Corte di Cassazione Penale sez. VI 28/8/2008 n. 34415; Pres. Lattanzi G.

Redazione 28/08/08
Scarica PDF Stampa
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO

L’imputato assolto, S.V. ((omissis)), medico in (omissis), e i coimputati, M.G. ((omissis)), P.R. ((omissis)), S.L. ((omissis)), le cui posizioni sono state definite separatamente, erano accusati del reato di cui al capo BL), di corruzione continuata per atti contrari ai doveri di ufficio, di cui agli artt. 81, 110, 319, 321 c.p. per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, agendo in concorso tra loro, P.R., M.G. e S.L., nella qualità di funzionari con incarichi di vario livello nella organizzazione commerciale della casa farmaceutica GlaxoSmithKline (direttori, sales area manager, district manager, informatori scientifici, ecc), promesso e dato, al fine di incentivare il consumo del medicinale Hycamtin, prodotto dalla suddetta GlaxoSmithKline, al Dott. S.V., medico presso l’Ospedale Civile (omissis), che l’ha accettato, il compenso non dovuto di Euro 4.465,52 importo delle spese per la partecipazione ad un congresso tenutosi a Boston dal 23 giugno 2002 al 26 giugno 2002, allo scopo di promuovere e diffondere il suddetto medicinale Hycamtin sia mediante dirette prescrizioni ad un numero predeterminato di pazienti, sia mediante la richiesta di fornitura rilevante di confezioni di detto medicinale, che in precedenza era stato introdotto nei prontuario terapeutico ospedaliere, alla farmacia ospedaliera. In (omissis).

Il G.U.P. ha argomentato la sua decisione di proscioglimento, perchè il fatto non costituisce reato, sotto il profilo della mancanza della prova certa della sussistenza del requisito psicologico, articolando la motivazione nei seguenti quattro punti:

a) poichè l’accusa si fonda sostanzialmente sull’esistenza di un documento contenente dati numerici di pazienti e compenso da elargire al medico, essa è indubbiamente lacunosa sotto il profilo del requisito soggettivo in capo al soggetto della corruzione passiva, perchè suscettibile di interpretazioni alternative; ed invero, poichè non concorre indizio minimo del fatto che il congresso – che risulta svolto nel rispetto della procedura di cui alla L. n. 541 del 1992, art. 12 e ora del D.Lgs. n. 219 del 2006, artt. 113 e 124 – non abbia avuto caratteri di effettività e di serietà scientifica, o che sproporzionato fosse l’impegno finanziario sostenuto dalla impresa farmaceutica e che di tale sproporzione fosse a conoscenza il medico, residua il dubbio insanabile sulla percezione, da parte del sanitario destinatario dell’utilità economica, della natura illecita dello scambio eventualmente prospettato dal privato;

b) non risultando che l’imputato fosse a conoscenza del contenuto della corrispondenza tra dirigenti e informatori scientifici, sussunta sotto l’etichetta di "bollettino di guerra" nella promozione del farmaco Hycamtin, e in particolare di essere annoverato tra i potenziali prescrittori del farmaco Hycamtin nonchè destinatario, a tale specifico scopo, di un finanziamento – circostanza che il S. ha per l’appunto categoricamente escluso – è verosimile, e non si presta a smentite, che il medico sia incorso in errore sul fatto, non avendo consapevolezza che la remunerazione fosse prestata o prospettata per ottenere il compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio, e ciò evidentemente a prescindere dalla competenza e possibilità di tenere il comportamento illecito avuto di mira dai privati corruttori;

c) l’elemento psicologico del corrotto e quello del corruttore devono valutarsi indipendentemente, cosicchè in caso di errore del funzionario pubblico, che non percepisca la finalità illecita della dazione – non risultando in fatto che delle pianificazioni d’intervento escogitate da responsabili e dirigenti della società farmaceutica e condivise e attuate dagli informatori scientifici, e di cui alla documentazione sequestrata, fosse al corrente il sanitario -, il funzionario pubblico medesimo non risulta punibile ai sensi dell’art. 47 c.p., comma 1 (errore sul fatto che costituisce il reato), poichè l’errore cade su di un elemento strutturale del reato;

d) la condotta dei privati, responsabili, dirigenti e informatori scientifici della società farmaceutica, integra invece il delitto di istigazione alla corruzione, sanzionato dall’art. 322 c.p., comma 2, avuto riguardo alle caratteristiche di serietà ed effettività delle condotte, potenzialmente e funzionalmente idonee a indurre il destinatario a compiere l’atto antidoveroso, ed alle loro manifestazioni come forma di astuta e spesso estenuante pressione psicologica sul sanitario.

Su tali premesse e con tali valutazioni, il G.U.P. ha così motivato, desumendo il difetto di prova certa sulla sussistenza del requisito psicologico e deliberando l’assoluzione dell’imputato perchè il fatto non costituisce reato.

Con un primo motivo di impugnazione la ricorrente parte pubblica deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 47 e 319 c.p.. Rispetto alle argomentazioni della sentenza, che ritiene viziate per erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 47 e 319 c.p.p., il Procuratore della Repubblica osserva criticamente quanto segue:

1) l’errore sul fatto, per assumere rilevanza, deve essere scrupolosamente accertato per cui il dubbio sulla sua esistenza equivale a negazione di esso;

2) nella specie non si tratta di errore sul fatto (che è ravvisabile solo per il caso di una erronea percezione della realtà, e cioè di una divergenza tra un dato della realtà, quale esso è, e la percezione o valutazione soggettiva dell’autore), ma di una asserita mancata percezione dell’illiceità della remunerazione promessa ed eseguita e detta finalizzazione della stessa al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio;

3) si sarebbe, forse, potuto parlare di errore sul fatto solo nel caso in cui fosse emerso che la remunerazione era stata percepita dal medico come un atto dovuto, una sorta di versamento imposto e doverosamente effettuato dalla casa farmaceutica e sempre che, come nella specie, tale versamento non fosse espressamente vietato da precise disposizioni di legge;

4) nella vicenda, infatti, il presunto errore sul fatto si traduce in realtà in errore sulla legge penale, come tale del tutto irrilevante ai sensi dell’art. 5 c.p.;

5) l’errore ipotizzato dal G.U.P. sarebbe, in realtà, un errore sul precetto "non ricevere denaro o altra utilità e non accettarne la promessa allo scopo di agevolare, con prescrizioni mediche o in qualche altro modo la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto a uso farmaceutico" di cui al R.D. 27 luglio 1934 n. 1265, art. 170 (T.U. delle leggi sanitarie) come modificato dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 541, art. 16 e sull’altro precetto "non concedere, offrire o promettere premi, vantaggi pecuniari o in natura, salvo che siano di valore trascurabile, nel quadro dell’attività di informazione e presentazione di medicinali svolta presso medici o farmacisti" di cui all’art. 11 del citato D.Lgs. n. 541 del 1992 nonchè sull’ulteriore precetto "non sollecitare alcun incentivo vietato" di cui al comma 2 del già citato D.Lgs. n. 541 del 1992, art. 11, norme, tutte ribadite e confermate con la recente disposizione di cui al D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, art. 147, comma 5.

In conclusione, per il ricorrente, "la situazione psicologica nella quale si è trovato ad operare il medico non è quella di chi è tratto in inganno da particolari e caratteristici elementi devianti che non consentono la corretta percezione della realtà, ma piuttosto quella condizione di "tipico uomo pecuniario" che in criminologia viene evidenziata per definire il comportamento del medico che, nei casi come quelli esaminati in questo processo e comunemente e genericamente definiti di "comparaggio", non avverte il grave disvalore del fatto e non si sente tormentato da scrupoli di coscienza in quanto, nel commettere l’illecito gode dell’appoggio del proprio ambiente che, anche se formalmente non promuove tale tipo di illecito, sostanzialmente si rivela un "ambiente protetto" e molto comprensivo. Si tratterebbe, cioè, di una situazione psicologica che non incide sulla sussistenza del dolo dei contestato reato, ma che potrà, eventualmente, essere valutata dal giudice ai fini di cui all’art. 133 c.p.".

Il difensore del S., con memoria difensiva depositata il 29 gennaio 2008, segnala in fatto un grossolano errore di persona con un omonimo S.V., neurologo, residente in (omissis), con la conseguenza che gli unici dati riferibili all’imputato sono: una email inviata da P.R. a M.G. con indicato il suo nome; la documentazione relativa alla partecipazione al congresso medico di Boston nel 2002, partecipazione autorizzata dal Ministero della salute; i dati di consumo del farmaco Hycamtin nell’OC di Pinerolo.

Osserva la difesa del S. che il ricorso del Pubblico ministero sarebbe fondato su una riduttiva ed errata lettura della decisione del giudice il quale è invece pervenuto alla esclusione dell’elemento soggettivo, precisando l’assenza di consapevolezza in capo al S.. Peraltro è evidente che la sussistenza di un "errore sulla legge penale", che non scrimina il comportamento delittuoso, è cosa ben diversa dall’"errore sul fatto" ed implica, per poter essere configurato, che il soggetto abbia comunque piena conoscenza di tutte le circostanze della realtà che concorrono a costituire il reato, altrimenti gli sarebbe stato precluso anche inquadrare il detto reato nell’ambito di una determinata fattispecie e così poterne – e doverne – percepire a illegittimità.

Nella memoria si rileva altresì che, contrariamente a quanto apoditticamente affermato dalla ricorrente parte pubblica, che non argomenta in alcun modo la sua censura, il G.U.P. ha puntualmente individuato quelli che sono gli estremi materiali del reato, dei quali il S. non aveva percezione o comunque comprensione, estremi materiali che erano dati da:

a) resistenza di una struttura organizzata in seno alla GLAXO SMITH KLINE S.p.A. distribuita su rete nazionale e caratterizzata da una specifica finalità;

b) la specifica finalità perseguita da questa occulta organizzazione, diretta a promuovere il consumo di una serie di medicinali, a maggior parte dei quali neppure in uso nella specialità dell’imputato;

c) l’esistenza di comunicazioni intercorse fra soggetti diversi, nelle quali compariva il suo nominativo, ed un riferimento di equivoco significato (equivocità espressamente riconosciuta dal Giudice di merito) attribuito dalla Procura della Repubblica al contenuto dell’unica comunicazione in cui compare il suo nominativo;

d) il collegamento fatto da altre persone in un documento ignoto all’imputato della sua partecipazione al congresso tenutosi a Boston in riferimento ad ampio progetto anch’esso sconosciuto all’imputato;

e) il fatto che una attività lecita e disciplinata dalla legge, quale la partecipazione di medici del Servizio Sanitario Nazionale a congressi di formazione e studio organizzati da case farmaceutiche venisse sistematicamente messa in riferimento da funzionar della GLAXO SMITH KLINE S.p.A. ad una finalità sconosciuta all’imputato.

Ciò che l’imputato ignorava e che ha determinato l’errore di fatto ritenuto esistente dal Giudice di merito consiste proprio in estremi materiali del reato concretanti l’elemento della condotta messa in atto dai presunti corruttori e determina pienamente una difettosa percezione o comunque una difettosa ricognizione della percezione che altera il presupposto del processo volitivo, indirizzandolo verso una condotta viziata alla base (Cass. Pen., sez. 6, 3.04.2003 n. 24605 in Cass. Pen. 2004. 1618: Cass. Pen. sez. 2, 16-07-1980 in Giust. Pen. 1981, 2, 496).

Il ricorrente Procuratore della Repubblica sostiene che il Giudice di primo grado ha confuso la mancata conoscenza in capo all’imputato di una serie di elementi integranti la condotta delittuosa del corruttore, con l’errore su di un precetto normativo sintetizzato come "non ricevere denaro o altra utilità e non accettarne la promessa allo scopo di agevolare, con prescrizioni mediche o in qualche altro modo la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto ad uso farmaceutico". Se non che tale precetto implica uno specifico scopo, quello appunto di agevolare una determinata azione: non è dato comprendere come avrebbe potuto S. percepire tale scopo quando, come risulta dalla sentenza impugnata in parti non oggetto di censura, non conosceva l’azione che si sarebbe dovuta agevolare.

Quanto alla parte finale del ricorso, ove si sostiene che si sarebbe verificata quella situazione psicologica per cui il medico non è stato tratto in inganno da particolari o circostanze devianti che non consentono la corretta percezione della realtà, quando piuttosto da una sua specifica condizione definita come di "tipico uomo pecuniario" in virtù della quale il soggetto, forte dell’appoggio del proprio ambiente, non avvertirebbe il disvalore di un determinato fatto, il difensore dell’imputato evidenzia come tale conclusione presenti evidenti lacune, poichè trascura di considerare:

1) che nell’ambito del procedimento, la Procura della Repubblica non ha provato che il S.V. conoscesse quell’unico atto di indagine riferibile alla sua persona, cioè la e-mail intercorsa fra soggetti diversi uno dei quali addirittura sconosciuto all’imputato;

2) che non si sia considerato al contrario che il Giudice di merito ha riconosciuto la mancata conoscenza di una serie di dati, costituenti circostanze formanti l’elemento della condotta, valutazioni e statuizioni della sentenza di merito che non sono state fatte oggetto di censura ed in quanto tali costituiscono quindi giudicato.

Prima di esaminare i termini in diritto della vicenda, va rilevato che la Corte non ritiene accoglibile la richiesta, formulata dal Procuratore generale in udienza, di conversione del ricorso in appello. La ragione va individuata nella circostanza che il motivo, come prospettato dal Procuratore della Repubblica, è esclusivamente di diritto ed è stato proprio enunciato come violazione delle norme sostanziali degli artt. 47 e 319 c.p.. Non essendo stato dedotto alcun vizio di motivazione, nè essendo stato fatto alcun riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), va applicata quella giurisprudenza che impone alla Cassazione di trattenere il ricorso, considerandolo un ricorso "per saltum", anche se detta impugnazione è anteriore alla pronuncia di illegittimità della legge Pecorella.

Le questioni sollevate dal ricorso e dalla memoria difensiva impongono inoltre alcuni semplici richiami giurisprudenziali, agli effetti della valutazione della fondatezza o meno dei vizi prospettati.

Sul punto va considerato preliminarmente (cfr. in termini: Sez. 6, 33435/2006, Rv. 23436 Imputato: *********** e altri) che il reato di corruzione, nelle sue varie ipotesi, integra un reato a forma libera, plurisoggettivo, a concorso necessario, di natura bilaterale, che trae forza vitale e fondamento dal "pactum sceleris" tra privato e pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio). Si tratta di un illecito che si sostanzia in condotte convergenti ed embricate, in reciproca saldatura e completamento, idonee ad esprimere, nella loro fisiologica interazione, un unico delitto a compartecipazione necessaria. Da ciò consegue che il reato si configura dogmaticamente e si manifesta, in termini di responsabilità, solo se entrambe le condotte, del funzionario e del privato, in connessione indissolubile, sussistono probatoriamente e la perfezione dell’illecito avviene alternativamente con l’accettazione della promessa o con il ricevimento effettivo dell’utilità (cfr.: sez. 6, n. 33519/06, n. 7555 del 1996 Rv. 205881, N. 10851 del 1996 Rv.

206224, N. 4300 del 1997 Rv. 208886, N. 2894 del 1998 Rv. 210382, N. 1167 del 1999 Rv. 213331, N. 13619 del 2003 Rv. 224144, N. 23248 del 2003 Rv. 225669).

La giurisprudenza di questa Corte è ormai concorde nella configurazione dell’illecito come reato a duplice schema principale e sussidiario. Nello schema principale, il reato viene commesso con due essenziali attività, strettamente legate tra loro e l’una funzionale all’altra: l’accettazione della promessa e il ricevimento dell’utilità, con il quale finisce per coincidere il momento consumativo, versandosi in un’ipotesi assimilabile a quella del reato progressivo. Nello schema sussidiario, che si realizza quando la promessa non viene mantenuta, il reato si perfeziona invece con la sola accettazione della promessa che identifica il momento di consumazione del reato (cfr. Sez. 6, 35118/2007, Rv. 237288 *****;

Conf. sez. 6, 9 luglio 2007 n. 35119, ******, e n. 35220, ********, non massimate).

Ciò posto, e ribadito che il perfezionamento dell’illecito avviene alternativamente con l’accettazione della promessa o con il ricevimento effettivo dell’utilità, va rilevato che sia la sentenza che il ricorso, nella sua duplice articolazione, si muovono da una nozione di corruzione propria molto ampia, che considera integrato il reato di cui all’art. 319 c.p. con l’accettazione, da parte del p.u., di un’utilità di qualsiasi genere collegata alla sua funzione, senza che occorra accertare, come di regola dovrebbe avvenire, a quale atto l’utilità fosse finalizzata; se quell’atto fosse o meno conforme ai doveri di ufficio; se poi quell’atto, così connotato anche teleologicamente, fosse stato realmente posto in essere.

La ricostruzione della figura criminosa dalla quale hanno preso le mosse il processo e la sentenza appare tuttavia frutto di una ricognizione della giurisprudenza che si collega agli aspetti probatori relativi ad alcuni particolari casi che le sono stati sottoposti, nei quali tuttavia la Corte ha ritenuto che le utilità (ma soprattutto le ingenti dazioni di denaro, per lo più "in nero", occultate attraverso complesse operazioni bancarie all’estero) ricevute dal p.u. senza alcuna giustificazione e in evidente collegamento con le sue attività funzionali si risolvessero in casi di corruzione propria, per la "vendita" della funzione (tipico il caso del mercimonio del cd. "funzionario a libro paga").

Ben diversi sono i casi, come quelli in esame, in cui ogni dazione risulta contabilizzata, giustificata e perfettamente documentata; i tutto senza dimenticare che, sotto il profilo probatorio (cfr. Cass. Penale sez. 6, U.P. 19.5.99 ******** e ********, al pari della sentenza **************** Penale sez. 6, U.P. 13.4.99), rileva, nella quasi totalità degli episodi, anche il valore sintomatico dell’entità della dazione, nel senso cioè che la percezione di un vantaggio, di assoluta modestia rispetto all’entità degli interessi in gioco, può ragionevolmente far propendere per l’inesistenza di un patto di mercimonio avente ad oggetto atti contrarr a doveri d’ufficio.

In queste realtà, al fine di individuare correttamente la figura criminosa, deve essere accertato, e con maggior rigore laddove ricorra l’anzidetta sproporzione, il nesso tra l’utilità e l’atto da compiere o compiuto da parte del p.u. ed in particolare:

a) se il compimento dell’atto sia stato la causa della prestazione e dell’accettazione da parte del pubblico ufficiale;

b) se l’atto sia o meno contrario ai doveri di ufficio.

Nella specie un accertamento del genere non c’è stato, o comunque non vi sono risultati che lo attestino, e neppure risulta che nel corso delle indagini siano stati acquisiti elementi probatori idonei a tale scopo. Gli unici dati riferibili in proposito all’imputato (come già detto) sono infatti tre (pag. 16 della sentenza):

– una e-mail inviata da P.R. a M.G. con indicato il nome di S.;

– la documentazione relativa alla partecipazione al congresso medico di Boston nel 2002, – partecipazione autorizzata dal Ministero della salute;

– i dati di consumo del farmaco Hycamtin nell’OC di Pinerolo.

Inoltre la stessa sentenza ammette (pag. 17) che il S. era all’oscuro del contenuto della corrispondenza tra dirigenti e informatori scientifici, sussunta sotto l’etichetta di "bollettino di guerra" nella promozione del farmaco Hycamtin, e in particolare ignorava di essere annoverato tra i potenziali prescrittori del farmaco Hycamtin, nonchè destinatario, a tale specifico scopo, di un finanziamento.

Il Pubblico ministero nel suo ricorso si è concentrato sulla consapevolezza della illiceità del fatto in capo al S. (ed agli altri imputati) chiedendo alla Suprema Corte una diversa ed inammissibile valutazione alternativa (pag. 32 ricorso), spostando tra l’altro l’attenzione su un’ipotesi di errore sul precetto che, oltre non apparire nella sentenza, è contraddittoria – come rilevato dal difensore – rispetto alle stesse deduzioni dell’accusa.

Qualificare l’ipotizzato errore sulla finalità della dazione come errore sul precetto realizza un "errore in diritto" in quanto la finalità del corruttore è per il presunto corrotto elemento costitutivo del fatto tipico e deve perciò essere pienamente oggetto del suo dolo, applicando la disposizione degli artt. 43 e 47 c.p. e non quella dell’art. 5 c.p..

Pertanto appare del tutto irrilevante – per quanto qui interessa – la prospettata "possibilità di interpretazioni alternative" sulla scorta del compendio probatorio sopra descritto, considerato che ciò che differenzia radicalmente la condotta penalmente illecita, da quella consentita, è la provata connessione tra i comportamenti del funzionario e quelli del privato, nell’ambito del mercimonio della pubblica funzione.

In assenza di tale essenziale e prioritaria convergenza sull’accordo criminoso, appare ininfluente l’indagine sull’errore cui il primo giudice ed il Procuratore della Repubblica hanno dedicato ampio ed articolato spazio argomentativo, considerato che (pag. 18 sentenza), non solo manca la prova della conoscenza, da parte del S., della "finalità illecita delle dazioni", ma difetta il radicale presupposto della prova dell’accordo di base, illecito, che avrebbe giustificato le dazioni stesse.

Secondo il ricorrente, invece ed in parte per la stessa sentenza impugnata, la "dazione", da parte della società a mezzo dei suoi funzionar, e la correlativa "ricezione", ad opera del pubblico ufficiale, costituirebbero "ex se" elementi dimostrativi della commissione del reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, su presupposto che, per la configurabilità del reato in questione, non è determinante che l’atto sia individuato, nè che sia ricompreso nell’ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale – essendo sufficiente che rispetto ad esso l’agente possa avere una qualche possibilità di ingerenza -, nè che il pubblico ufficiale rispetti il pactum sceleris.

Si tratta di affermazioni che non sembrano attagliarsi alla fattispecie. E’ ben vero questa Sezione in diverse occasioni ha affermato come non sia necessario individuare lo specifico atto contrario ai doveri d’ufficio per ritenere configurabile il reato di cui all’art. 319 c.p. (Sez. 6, 7 aprile 2006, n. 21943, ******; Sez. 6, 2 ottobre 2006, n. 2818, *******); tuttavia, questa stessa giurisprudenza ha ritenuto necessario che dal comportamento del pubblico ufficiale emerga comunque un atteggiamento diretto in termini concreti a vanificare la funzione demandatagli (cfr. da ultimo: Cass. Penale sez. 6, 86/2008, RG 26880/07, 16 gennaio 2008, in P.G. contro **********), poichè solo in tal modo può ritenersi integrata la violazione dei doveri di fedeltà, imparzialità e del perseguimento esclusivo degli interessi pubblici che sullo stesso incombono (Sez. 6, 26 febbraio 2007, n. 21192, Eliseo).

Nel caso in esame, la questione non riguarda tanto l’individuazione dell’atto contrario, quanto i comportamenti posti in essere dal S., dai quali desumere, con la certezza che è richiesta per una pronuncia di penale responsabilità, l’asservimento della funzione pubblica svolta. Quindi prima ancora di affrontare le questioni sull’errore andava verificata la sussistenza dell’accordo, in quanto, se inesistente l’accordo, la soggettività della ricezione diventa irrilevante per l’assenza di nesso sinallagmatico.

Infine, per completare lo scenario relazionale "funzionari Glaxo e medici" e focalizzare in esso le singole condotte contestate, che abbiano superato i confini della lecita relazione collaborativa e informativa tra medico e impresa, di fondamentale importanza risulta essere la circostanza che la partecipazione al congresso a Boston è stata nella specie preventivamente autorizzata dal Ministero della Salute, e, quindi, anche sotto questo non secondario aspetto, in mancanza di altri univoci elementi di prova, non può ritenersi che il "donativo" fosse il frutto di una corruzione del sanitario, lo si ripete, in assenza di prova del sottostante accordo.

Nè rileva in contrario che lo scopo perseguito dalla Glaxo con i vari "donativi" e "benefits" in favore de sanitari o degli enti di appartenenza fosse quello di promuovere la vendita dei propri farmaci, perchè questa finalità non può dare automaticamente luogo a un reato di corruzione, considerato in particolare che il legislatore ha apprestato, nel tempo, un ventaglio di illiceità, scalari e progressive, il quale, partendo dalla base generica dei reati contravvenzionali quali quelli previsti nel R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, artt. 170-172 e D.Lgs. n. 541 del 1992, art. 11 (concessione o promessa di premi o vantaggi pecuniari o in natura), ha il suo epilogo sanzionatorio nelle norme distali in tema di delitti di corruzione, propria ed impropria.

Proprio di recente, la Suprema Corte (Cass. Pen. sez. 1, 1158/07, 42750/07, ric. ************, *************, est. ******), nel quadro dell’attività di informazione e presentazione dei medicinali, svolta presso medici o farmacisti, nel ribadire che è vietato all’informatore di concedere, offrire o promettere premi, vantaggi pecuniari o in natura, se non di valore trascurabile, nonchè al medico e al farmacista di sollecitare o accettare alcun incentivo di questo tipo, ha precisato:

a) che la violazione di questo divieto integra la contravvenzione del D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, art. 123, punita dal successivo art. 147, comma 5 – con l’arresto fino a un anno e con l’ammenda da 400,00 a 1.000,00 Euro;

b) che tale contravvenzione si pone in un linea di sviluppo che va ritenuta prodromica rispetto al tradizionale reato di "comparaggio" previsto dal T.u.l.s., introdotto dal legislatore (già con il D.Lgs. 30 dicembre 1927, n. 541, art. 11, poi abrogato dal D.Lgs. n. 219 del 2006, art. 158, comma 1) a tutela anticipata della correttezza dell’attività promozionale in campo farmaceutico, del mercato e della concorrenza nel settore, e indirettamente della salute dei cittadini;

c) che, per contro, la promessa o la dazione di denaro o altra utilità al sanitario o al farmacista, eseguite pure nel medesimo contesto informativo, e però "allo scopo di agevolare la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto a uso farmaceutico", integrano la diversa e autonoma fattispecie contravvenzionale di "comparaggio" di cui al, reato anch’esso plurioffensivo, ma connotato altresì dalla previsione dell’indicato dolo specifico;

d) che, valutata la portata della clausola di riserva, espressamente stabilita dal R.D. n. 1265 del 1934, art. 170, comma 2 cit. ("Se il fatto violi pure altre disposizioni di legge, si applicano le relative sanzioni secondo le norme sul concorso dei reati"), nonostante la labilità della linea di demarcazione segnata dal legislatore per le distinte fattispecie di reato sopra descritte, fra la contravvenzione di "comparaggio", tuttora ricadente nell’area dell’illegittima promozione dei farmaci, oltre i confini della lecita relazione collaborativa e informativa tra medico e impresa, e l’eventuale delitto di "corruzione" ex artt. 319-321 c.p., realizzato mediante significative e sostanziose erogazioni di denaro o altre utilità per scopo di lucro – di cui peraltro siano stati accertati gli elementi costitutivi – non intercorre affatto un rapporto di specialità, attesa la diversità del bene giuridico tutelato e dell’atteggiarsi del dolo, bensì è configurabile il concorso di reati.

In buona sostanza ed in conclusione, con riferimento ai capi di imputazione relativi alle liberalità e ai contributi per congressi scientifici ed altro, il Pubblico Ministero rinviene gli elementi propri dell’ipotesi corruttiva, non già – come sarebbe necessario – in circostanze fattuali, idonee a dimostrare l’esistenza di un pactum sceleris, intervenuto ex ante tra il dipendente GSK e il Pubblico Ufficiale, ma nella sola dazione di utilità che, in base alla tesi prospettata nel ricorso, rivestirebbe la duplice funzione di prezzo della compravendita e di prova dell’accordo criminoso.

Mancano perciò le prove della corruzione e l’epilogo che si impone è l’annullamento della sentenza impugnata, attesa l’evidenza della prova che il fatto non sussiste. Nè appare praticabile un annullamento con rinvio per ulteriori accertamenti da parte del g.u.p. ai fini della corruzione o al fine di contestazione da parte del p.m. dei diversi reati di cui si è detto, perchè la Corte non può che sindacare i vizi e rinviare, quando occorre, per la loro eliminazione, ma non lo può fare andando al di là delle richieste formulate con il ricorso, al fine di consentire rinvii esplorativi, e prospettandosi di ufficio l’eventualità che la situazione sia diversa da quella che viene rappresentata o che si possano acquisire elementi ulteriori rispetto a quelli già in atti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Redazione