva dei limiti della cognizione, aveva visto con il tempo, attraverso varie modifiche legislative e la evoluzione giurisprudenziale progressivamente abbandonare il "mito" del giudicato, attraverso l’attribuzione al giudice dell’esecuzione di accertamenti ben più pregnanti di quelli della configurabilità astratta del fatto reato.

Il difensore di D.M. ha depositato memoria, nella quale si richiama la nuova disciplina in materia di confisca contenuta negli artt. 322 ter e 335 bis c.p., con specifico riferimento alla corruzione, reato appunto contestato al D.M.. Tale disciplina, che individua quale presupposto legale per l’ammissibilità della misura ablativa, una sentenza di condanna o di applicazione di pena su richiesta, sarebbe applicabile nel caso di specie, pur con riferimento a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore, poichè, ai sensi dell’art. 199 c.p. (rectius art. 200 c.p.), in materia di misure di sicurezza deve applicarsi la normativa vigente al momento della loro esecuzione e non quella in vigore al tempo della commissione del fatto criminoso.

Lo stesso difensore aggiunge che, anche nell’ipotesi in cui si ritenga l’applicabilità nel caso di specie della disciplina generale di cui all’art. 240 c.p., in luogo di quella speciale ex artt. 322 ter e 335 bis c.p., rimane fermo che condizione della operatività della misura di sicurezza della confisca deve essere una sentenza di condanna, con l’unica eccezione delle cose obiettivamente criminose, poichè l’inciso "anche se non è stata pronunciata sentenza di condanna" è contenuto solo nell’art. 240 c.p., comma 2, n. 2.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Occorre preliminarmente osservare che non è accoglibile la tesi esposta nella memoria difensiva, che se fondata sarebbe rilevabile d’ufficio, circa la applicabilità della nuova disciplina in materia di confisca dettata dall’art. 322 ter c.p. con riferimento, tra gli altri reati, alla corruzione, che era stata, appunto, contestata al D.M.. infatti, per espresso disposto della L. 29 settembre 2000, n. 300, art. 15, che ha introdotto il citato art. 322 ter, la nuova normativa non è applicabile "ai reati commessi prima del (OMISSIS)". Nel caso di specie, trattandosi di reato commesso in data anteriore a quella da ultimo indicata, deve applicarsi la normativa generale al tempo vigente, cioè quella di cui all’art. 240 c.p., comma 2, n. 1. Ciò osservato, occorre procedere ad una corretta ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali della Corte Suprema sulla questione sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte sulla medesima questione si sono già espresse con la sentenza 25 marzo n. 5, ****** (rv.

193120). In verità, le Sezioni Unite erano state chiamate a pronunciarsi sulla interpretazione del disposto dell’art. 722 c.p., che, con riferimento alle contravvenzioni relative al giuoco d’azzardo, prevedeva che "è sempre ordinata la confisca del denaro esposto nel giuoco e degli arnesi od oggetti ad esso destinati", essendosi manifestato, con riguardo a tale specifica norma, un contrasto giurisprudenziale fra la tesi secondo cui essa sarebbe stata da intendere nel senso della obbligatorietà della confisca anche in caso di proscioglimento e quella secondo cui l’obbligatorietà avrebbe comunque dovuto avere come presupposto una pronuncia di condanna. La citata sentenza delle Sezioni Unite afferma che l’avverbio "sempre" di cui al citato art. 722 c.p. ha "inteso rendere obbligatoria una confisca che altrimenti sarebbe stata facoltativa", ma "non sta a significare che la misura deve essere disposta anche nel caso di proscioglimento e in particolare. nel caso di estinzione del reato".

Peraltro, la stessa sentenza ritiene che tale conclusione interpretativa abbia necessità di essere saggiata alla luce del disposto di cui all’art. 240 c.p., poichè se la misura della confisca in caso di estinzione del reato "non può ritenersi legittimata dalla disposizione speciale dell’art. 722 c.p. rimane da chiedersi se la legittimazione non possa tuttavia farsi derivare dalle norme generali sulla confisca". Le Sezioni Unite, quindi, prendono posizione anche su un contrasto giurisprudenziale che esse stesse rilevano essersi manifestato sulla interpretazione del combinato disposto dell’art. 210 c.p., art. 236 c.p., comma 2, e art. 240 c.p., affermando che "nei casi dell’art. 240 c.p., comma 1, e comma 2, n. 1, come in quello dell’art. 722 c.p., essendo richiesta la condanna, la confisca se il reato è estinto non può essere disposta, mentre a una diversa conclusione deve pervenirsi nel caso dell’art. 240 c.p., comma 2, n. 2, che impone la confisca anche nel caso di proscioglimento".

Appare evidente, quindi, che i principi formulati dalla citata sentenza n. 5 del 1993 delle Sezioni Unite sulla questione in esame non possano definirsi in senso proprio un obiter dictum, poichè non sono stati pronunciati in modo incidentale. occasionale, non necessario alla ricostruzione logica del sistema normativo, bensì come premessa sistematica indispensabile alla soluzione del caso specifico.

La sentenza della Sez. 1^, 25 settembre 2000, n. 5262, *******, (rv.

220007), segnalata nell’ordinanza di rimessione come espressione di contrasto giurisprudenziale, si richiama, senza autonoma motivazione, ad una non meglio precisata "risalente giurisprudenza", che si basa sul combinato disposto dell’art. 236 c.p., comma 2, e art. 210 c.p., ritenendo non conferente il richiamo alla sentenza delle Sezioni Unite n. 5 del 1993, poichè essa si riferirebbe "al caso particolare della confisca prevista dall’art. 722 c.p.".

Nessun argomento può trarsi anche dall’altra sentenza Sez. 5^, 14 gennaio 2005, n. 6160, *********, rv. 231173, sempre segnalata nell’ordinanza di rimessione, quale espressione dello stesso indirizzo interpretativo della citata sentenza *******, per avere ritenuto che la morte del soggetto proposto per una misura di prevenzione, prima della applicazione definitiva della misura personale, non impedisce la confisca dei beni rientranti nella disponibilità del proposto. Infatti, tale sentenza si riferisce alla confisca adottata nel sistema delle misure di prevenzione di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 ter, del tutto speciale sia per le modalità procedimentali che per il fine perseguito dalla confisca, che è quello di eliminare dal circuito economico beni in disponibilità di soggetto collegato con organizzazione criminale di stampo mafioso di presunta illecita acquisizione, in modo tale da impedire la riproducibilità, mediante uso diretto ovvero reinvestimento dei medesimi, di ricchezza inquinata all’origine, di modo che i beni assoggettati a confisca finiscono con l’essere oggettivamente pericolosi di per sè, in quanto strumento di sviluppo dell’organizzazione mafiosa e dei suoi membri (Sez. 1^, 13 novembre 1997 26 gennaio 1998, n. 6379, Di *******, rv. 209556).

Conforme, invece, alla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 5 del 1993 è quella della Sez. 6^, 19 febbraio 2008, n. 27043, Console, la quale esclude, con riferimento ad un caso di estinzione per prescrizione dei reati di cui agli artt. 319 e 321 c.p., che la confisca del prezzo del reato possa essere ordinata anche in caso di proscioglimento per prescrizione, poichè "la particolare natura dell’oggetto della misura patrimoniale, non illecito di per sè ma per il collegamento con il reato del quale si considera il prezzo, presuppone l’accertamento del reato stesso".

In mancanza di un effettivo contrasto argomentativo nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, non si può prescindere dal ripercorrere la motivazione della sentenza Carlea, al fine di verificarne la condivisibilità anche alla luce delle successive modifiche normative.

I punti fondamentali della suddetta motivazione sono i seguenti:

a) l’avverbio "sempre", all’inizio dell’art. 240 c.p., comma 2 ha inteso rendere obbligatoria, diversamente da quanto previsto dal comma 1, stesso art., una confisca che altrimenti sarebbe stata facoltativa;

b) solo nei casi indicati nell’art. 240 c.p., comma 2, n. 2 l’obbligatorietà è destinata ad operare "anche se non è stata pronunciata condanna";

c) non può trarsi contrario argomento dall’art. 236 c.p., comma 2, che rende inoperanti rispetto alla confisca le disposizioni dell’art. 210 c.p., che prevedono, tra l’altro, che "l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l’esecuzione", poichè tale previsione normativa "si limita ad indicare le disposizioni sulle misure di sicurezza personali che sono applicabili alle misure di sicurezza patrimoniali (contribuendo a delinearne la disciplina complessiva), ma non è’ diretto a stabilire i casi in cui queste misure possono essere disposte", dovendosi fare capo alle diverse disposizioni speciali, come quella dell’art. 240 c.p., per stabilire di volta in volta se la misura presuppone la condanna o può essere disposta anche in seguito al proscioglimento;

"nè si può dire che questa interpretazione renderebbe inutile l’art. 236 c.p., comma 2, nella parte in cui ha reso inapplicabile alla confisca l’art. 210 c.p., sia perchè in mancanza della disposizione dell’art. 236 c.p., comma 2, si sarebbe potuto ravvisare nell’estinzione del reato (analogamente a quanto avviene per altre misure di sicurezza) un ostacolo alla confisca pure nei casi in cui ne è espressamente prevista l’applicazione in seguito al proscioglimento, sia perchè avrebbero inciso sulla confisca anche l’amnistia impropria e le cause di estinzione della pena, che invece cosi sono state rese inoperanti";

d) per disporre la confisca nel caso di estinzione del reato il giudice dovrebbe svolgere degli accertamenti che lo porterebbero a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale, e "sotto questo aspetto è evidente la differenza tra i casi dell’art. 240 c.p., comma 2, n. 2, e gli altri, perchè l’art. 240 c.p., comma 2, n. 2, è focalizzato soprattutto sulle caratteristiche delle cose da confiscare, le quali in genere non richiedono accertamenti anomali rispetto all’obbligo dell’immediata declaratoria di estinzione del reato".

Orbene, con riferimento all’interpretazione dell’avverbio "sempre" contenuto nel testo della norma in esame, si deve osservare che, sulla base di una normale e diffusa tecnica legislativa, esso è adoperato per indicare una preclusione alla valutazione discrezionale del giudice nel potere di disporre la confisca, non certo per porre un’eccezione alle condizioni previste per l’esercizio dello stesso potere nelle singole fattispecie; anzi, spesso l’avverbio si accompagna e si collega, nella stessa proposizione, proprio al presupposto dell’esistenza di una sentenza di condanna (si vedano ad es. art. 270 bis c.p., comma 4, art. 322 ter c.p., comma 1, artt. 417, 538 e 544 sexies c.p., art. 600 septies c.p., comma 1, nonchè L. 14 dicembre 2000, n. 376, art. 9, comma 6, in materia di tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, comma 1, in materia di criminalità mafiosa, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 9 ter, comma 3, C.d.S.), in taluni casi è addirittura utilizzato come rafforzativo della obbligatorietà, sempre sul presupposto di una sentenza di condanna (art. 416 bis c.p., comma 7); negli stessi termini, come sinonimo dell’avverbio "sempre" è talvolta utilizzata la locuzione "in ogni caso" (L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 28, comma 2, in materia di caccia).

Deve, pertanto, ritenersi corretta l’interpretazione secondo la quale la formula normativa "è sempre ordinata" di cui all’art. 240 c.p., comma 2 si contrappone a quella "può ordinare" di cui al comma 1, fermo rimanendo il presupposto "nel caso di condanna" fissato dallo stesso comma 1 ed esplicitamente derogato solo con riferimento alle cose di cui al n. 2, comma 2. In altri termini, l’avverbio "sempre" è finalizzato solo a contrapporre la confisca obbligatoria alla confisca facoltativa, ma non la confisca in presenza o in assenza di condanna.

D’altro canto, non può assolutamente condividersi la tesi secondo la quale l’inciso "anche se non è stata pronunciata condanna", contenuto nell’art. 240 c.p., comma 2, n. 2, debba essere riferito anche alla previsione di cui al n. 1, poichè in tal modo verrebbe a forzarsi il normale collegamento logico tra le singole proposizioni del testo della norma, per di più inserite in numeri ben distinti, essendo evidente che una normale, e non particolarmente specialistica, tecnica legislativa, se avesse voluto riferire l’inciso suddetto ad entrambi i numeri del comma l’avrebbe inserito all’inizio del capoverso, dopo l’altro "è sempre ordinata la confisca".

La disposizione dell’art. 236 c.p., comma 2, che rende inapplicabili con riferimento specifico alla confisca le disposizioni dell’art. 210 c.p., che prevedono, tra l’altro, che "l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l’esecuzione", formula un principio di carattere generale, che lascia, poi, libero il legislatore di stabilire i casi in cui tale effetto impeditivo si produce anche con riferimento alla confisca, tanto è vero che è lo stesso art. 240 c.p., comma 1, oltre ad una serie di leggi speciali (si vedano quelle sopra citate), a prevedere, appunto, in quali casi è necessaria una condanna per ordinare la confisca. Tale conclusione interpretativa a livello testuale può trovare conferma anche nel sistema legislativo quale risulta innovato dalla L. 29 settembre 2000, n. 300, che ha introdotto l’art. 322 ter c.p., proprio con riferimento ad una serie di reati contro la pubblica amministrazione, tra i quali la corruzione contestata al D. M..

Il citato articolo stabilisce che è "sempre" e, quindi, obbligatoriamente, ordinata la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, ovvero, "quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo", sul presupposto espresso che vi sia stata condanna o applicazione di pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p..

Con tale normativa il legislatore italiano si è allineato, sia pure con riferimento ad un ristretto numero di reati, ai dettati internazionali in materia di confisca (Sez. 2^, 12 dicembre 2006 – 31 gennaio 2007, n. 3629, Ideal Standard Italia), in particolare prevedendo la confisca per valore. Dalla disposizione citata si rileva che, pur in un contesto di convenzioni internazionali la cui finalità è quella di potenziare gli strumenti di contrasto alla criminalità, in particolare neutralizzando ogni vantaggio economico derivante da attività criminose, il legislatore ha bensì esteso la obbligatorietà della confisca anche al profitto del reato, che l’art. 240 c.p., comma 1, prevedeva come facoltativa, ma ha mantenuto fermo il presupposto della condanna, prevedendo soltanto l’ulteriore ipotesi della sentenza ex art. 444 c.p.p., presupposto espressamente richiesto anche per la confisca del "prezzo" del reato. Se, pertanto, si accede all’interpretazione secondo la quale, sulla base del testo dell’art. 240 c.p., la confisca del prezzo della corruzione poteva prescindere dalla condanna, il legislatore avrebbe reso l’applicazione della confisca più restrittiva di quanto in precedenza previsto, e ciò sarebbe difficilmente comprensibile in considerazione delle finalità della nuova normativa.

E’, invece, più conforme ad una ricostruzione razionale del succedersi delle leggi ritenere che il legislatore abbia basato il suo intervento innovativo proprio sul presupposto che non solo il profitto, ma anche il prezzo della corruzione fossero confiscabili solo in caso di condanna, prevedendo l’ulteriore ipotesi della sentenza ex art. 444 c.p.p..

Già queste considerazioni sono sufficienti per risolvere la questione di diritto sottoposta a queste Sezioni Unite, affermando il principio che "la confisca delle cose costituenti il prezzo del reato, prevista obbligatoriamente dall’art. 240 c.p., comma 2, n. 1, non può essere disposta nel caso di estinzione del reato".

Occorre, però, ancora osservare che la sentenza delle Sezioni Unite n. 5 del 1993, cit., ha affermato anche che "per disporre la confisca nel caso di estinzione del reato il giudice dovrebbe svolgere degli accertamenti che lo porterebbero a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale". Tale affermazione, che è ripresa da Sez. 6^ n. 27043 del 2008, Console, cit., quale motivazione unica della esclusione di confiscabilità del prezzo del reato in assenza di sentenza di condanna, deve, però, essere aggiornata, anche alla luce di un sistema processuale, che si è sviluppato attraverso molteplici modifiche legislative ed incisive evoluzioni giurisprudenziali.

Si consideri, in primo luogo, che al giudice sono riconosciuti ampi poteri di accertamento del fatto nel caso in cui ciò sia necessario ai fini di un pronuncia sull’azione civile, tanto che la parte civile può proporre impugnazione, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio (art. 576 c.p.p.), con la conseguenza che il giudice può pervenire all’affermazione della responsabilità dell’imputato, anche se nei confronti di costui sia dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, per un fatto previsto dalla legge come reato, che giustifica la condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno (Sez. Un., 29 marzo 2007, n. 27614, Lista, rv. 236537; Sez. Un., 11 luglio 2006 n. 25083, *****, rv. 233918; Sez. 2^, 24 ottobre 2003 – 16 gennaio 2004, n. 897, **********, rv. 227966).

Si consideri, ancora, che l’art. 425 c.p.p., comma 4, come modificato dal D.L. 7 aprile 2000, n. 82, art. 2 sexies, comma 1, convertito con modificazioni in L. 5 giugno 2000, n. 144, prevede uno specifico ampliamento dei poteri del giudice dell’udienza preliminare, il quale può pronunciare sentenza di non luogo a procedere anche se ritiene che dal proscioglimento dovrebbe conseguire l’applicazione della misura di sicurezza della confisca.

Si consideri, infine, la legislazione speciale, come interpretata dalla costante giurisprudenza di questa Suprema Corte.

Ad esempio, in tema di lottizzazione abusiva, il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 2, stabilisce che il giudice penale dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, con la "sentenza definitiva", che "accerta che vi è stata lottizzazione abusiva". Tale disposizione viene interpretata nel senso che essa prevede l’obbligatorietà della confisca indipendentemente da una pronuncia di condanna, in conseguenza all’accertamento giudiziale della sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, salvo il caso di assoluzione per insussistenza del fatto (da ultimo: Sez. 3^, 21 novembre 2007 – 5 marzo 2008, n. 9982, *********, rv. 238984; Sez. 3^, 7 luglio 2004, n. 37086, **********, rv. 230031).

Ancora si può citare il D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 301, sostituito dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, che, comma 1, dispone "nei casi di contrabbando è sempre ordinata al confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto ovvero il prodotto o il profitto".

Anche in tale fattispecie la giurisprudenza è uniforme nel ritenere che la confisca possa essere disposta sebbene il reato venga dichiarato estinto per prescrizione, sempre che non venga escluso il rapporto tra la ras ed il fatto di contrabbando (da ultimo: Sez. 3^, 21 settembre 2007, n. 38724, **********, rv. 237924; Sez. 3^, 26 novembre 2001 – 7 febbraio 2002, n. 4739, *****, rv. 221054).

Già questi brevi richiami consentono di affermare che, rispetto all’obbligo dell’immediata declaratoria di estinzione del reato, la circostanza che il giudice possa procedere ad accertamenti non può affatto considerarsi in linea di principio "anomala".

Nè si può trascurare che, come insegna la stessa Corte Costituzionale (da ultimo sent. n. 85 del 2008) che la categoria delle sentenze di proscioglimento, a parte quelle ampiamente liberatorie perchè pronunciate con le formule "il fatto non sussiste" e "l’imputato non lo ha commesso", comprende "sentenze che, pur non applicando una pena, comportano – in diverse forme e gradazioni – un sostanziale riconoscimento della responsabilità dell’imputato o, comunque, l’attribuzione del fatto all’imputato stesso" e ciò in particolare vale per le dichiarazioni di estinzione del reato per prescrizione.

Occorre anche considerare, in linea generale, ciò che la Corte Costituzionale osservava già nei primi anni ’60 (Corte Cost. 1961 n. 29; Id. 1964, n. 46) e cioè che la confisca può presentarsi, nelle leggi che la prevedono, con varia natura giuridica. Il suo contenuto è sempre la privazione di beni economici, ma questa può essere disposta per diversi motivi e indirizzata a varie finalità, così da assumere, volta per volta, natura e funzione o di pena, o di misura di sicurezza, ovvero anche di misura amministrativa. Ciò che, pertanto, spetta di considerare non è una astratta e generica figura di confisca, ma, in concreto, la confisca così come risulta da una determinata legge.

Si comprende, pertanto, come sia ben difficile formulare principi uniformi che valgano per tutte le tipologie legislativamente previste. Soprattutto in anni recenti, come già osservato da queste Sezioni Unite (Sez. Un. 27 marzo 2008, n. 26654, **********************) "sono state introdotte nell’ordinamento, in maniera sempre più esponenziale, ipotesi di confisca obbligatoria dei beni strumentali alla consumazione del reato e del profitto ricavato, le quali hanno posto in crisi le costruzioni dommatiche elaborate in passato e la identificazione, attraverso il nomen iuris, di un istituto unitario, superando così i ristretti confini tracciati dalla norma generale di cui all’art. 240 c.p. (si pensi esemplificativamente alla confisca di cui agli artt. 322 ter, 600 septies, 640 quater, 644, 648 quater c.p., art. 2641 c.c., D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187, D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2)".

L’obiettivo perseguito dal legislatore con la confisca è sempre più quello di privare l’autore del reato dei vantaggi economici che da esso derivano.

Pertanto, considerando l’evoluzione della legislazione in materia e la sempre più ampia utilizzazione dell’istituto della confisca al fine di contrastare i più diffusi fenomeni di criminalità, si può dire che, in caso di estinzione del reato, il riconoscimento al giudice di poteri di accertamento al fine dell’applicazione della confisca medesima non possono dirsi necessariamente legati alla facilità dell’accertamento medesimo e che, quindi, tale accertamento possa riguardare non solo le cose oggettivamente criminose per loro intrinseca natura (art. 240 c.p., comma 2, n. 2), ma anche quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento con uno specifico fatto reato.

Queste considerazioni non consentono di modificare l’interpretazione che ha portato alla formulazione dell’indicato principio di diritto, ma si pongono quale motivo di riflessione per il legislatore, rimanendo ancora valido il monito di una autorevole dottrina, lontana nel tempo, ma presente nell’insegnamento, secondo la quale è "antigiuridico e immorale" che "il corrotto, non punibile per qualsiasi causa, possa godersi il denaro ch’egli ebbe per commettere il fatto obiettivamente delittuoso".

Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Redazione