Corte di Cassazione Penale sez. VI 3/3/2009 n. 9531; Pres. Lattanzi G.

Redazione 03/03/09
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FATTO

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Venezia confermava la sentenza in data 30 maggio 2003 del Tribunale di Padova, sezione distaccata di Cittadella, appellata da B.M., condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di mesi nove di reclusione, condizionalmente sospesa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, determinato in Euro 6.000,00, in quanto responsabile dei reati di cui all’art. 572 c.p. (capo a) e artt. 81 e 582 c.p. (capo b), avvinti dalla continuazione.

Quanto al capo a), il B. è stato ritenuto responsabile di avere maltrattato la moglie V.S. reiteratamente picchiandola, ingiuriandola e umiliandola (in (omissis)); quanto al capo b), di avere cagionato in due occasioni alla moglie V.S. lesioni personali, giudicate guaribili, rispettivamente in giorni 8 e in giorni 4 (ivi, il (omissis)).

Osservava la Corte di appello che la prova della responsabilità penale dell’imputato derivava dalle dichiarazioni della persona offesa, avvalorate da quelle della madre B.L., dell’amica B.P. e, in parte, dal figlio della coppia B.A., nonchè dalle certificazioni mediche acquisite.

Ricorre per cassazione di persona l’imputato, deducendo:

1. Erronea applicazione degli artt. 572 e 582 c.p..

La stessa sentenza impugnata riconosce che tra i coniugi, qualificati significativamente con il termine "contendenti", intercorrevano litigi da cui scaturivano reciproche offese e aggressioni fisiche, sicchè doveva per ciò stesso escludersi che la V. vertesse, con riguardo al comportamento del marito, in una situazione di sudditanza o di sopraffazione sistematica tale da renderla succube nei confronti di esso. Ciò del resto emergeva con chiarezza dalla testimonianza del figlio, illogicamente svalutata dai giudici di merito. I certificati medici prodotti attestavano solo contusioni e percosse ma non certo l’esistenza di un regime vessatorio imposto dall’imputato. Non era dunque configurabile il reato di cui all’art. 572 c.p..

Nemmeno poteva dirsi integrato il reato di lesioni, non essendo stata accertata l’esistenza di una malattia nel corpo o nella mente del soggetto passivo e cioè una alterazione anatomica implicante un’apprezzabile menomazione funzionale dell’organismo, certamente non ricollegabile a ecchimosi, ematomi, contusioni o escoriazioni come nella specie verificatosi. Al più sarebbe configurabile il reato di percosse.

2. Manifesta illogicità della motivazione, dato che la sentenza impugnata, senza considerare numerose testimonianze attestanti la situazione conflittuale reciprocamente esistente tra i coniugi, e l’atteggiamento estremamente reattivo e per nulla sottomesso della V., si limita a riprodurre acriticamente i medesimi argomenti utilizzati nella sentenza di primo grado.

Non viene inoltre valorizzato il dato rappresentato dal fatto che all’atto della separazione coniugale la casa familiare venne lasciata all’imputato, cui fu per di più affidata la figlia minore, decisione che certamente non sarebbe stata presa dal Tribunale se effettivamente l’imputato fosse stato una persona violenta e prevaricatrice.

Analogo vizio di motivazione riguarda l’inquadramento nel reato di lesioni di semplici ecchimosi o escoriazioni.

3. Erronea applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.p.p. e 538 c.p.p. e vizio di motivazione in punto di risarcimento del danno, non essendosi considerata la condotta della V., che aveva contribuito alla causazione del danno essendo fomentatrice anch’essa della situazione di dissidio coniugale.

Analoghe considerazioni valevano per la liquidazione delle spese del giudizio.

DIRITTO

Le censure che si rivolgono contro l’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di maltrattamenti appaiono fondate.

Perchè sia integrato il reato in questione occorre, secondo il significato riconducibile al termine "maltrattare", che, come più volte affermato dalla giurisprudenza, l’agente eserciti, abitualmente, una forza oppressiva nei confronti di una persona della famiglia (o di uno degli altri soggetti indicati dall’art. 572 c.p.) mediante l’uso delle più varie forme di violenza fisica o morale (v. ex plurimis Sez. 6, 4 dicembre 2003, Camiscia; Id., 11 dicembre 2003, **********; Id., 1^ febbraio 1999, *******).

Ne deriva che in questa fattispecie si richiede che vi sia un soggetto che abitualmente infligge sofferenze fisiche o morali a un altro, il quale, specularmente, ne resta succube.

Se le violenze, offese, umiliazioni sono reciproche, pur se di diverso peso e gravità, non può dirsi che vi sia un soggetto che maltratta e uno che è maltrattato.

Da un punto di vista fenomenologico, in un rapporto familiare che leghi un uomo e una donna, poichè la posizione prevaricatrice si può avvalere della preponderante forza fisica del soggetto agente, anche se i maltrattamenti in ipotesi si risolvano esclusivamente nella inflizione di sofferenze morali, è normalmente l’uomo il soggetto agente e la donna la vittima.

Tuttavia, venendo al caso di specie, secondo i dati riportati dalla Corte di appello, l’imputato non sarebbe "stato l’unico autore di condotte aggressive e ingiuriose" e la persona offesa "non poteva essere considerata estranea al clima di scarsa serenità che vigeva in famiglia" (sentenza impugnata, punto 3.1.), circostanze che sembrerebbero confermate dal figlio della coppia, secondo cui vi erano "forti contrasti, anche violenti, all’interno della famiglia", pur attribuendosi da parte sua al padre "il ruolo di colui che provocava un pochino di più" (ivi, punto 3.3.).

Analogamente, nella sentenza di primo grado si fa riferimento a "un contesto di reciproche insofferenze e aggressioni verbali (quando non anche fisiche)" (prima pagina della motivazione).

Ora, stante tale quadro probatorio, la Corte di appello non ha esplicitato in base a quali elementi, anche solo di natura logica, dovesse ritenersi che, come perentoriamente affermato, "solo al B., tra i due contendenti, può essere attribuita quella condotta di sistematica prevaricazione, disprezzo ed umiliazione che connota il reato di cui all’art. 572 cod. pen." (ivi, punto 3.1.);

non essendo sufficiente al riguardo la considerazione, del resto nemmeno particolarmente valorizzata dai giudici di appello, della riconducibilità al solo B. degli atti di violenza fisica, che, a prescindere dalla loro autonoma rilevanza penale, non integrano di per sè il reato di cui all’art. 572 c.p. se non in quanto espressione di una condotta di maltrattamenti, che richiede, come già precisato, l’attribuibilità al suo autore di una posizione di abituale prevaricante supremazia alla quale la vittima soggiace.

La sentenza impugnata va pertanto annullata su detto capo, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, che dovrà nuovamente valutare, alla stregua dei principi sopra enunciati, se le prove raccolte a carico del B. siano idonee a sostenere la fondatezza della imputazione contestatagli.

Le censure attinenti al reato di lesioni volontarie (capo B) appaiono invece manifestamente infondate, risultando inequivocabilmente dalla documentazione medica richiamata dalla Corte di appello, oltre che dalle deposizioni testimoniali, che nei due episodi descritti in imputazione il B. cagionò alla moglie lesioni personali di varia natura, giudicate guaribili rispettivamente in giorni 8 e in giorni 4.

Quanto al motivo attinente alla responsabilità civile, tale aspetto andrà valutato all’esito del giudizio di rinvio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 572 c.p. con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.

Rigetta nel resto il ricorso.

Redazione