Corte di Cassazione Penale sez. VI 19/10/2009 n. 40502; Pres. Serpico F.

Redazione 19/10/09
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MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- All’esito delle indagini preliminari D.M.A. (poi deceduto nel corso del giudizio di primo grado) e P.G. erano tratti a giudizio per rispondere del delitto di concorso in concussione, perchè – il D.M. quale funzionario dell’ispettorato delle imposte dirette di Napoli incaricato di eseguire una verifica contabile e fiscale presso la società Star ****** srl con sede legale in (omissis), verifica iniziata il (omissis) il P., ispettore capo delle imposte dirette di Napoli e superiore gerarchico del D.M., in veste di istigatore della condotta criminosa materialmente attuata dal primo – costringevano M.V. (deceduto prima del giudizio dibattimentale), socio e gestore della società (formalmente amministrata dalla figlia *******) a promettere loro la somma di L. 120 milioni per porre fine alla verifica, senza far emergere presunte gravi irregolarità contabili e violazioni tributarie, foriere di pesanti sanzioni che erano gradualmente prefigurate al M. e ai suoi collaboratori come via via emergenti dalle operazioni di verifica.

Con sentenza in data 2.4.2003 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere affermava la sussistenza della condotta concussiva contestata agli imputati e, per l’effetto, dichiarava non doversi procedere nei confronti del D.M. per essere il reato estinto per morte dell’imputato e condannava P.G., concessegli le attenuanti generiche, alla pena di quattro anni di reclusione nonchè al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede in favore degli eredi della persona offesa M.V. costituiti parte civile (la moglie e i due figli).

Adita dall’impugnazione del P. e del P.G. (dolutosi della mancata indicazione in dispositivo della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, pur indicata in motivazione), la Corte di Appello di Napoli con l’epigrafata sentenza resa il 19.10.2006 ha integralmente confermato l’impianto ricostruttivo e valutativo degli eventi esposto nella sentenza di primo grado, giudicando infondate le censure delineate dall’appellante anche con riguardo alla corretta qualificazione dei fatti criminosi sotto il nomen iuris della concussione consumata (e non di una eventuale corruzione propria). Nondimeno la Corte sotto il profilo sanzionatorio, accogliendo un subordinato motivo di gravame dell’imputato, ha ritenuto l’esistenza del vincolo della continuazione tra il reato di concussione ascrittogli e i reati di concussione e di corruzione per cui il P. aveva riportato condanna alla pena di cinque anni di reclusione con sentenza irrevocabile della Corte di Appello di Napoli in data 7.6.2002 (trattandosi di fatti della stessa specie criminosa commessi con analoghe modalità in un medesimo arco temporale). Per tanto ha irrogato in misura incrementale su tale pena di cinque anni di reclusione l’ulteriore pena di un anno e nove mesi di reclusione (pena complessiva finale sei anni e nove mesi di reclusione), ha dichiarato l’imputato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e lo ha altresì condannato alla rifusione delle ulteriori spese di giudizio sostenute dalle parti civili.

2.- Le due concordi sentenze dei giudici di merito, che – come da stabile indirizzo di questa S.C. – vanno lette in sinergica complementarietà in quanto costituenti un unitario compendio probatorio e valutativo, radicano l’affermata responsabilità del P. su una serie di elementi di prova ritenuti concordanti e univoci nella loro efficacia rappresentativa del concorso criminoso dell’imputato nel reato di concussione per costrizione contestatogli. Elementi come di seguito sintetizzabili.

– Dichiarazioni testimoniali di M.P., direttore della società Star srl, e di C.F., già socio della società e poi distaccatosene dopo il divorzio dalla sorella del M. (che lo delega a seguire gli sviluppi della verifica fiscale, essendosi in passato occupato dell’amministrazione contabile della società), con i quali l’ispettore D.M. assume i primi contatti, fin dall’inizio della verifica manifestando loro la rilevanza delle irregolarità (mai per altro verbalizzate) e facendo capire senza mezzi termini che la società può definire la situazione con un congruo versamento in denaro destinato a se stesso e ad altri funzionari del suo ufficio ispettivo (parla di sei/sette persone). Al C., che cerca di capire quale sarebbe l’importo della pretesa dazione, il D.M. – ancora minacciando il possibile rilevamento di gravi irregolarità – chiarisce che la società non può pensare di cavarsela con una decina di milioni. In successivo incontro ((omissis)) con il M., che avverte di un "ingarbugliarsi della situazione" dovendo egli estendere la verifica ad accertamenti patrimoniali nei confronti dei soci della Star srl, D.M. chiarisce che occorrerà "qualche centinaio di milioni".

– Dichiarazioni testimoniali della persona offesa M.V., intrinsecamente attendibili e comunque riscontrate dalle altre testimonianze (ivi inclusa quella dell’ufficiale di p.g. operante), rese alla p.g. il (omissis) (dopo aver deciso con il C. di non accedere alla intimidazioni e alla richiesta concussiva del D.M.), dichiarazioni ritualmente versate in atti ex art. 512 c.p.p. per il sopravvenuto decesso del M., il quale in particolare riferisce – da un lato – dell’incontro avvenuto il (omissis) su insistente richiesta del D.M. presso il suo ufficio della Star srl, presente anche il C.; incontro cui assiste non visto il maresciallo dei Carabinieri V.F. (che predispone un servizio di registrazione dei dialoghi, poi non interamente trascrivibili per la cattiva qualità del materiale audiofonico); nella circostanza, partendo da una iniziale richiesta di L. 250 milioni, il D.M. accetta la dazione di L. cento milioni più un "premio" personale di L. venti milioni a lui destinato, ben chiarendo che la prima somma dovrà essere divisa con altri colleghi e con il suo capufficio P.G., esplicitamente avvertendo che – al contrario delle assicurazioni rese al M. dallo stesso P. – anche costui pretenderà la sua parte. Da un altro lato il M. riferisce di aver incontrato nei giorni precedenti il P., presentatosi presso la società per controllare a suo dire l’operato dei verificatori, con il quale scopre di aver avuto in gioventù rapporti di conoscenza e al quale espone la situazione determinata dalla verifica in corso, chiedendogli se la stessa non possa sospendersi: situazione sulla quale P. afferma di non poter intervenire, apertamente invitando il M. a mettersi d’accordo con il D.M. con chiara allusione alla necessità di concordare il versamento di denaro richiesto dall’ispettore, pagamento in ordine al quale garantisce di rinunciare "per amicizia" alla propria parte. In tal modo dimostrando il P. di essere perfettamente partecipe (piuttosto che semplice ispiratore e concorrente morale) del progetto concussivo in corso di realizzazione, progetto che si rivela essere il solo motivo della sua visita presso la Star srl al palese scopo di accrescere nel M. e nei suoi collaboratori lo stato di preoccupazione e di pressione psicologica già instaurato dal D.M. ed, anzi, esplicitamente accrescendolo – con personale diretto contributo causale alla produzione dell’evento lesivo – così da far apparire inevitabile l’indebito pagamento della somma.

– Dichiarazioni testimoniali del maresciallo V.F. che ha personalmente ascoltato (al pari del C.) la chiamata in correità del P. da parte del D.M. nel corso dell’incontro svoltosi con M. e C. il (omissis) con l’esplicita e ripetuta indicazione della partecipazione del P. agli "utili" della concussione, lo stesso D.M. avvertendo che soltanto "per finta" il P. ha detto di voler rinunciare alla sua quota.

– Totale inattendibilità della dichiarazioni dell’imputato D.M., che ha affermato l’estraneità del P. alla sua condotta criminosa (cui avrebbe millantato la l’adesione del P.), trattandosi di dichiarazioni puramente strumentali rispetto alla tesi difensiva del D.M. di essere responsabile al più di una semplice corruzione (se non vittima dei tentativi di corruzione del M.) e non di concussione (sentenza di appello, p. 7: "L’interesse di tale imputato era quello di presentare se stesso all’A.G. come vittima di un tentativo di corruzione e in tale ottica sarebbe risultato del tutto illogico raccontare di aver negoziato una quota anche per il capo dell’ufficio").

3.- Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di P.G., deducendo due profili di censura imperniati su vizi di violazione di legge e di illogicità e contraddittorietà della motivazione, come di seguito riassunti per gli effetti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 1. Erroneamente e in contraddizione con se stessa la Corte di Appello disquisisce della chiamata in correità del P. ad opera del D.M.. Non è individuabile alcuna chiamata in correità, dal momento che la stessa Corte di Appello riconosce che, nel corso dei suoi interrogatori, il D.M. ha escluso il concorso criminoso del P. e, quindi, non lo ha mai chiamato in correità. Le accuse nei confronti del P. attribuite al D.M. provengono non dal deceduto coimputato ma dalle sole dichiarazioni rese dal M.. L’accusa nasce, per ciò, soltanto dalle parole del M., che – non potendo essere elemento di un autoriscontro – non assurgono a dignità di fonte di prova ed in ogni caso non sono idonee ad accreditare un giudizio di concorrente responsabilità del P..

2. Violazione ed erronea applicazione degli artt. 110 e 317 c.p.. Il concorso criminoso di un terzo soggetto nel reato di concussione implica che sia raggiunta la prova della consapevolezza da parte del terzo delle concrete ed effettive modalità dei comportamenti assunti dal pubblico ufficiale presunto concussore al fine di conseguire l’indebita remunerazione. Su tale pur decisivo profilo la Corte di Appello non ha ritenuto di soffermarsi, sostenendo semplicisticamente che gli atti evidenzierebbero un illecito accordo tra il defunto D.M. e il P., di per sè sufficiente per considerare provata la responsabilità concorsuale dello stesso P..

4.- Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza delle addotte doglianze, non disgiunta da profili di genericità delle medesime censure, avulse da una reale lettura critica delle ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione di appello confermativa della condanna di primo grado e, in definitiva, ripetitive di prospettazioni censorie già prese in esame e motivatamente disattese dalla stessa sentenza di primo grado del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

A. Palesemente privo di pregio è il rilievo sulla inesistenza di una chiamata in correità proveniente dal D.M.. Soltanto una superficiale lettura delle due sentenze di merito può impedire di constatare che, nell’affermare la responsabilità concorsuale del P. per il reato di concussione ascrittogli, la sentenza di appello e la stessa sentenza di primo grado hanno a lungo indugiato sui contenuti dialogici dell’incontro tra M. e C. da una parte e D.M. dall’altra, compiutamente analizzando il contegno espositivo tenuto nella circostanza dal D.M., ivi incluso il suo apparente "fastidio" per aver appresso dallo stesso P. di essere stato contattato dal M. e, dunque, per essere stato in un certo senso scavalcato dal M.. Fastidio puramente scenico che malcela, ex adverso, il pieno accordo criminoso esistente tra il D.M. e il P. secondo un prestabilito copione criminoso. Le parole pronunciate dal D.M. il (omissis) integrano senza incertezze un univoco contesto accusatorio nei confronti del P. (lo si voglia definire o non come chiamata in correità in senso tecnico), perfettamente percepito non soltanto dalla p.o. M.V., ma anche dal testimone C.F. e dal maresciallo V., che ne hanno narrato nei medesimi termini descrittivi impiegati dal M.. E che tale contesto accusatorio resista alle successive dichiarazioni dell’imputato D.M. in merito alla presunta estraneità criminosa del P. è evenienza che l’impugnata sentenza ha dimostrato, con logico ed esauriente percorso valutativo, essere avvalorata – oltre che dal ricordato giudizio di strumentalità espresso sulla tesi difensiva del D.M. (tendente ad escludere la propria responsabilità per concussione) – dallo specifico e ben delineato contegno assunto dallo stesso P. durante la sua insolita visita (rispetto a normali canoni di svolgimento di una verifica fiscale) presso la sede della società in verifica al solo scopo di esortare il proprietario M. a raggiungere un accordo con l’ispettore D.M. per versargli una somma di denaro idonea per far chiudere la verifica senza conseguenze deleterie per la società e il suo assetto proprietario.

B. Non sottacendo l’ardua intelligibilità della censura articolata sull’intervento del P. quale terzo concorrente" nel reato proprio di concussione, che il P. non è ai atto un soggetto extraneus rispetto alla concussione, intervenendo nella realizzazione de progetto criminoso costrittivo nella sua peculiare veste di pubblico ufficiale (ispettore dell’ufficio delle imposte dirette) e ad esso progetto partecipando con diretti comportamenti personali, e agevole osservare che la sentenza della Corte di Appello di Napoli e interamente incentrata sull’analisi del ruolo svolto dal ricorrente nella vicenda per cui è causa. Analisi che esaurisce rassegnando la conclusione, logica e coerente nonchè aderente al compendio delle risultanze processuali, della raggiunta prova della partecipazione criminosa, morale e materiale (per azione diretta), del P. alla concussione consumata in pregiudizio di M.V..

Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 (mille).

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Redazione