Corte di Cassazione Penale sez. VI 21/1/2009 n. 2736; Pres. de Roberto G.

Redazione 21/01/09
Scarica PDF Stampa
FATTO E DIRITTO

1.- All’esito di giudizio ordinario il Tribunale di Lecce sezione distaccata di ******** con sentenza emessa il 5.12.2006 ha dichiarato L.F.A. colpevole del delitto continuato di violazione degli obblighi di assistenza familiare e di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in favore della moglie separata C.A. e delle tre figlie minorenni (nate negli anni (omissis)), non corrispondendo loro dal (omissis) sino all'(omissis) l’assegno alimentare mensile di L. 1.200.000 (fissato dal giudice civile nel giudizio di separazione coniugale) e totalmente disinteressandosi delle vicende delle tre figlie e in particolare della più piccola, afflitta da problemi di carattere psicologico e comportamentali tanto seri da imporne l’inserimento in apposita struttura di recupero. Per l’effetto il L. è stato condannato, concessegli generiche circostanze attenuanti, alla pena condizionalmente sospesa di due mesi di reclusione ed Euro 200,00 di multa.

Adita dall’impugnazione del L., la Corte di Appello di Lecce con l’indicata sentenza del 14.2.2008 ha confermato la decisione di condanna del Tribunale.

Nel quadro dell’esame del merito della regiudicanda la Corte di Appello Leccese, convalidando l’apparato valutativo espresso dalla diffusa motivazione della sentenza di primo grado, ha evidenziato come il Tribunale di Lecce (s.d. di Casarano) abbia offerto convincente dimostrazione della sussistenza nella condotta del prevenuto degli elementi costitutivi, oggettivo e soggettivo, dell’ascritto reato di cui all’art. 570 c.p., fornendo risposta ai rilievi difensivi del L. poi riproposti con i motivi di appello.

Ribadito che le due decisioni di merito costituiscono – sotto il profilo delle argomentazioni decisorie – un unitario ed inscindibile corpus motivazionale (nei termini più volte precisati da questa Corte regolatrice), le due conformi sentenze di primo e di secondo grado evidenziano che la penale responsabilità del L. è suffragata:

– dall’oggettivo obbligo imposto all’imputato nella procedura di separazione coniugale di versare un assegno mensile dell’importo di L. 1.200.000 quale contributo al mantenimento delle tre figlie minorenni e della moglie separata, casalinga e priva di fonti di reddito proprie, e – sul piano storico – dall’oggettiva circostanza per cui l’imputato non ha adempiuto a tale obbligo per un non breve periodo di tempo (dal (omissis)), asseverata dalla lineare ed attendibile deposizione della moglie separata C.A., persona offesa non costituitasi parte civile e non portatrice di ragioni di particolare risentimento verso il L.;

– dai dati confermativi dell’assunto accusatorio provenienti dall’altra p.o. L.E., che ha riferito come il padre si sia astenuto dal versare l’assegno alimentare o altri contributi finanziari alla madre, costretta a lavorare come bracciante agricola, e non si sia mai curato dei problemi suoi e delle due sorelle, pur sapendole in difficoltà economiche (dovendo la madre far ricorso anche ai propri genitori) e morali;

– dalle dichiarazioni dell’assistente sociale P.A.M. (acquisite dichiarazioni rese in separato processo per omologhi fatti nei confronti del L., relativi a periodi temporali diversi), che ha evidenziato la condizione di grave disagio emotivo sofferta dalla figlia più piccola e il disinteresse del padre per la bambina;

– dalla concreta situazione di necessità economica (cioè di oggettivo stato di bisogno) creatasi per la C. e le tre figlie a seguito dell’omissione contributiva dell’imputato, essendo pacifica nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità l’irrilevanza, ai fini del perfezionamento del reato ascritto al prevenuto, della possibilità della persona offesa di attingere ad eventuali sussidi o aiuti economici di natura pubblica ovvero di altri familiari;

– dall’inconferenza dei dati difensivi prospettati dall’imputato a sostegno di una asserita mancanza di volontà di non uniformarsi all’obbligo contributivo impostogli giudizialmente ed in ogni caso derivante dalla legge, atteso che le emergenze processuali inducono ad escludere l’esistenza di eventuali situazioni impedienti dell’imputato, non soltanto non essendo dimostrata l’indisponibilità di risorse finanziarie del prevenuto, ma emergendo anzi dati di segno contrario, atteso che il medesimo nel periodo interessato dalla contestata accusa penale ha svolto l’attività di autotrasportatore (avente disponibilità di un camion proprio) ed ha dato vita ad altro stabile nucleo familiare con la nascita di altri due figli.

2.- Contro l’indicata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputato L.F., deducendo due motivi di doglianza entrambi integrati da congiunte violazioni della legge penale (sostanziale e processuale) e da carenza e/o illogicità della motivazione dell’impugnata sentenza.

1. Con il primo motivo di ricorso (erronea applicazione dell’art. 570 c.p.) si sostiene che i giudici di appello avrebbero omesso di verificare l’effettiva esistenza di uno stato di bisogno dell’originario nucleo familiare dell’imputato (l’assistente sociale P.A.M. testimoniando un "normale tenore di vita" della ex moglie e delle tre figlie), sorretto anche da sussidi pubblici del Comune, in rapporto allo stato di incapacità economica del prevenuto (per carenza di lavoro) ed alla sua impossibilità di fronteggiare l’obbligo contributivo. Sotto quest’ultimo profilo la Corte di Appello avrebbe capovolto l’onere probatorio sullo stato di impossibilità economica dell’imputato, limitandosi ad osservare sbrigativamente che il suo stato di disoccupazione risulterebbe provato soltanto a partire dal 2006 (non, dunque, per il periodo oggetto di contestazione) e trascurando di considerare – per un verso – che la figlia E. nel periodo preso in considerazione dall’accusa avrebbe lavorato percependo la somma di Euro 18,00 al giorno e – per altro verso – che la moglie separata C. A. non può definirsi attendibile, avendo taciuto le forme di sostegno economico erogatele dal comune di (omissis).

Assume, infine, in via subordinata, il ricorrente che l’impugnata decisione ha violato l’art. 570 c.p. in relazione alla configurata continuazione ex art. 81 cpv. c.p., perchè l’omessa corresponsione dei mezzi di sussistenza di cui all’art. 570 C.P., comma 2, n. 2 integrerebbe un solo unitario reato anche quando riguardi una pluralità di componenti del nucleo familiare considerato. Con la conseguenza, quindi, che la pena inflitta avrebbe dovuto essere contenuta in più ridotta misura.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione del combinato disposto degli artt. 191 e 431 c.p.p. e art. 511 c.p.p., comma 4, per avere i giudici di merito utilizzato come fonte di prova a carico dell’imputato il contenuto dell’atto di denuncia-querela a suo tempo presentato dalla p.o. C.A., atto inserito nel fascicolo del dibattimento ed utilizzabile ai fini del solo controllo sulla procedibilità dell’azione penale, essendo precluso trarre da esso elementi di convincimento – come sarebbe avvenuto nel caso di specie – relativi alla ricostruzione storica della vicenda oggetto della contestata accusa.

3.- Il ricorso di ****** deve essere dichiarato inammissibile, vuoi per la manifesta infondatezza delle articolazioni dei motivi di censura, vuoi per loro coeva indeducibilità siccome afferenti al merito fattuale della regiudicanda (di cui propongono una rivisitazione alternativa che non scalfisce l’ampio spettro motivazionale delle due conformi sentenze di merito) ovvero a supposte violazioni di legge non già dedotte con i motivi di appello (art. 606 c.p.p., comma 3).

A. Il secondo motivo di ricorso, di natura processuale, pur muovendo dalla corretta premessa giuridica della inutilizzabilità dell’atto di querela come fonte probatoria della sussistenza del reato ascritto all’imputato (cfr., ex plurimis: Cass. 24.5.2000 n. 7832, ******, rv.

220578), si rivela manifestamente infondato perchè frutto di una fallace e travisata lettura della motivazione della sentenza di appello e di quella di primo grado. E’ vero che la decisione impugnata contiene un richiamo meramente accessorio alla querela proposta da C.A., ma è non meno vero che tale richiamo è privo di ogni concreta incidenza sul substrato valutativo della decisione, poichè questa è incentrata (al pari della confermata sentenza di primo grado) sulle univoche e coerenti dichiarazioni testimoniali direttamente rese in dibattimento dalla C., oltre che sulle concordi omologhe dichiarazioni di L.E. e dell’assistente sociale P.A.M.. Di tal che il detto richiamo alla querela (svolto al solo sommario fine di riscontrare la corrispondenza del narrato della donna con i denunciati fatti procedibili a querela della p.o.) non solo non ha acquisito alcun carattere di decisività o specifica significanza valutativa, ma neppure ha ricevuto alcun crisma di utilizzabilità probatoria nei termini erroneamente paventati dal ricorrente.

B. Quanto ai vari temi di censura addotti con il primo motivo di ricorso, è agevole innanzitutto rimarcare la palese erroneità (infondatezza) dell’assunto del ricorrente circa l’unicità del reato di cui all’art. 570 cpv. c.p., n. 2 riguardante più soggetti passivi (rilievo critico, per altro, non già sollevato con i motivi di appello), le Sezioni Unite di questa Corte regolatrice avendo statuito che la condotta di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in danno di più soggetti conviventi nello stesso nucleo familiare non configura un unico reato, ma una pluralità di reati in concorso formale o, ricorrendone i presupposti, in continuazione tra loro (Cass. S.U., 20.12.2007 n. 8413, Cass., rv. 238468).

Evidenziato, altresì, che il reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2 costituisce fattispecie autonoma di reato e non figura circostanziata rispetto a quello di cui al comma 1 del cit. articolo (Cass. Sez. 6, 6.11.2006 n. 41735, *******, rv. 235301), deve in ogni caso aggiungersi che la contestazione dell’art. 81 c.p. qualificante l’imputazione elevata nei confronti del L. pertiene alla violazione sia degli obblighi di assistenza familiare verso i componenti del suo originario nucleo coniugale-familiare (art. 570 c.p., comma 1), sia dell’obbligo di mantenimento verso gli stessi soggetti passivi di tale nucleo familiare (art. 570 c.p., comma 2, n. 2). Ad ogni buon conto, come si desume dalla confermata decisione di primo grado, la determinazione della pena inflitta al ricorrente è stata operata in termini per così dire unitari o unificati (cioè senza specifico computo di incrementi sanzionatori ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p.).

Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, poi, la sentenza di appello e la stessa. sentenza di primo grado offrono esaustiva e appagante risposta a tutte le osservazioni censorie sviluppate dal L., in parte rinnovate con l’odierno ricorso, in tema di materialità e di elemento soggettivo del reato di cui all’art. 570 cpv. c.p., n. 2, a realizzare quest’ultimo essendo sufficiente – è appena il caso di osservare – il dolo generico anche nel suo possibile palesamento di solo dolo eventuale.

In particolare la lamentata asserita mancanza di prova dell’elemento soggettivo del reato non ha ragion d’essere, sol che si rilevi che la sentenza di appello chiarisce idoneamente come non siano emersi dati di sorta asseveranti alcuna reale impossibilità ad adempiere del L., cui specificamente incombeva di fornire dimostrazione di segno contrario (v. Cass. Sez. 6, 15.2.2005 n. 10085, Pegno, rv.

231453: "In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, incombe all’interessato l’onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l’impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione").

Per quel che attiene alla pur sostenuta insussistenza probatoria dell’elemento materiale del reato, rappresentato dallo stato di bisogno delle persone offese (moglie separata e tre figlie minori), le notazioni del ricorrente si mostrano meramente assertive e all’evidenza infondate. Al riguardo è agevole considerare – in primo luogo – che nessuna incidenza può riconoscersi al dato per cui la C. e le figlie sono state supportate nel far fronte alle loro primarie esigenze di vita dai familiari della donna e da provvidenze pubbliche, atteso che – come chiarito da questa Corte regolatrice – in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare lo stato di bisogno e l’obbligo di contribuire al mantenimento, quanto meno dei figli minori, non vengono meno, qualora gli aventi diritti ricevano assistenza economica da terzi (cfr. Cass. Sez. 6, 1.12.2003 n. 715/04, ******, rv. 228262).

Posto che adeguatamente la sentenza di appello ha rimarcato l’assente dimostrazione di qualsiasi oggettiva impossibilità ad adempiere del L. (che, del resto, è in grado di prendersi economica cura di un altro nucleo familiare composto da tre persone), ineccepibili si mostrano le considerazioni delle concordi decisioni di merito sulla totale assenza di interessamento e di contribuzione finanziaria da parte dell’imputato nei confronti della sua originaria famiglia.

Merita osservare, da un lato, che lo stato di bisogno di un figlio minore avente diritto al mantenimento genitoriale, stato di bisogno in sostanza presunto dalla legge (e che integra la struttura della contestata fattispecie di cui all’art. 570 c.p., comma 2), non è vanificato o eliso dal fatto che alla erogazione dei mezzi di sussistenza provveda comunque l’altro genitore, persistendo per i figli minori l’obbligo del genitore di provvedere al loro mantenimento (cfr.: Cass. Sez. 6, 14.4.2008 n. 27051, *****, rv.

240558: "Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 l’obbligo di assicurare i mezzi di sussistenza ai figli di minore età grava su entrambi i genitori e permane indipendentemente dalle vicissitudini dei rapporti coniugali, nè l’assolvimento del predetto obbligo da parte di uno dei genitori o anche da altri congiunti esenta in alcun modo l’altro").

Conviene, d’altro lato e specularmente, ribadire che nella nozione penalistica di mezzi di sussistenza richiamata dall’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 – (diversa dalla più estesa nozione civilistica di mantenimento) debbono – nella attuale dinamica evolutiva degli assetti e delle abitudini di vita familiare e sociale – ritenersi compresi non più e non soltanto i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma altresì gli strumenti che consentano un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (ad esempio:

abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione). Mezzi, i primi e i secondi, da apprezzarsi – come è intuitivo – in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato.

Evenienze che nel caso del L. i giudici di merito valutano idonee ad avvalorare l’esistenza del contestato reato nelle sue componenti oggettive e segnatamente soggettive.

In conclusione l’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata non mostra lacune o illogicità di sorta. Di tal che l’affermazione di penale responsabilità del ricorrente L. F., uniformemente ritenuta dai giudici di primo e di secondo grado, è fondata su un corretto e lineare processo argomentativo corrispondente alla previa descrizione delle fonti probatorie esaminate ai fini della decisione e surrogato da esauriente risposta a tutti gli aspetti critici delineati avverso la sentenza di primo grado.

Alla dichiarata inammissibilità del ricorso segue per legge (art. 616 c.p.p.) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo determinare in Euro 1.000,00 (mille).

P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro mille alla cassa delle ammende.

Redazione