Corte di Cassazione Penale sez. VI 30/12/2010 n. 45667

Redazione 30/12/10
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1 .-. ****** ricorre per cassazione avverso la sentenza, con la quale, in data 11-11-10, la Corte di Appello di Venezia, sezione 1^ penale, ha accolto la domanda di consegna presentata nei suoi confronti dalla Repubblica di Romania, in quanto raggiunto da mandato di arresto Europeo n. 16/ME del 18-8-2010, emesso dal Tribunale di Alba, esecutivo della sentenza n. 246/2008 pronunciata dal Tribunale di Alba, modificata dalla Corte di Appello di Alba Iulia con sentenza n. 19/A/2009, passata in giudicato con sentenza n. 1455/2010 dell’Alta Corte di Giustizia, sentenza recante la sua condanna alla pena di anni cinque di reclusione per i reati di tratta di esseri umani e sfruttamento della prostituzione.

Il ricorrente deduce in primo luogo vizio di motivazione in ordine al mancato accoglimento della eccezione preliminare di omessa tempestiva notifica al difensore.

Con il secondo motivo di ricorso denuncia lo stesso vizio in riferimento alla valutazione dei presupposti previsti dalla legge per l’accoglimento della richiesta di consegna ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 17.

Con il terzo motivo di ricorso lamenta ancora vizio di motivazione "in ordine al mancato diniego della richiesta consegna ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. r), stante il provato (suo) radicamento, quale cittadino comunitario, sul territorio italiano". 2 .-. Il ricorso è inammissibile per genericità e per manifesta infondatezza.

La prima censura è già stata esaminata e respinta, con congrua motivazione, dalla Corte di merito, che ha correttamente puntualizzato: che l’avviso di fissazione dell’udienza del 11-11-10 era stato emesso in data 27-9-10, quando i difensori di fiducia del prevenuto erano gli avv.ti ******* e ********; che l’avv. ********** era stato nominato solo in data 13-10-10; che conseguentemente, essendo stata la nomina di quest’ultimo legale formalizzata in un momento successivo alla emissione dell’avviso, nessuna notifica era dovuta a quest’ultimo (Sez. 5, Sentenza n. 48088 del 08/11/2004, Rv.

230511, **********).

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità, atteso che la censure sono formulate in modo astratto e stereotipato, senza alcuna illustrazione concreta delle doglianze a cui la motivazione della sentenza impugnata avrebbe omesso di rispondere.

3 .-. Quanto al terzo motivo di ricorso, deve ricordarsi che è stato più volte affermato da questa Corte che la nozione di "residenza" che viene in considerazione per la applicazione dei regimi di consegna previsti dalla L. n. 69 del 2005 presuppone l’esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. Da tali indici è possibile prescindere solo per il cittadino comunitario che abbia acquisto il diritto di soggiorno permanente in conseguenza di un soggiorno in Italia per un periodo ininterrotto di cinque anni (v. da ultimo: sez. 6, n. 1790 del 19-11-10, dep. Il 19-11-10, ******; sez. 6, n. 14710 del 9-4-10, dep. 16-4-10, S., rv. 246747). Queste conclusioni sono state tratte dalle indicazioni fornite ai Giudici nazionali dalla Corte di Giustizia per la interpretazione della decisione-quadro n. 2002/584/GAI (sent. 6-10-09, Wolzemburg; 17-7-08, *********) e sono state recentemente richiamate anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 227 del 2010, con cui è stata dichiarata là illegittimità costituzionale della L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. r), nella parte in cui non prevede il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro Paese membro dell’Unione Europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, ai fini della esecuzione della pena detentiva in Italia conformemente al diritto interno. Il Giudice delle Leggi ha rilevato che, se uno degli obiettivi principali del sistema di cooperazione giudiziaria in materia penale nel ed. Ili Pilastro è "favorire il reinserimento sociale della persona condannata", il criterio per individuare il contesto sociale, familiare, lavorativo e altro, nel quale si rivela più facile e naturale la risocializzazione del condannato, durante e dopo la detenzione, non è tanto e solo la cittadinanza, ma la residenza stabile, il luogo principale degli interessi, dei legami familiari, della formazione dei figli e di quant’altro sia idoneo a rivelare la "sussistenza di quel "radicamento reale e non estemporaneo dello straniero in Italia". Quanto alle nozioni di residenza e di dimora utilizzate dalla decisione-quadro e dalla Legge italiana di recepimento, la Consulta ha ricordato che esse sono nozioni comunitarie, che richiedono una interpretazione autonoma ed uniforme, e che spetta alla Autorità giudiziaria accertare la sussistenza del presupposto della residenza o della dimora, "legittime ed effettive", all’esito di una valutazione complessiva degli elementi caratterizzanti la situazione della persona, quali, tra gli altri, la durata, la natura e le modalità della sua presenza nel territorio italiano, nonchè i legami familiari ed economici che intrattiene nel e con il nostro Paese, in armonia con l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Tanto premesso, la censura prospettata è manifestamente infondata.

U.T.D., contrariamente a quanto apoditticamente sostenuto in ricorso, non ha dimostrato l’esistenza di un "radicamento" reale e non estemporaneo nello Stato italiano, nel senso sopra precisato. Risulta, infatti, come ha correttamente sottolineato la Corte di Appello, che il predetto è privo di lavoro e, benchè residente a (omissis), è di fatto senza fissa dimora; in buona sostanza ha lavorato in Italia solo pochi mesi, per l’esattezza nove, da (omissis), e ha sul territorio nazionale una residenza solo formale, acquisita in epoca molto recente ((omissis)). A parte il fatto che l’ U. risulta essere venuto nel nostro Paese e avervi trovato il lavoro suindicato in epoca coeva alla sentenza di primo grado emessa in Romania nel 2008 di condanna per i gravi delitti da lui commessi solo due anni prima, risultanza che induce a ritenere che egli sia venuto in Italia al fine di sottrarsi alle conseguenze penali della sua illecita condotta.

In definitiva, le risultanze acquisite non possono ritenersi indici rivelatori della esistenza di legami con lo Stato italiano di intensità tale da consentire di constatare che il ricorrente ricada nella fattispecie prevista dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. r).

4 .-. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro mille, non ravvisandosi ragioni per escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità. La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a quello della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Redazione