Corte di Cassazione Penale sez. VI 11/2/2011 n. 5317

Redazione 11/02/11
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(omissis)
Motivi della decisione
1. Con ordinanza del 5 luglio 2010 il Tribunale di Verona, in funzione di giudice d’appello, confermava il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari aveva respinto la richiesta, avanzata dal sindaco del Comune di Fiesole, di revoca del sequestro preventivo di due apparecchiature T-red disposto nell’ambito del procedimento iniziato contro A. S., indagato per il delitto previsto dall’art. 356 cod. pen., per avere fornito a numerosi Comuni apparecchi per la rilevazione automatica di infrazione al rosso semaforico per la cui produzione e commercializzazione aveva fraudolentemente ottenuto l’approvazione  ministeriale prevista dall’art. 192 reg. cod. strad.
L’accusa postulativa che i frequenti errori di rilevazione compiuti dai T-red fossero dovuti a un vizio della scheda relè preposta alla trasmissione del segnale semaforico alle telecamere di ripresa e che la frode fosse stata perpetrata nell’omettere di sottoporre il relè al controllo degli organi tecnici del Ministero dei Trasporti.
La difesa del Comune di Fiesole, acquirente di due apparecchi T-red finiti sotto sequestro, chiedeva la revoca del provvedimento cautelare, producendo come elemento nuovo degno di valutazione, il parere 17.12.2009 del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che, appositamente interpellato dal Ministero dei Trasporti, rispondeva che il collegamento tra apparecchiatura e impianto semaforico non costituiva parte integrante del sistema e, quindi, non era assoggettabile ad approvazione.
I giudici di merito disattendevano l’anzidetto parere, osservando che il collegamento tra l’apparecchiatura e il semaforo era essenziale per il buon funzionamento del sistema e, quindi, essendone parte integrante, avrebbe dovuto essere sottoposto anch’esso all’approvazione. Pertanto negavano la restituzione.
Contro la decisione ricorre il Comune di Fiesole, che denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del fumus delicti. Rammentato che il Ministero dei Trasporti, sentito il parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, aveva confermato la legittimità dell’approvazione, deduce:
– sotto il profilo oggettivo, che il giudice a quo ha illegittimamente disapplicato il decreto ministeriale che, essendo espressione della discrezionalità tecnica dell’autorità amministrativa e avendo per effetto l’ampliamento della sfera giuridica del soggetto interessato, non poteva essere sindacato dal giudice ordinario;
– sotto il profilo soggettivo, che l’indagato aveva omesso di sottoporre la scheda relè alla verifica ministeriale nella convinzione – peraltro convalidata dallo stesso Ministero dei Trasporti – che quella verifica non fosse necessaria in quanto il dispositivo di collegamento non rientrava nella funzione tipica dell’apparecchiatura.
2. Il ricorso è fondato. E’ opportuno premettere che, per integrare il reato di cui all’art. 356 cod. pen., non è sufficiente il semplice inadempimento del contratto, ma occorre un quid pluris rappresentato dalla malafede contrattuale e, dunque, la presenza di un espediente malizioso o di un inganno tali da far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti (…). Esempio emblematico di frode in pubbliche forniture è la consegna di aliud pro alio, che si verifica non solo quando la cosa sia diversa per genere o specie da quella pattuita, ma anche quando presenti difformità qualitative intrinseche tali da renderla inidonea alla funzione economico-sociale stabilita in contratto.
Il delitto nella fattispecie addebitato individua per l’appunto la commissione della frode nella fornitura di aliud pro alio, sull’assunto che gli apparecchi T-red fossero muniti soltanto in apparenza dell’approvazione ministeriale, atteso che il produttore l’avrebbe ottenuta con l’inganno, omettendo deliberatamente di sottoporre all’esame degli organi tecnici del Ministero un componente fondamentale dell’apparecchiatura (id est la scheda relè), che era la causa dei malfunzionamenti riscontrati.
Per meglio apprezzare l’infondatezza dell’accusa, si rammenta che, dopo il sequestro degli apparecchi t-red eseguito su tutto il territorio nazionale, il Ministero dei Trasporti ha avviato una verifica tecnico-amministrativa per valutare la correttezza della procedura che si era conclusa con l’approvazione del prototipo dell’apparecchio in questione e, per scrupolo, ha chiesto al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici di chiarire se il concetto di prototipo da sottoporre all’approvazione prevista dall’art.  192 reg. cod. strad. consideri l’apparecchiatura completa di tutte le componenti necessarie al suo funzionamento nelle varie installazioni possibili oppure l’apparecchiatura nella sua configurazione invariante, che concentra le funzioni essenziali, lasciando aperti tutti quegli adattamenti o connessioni definibili in base alle condizioni locali di impiego, di volta in volta oggetto di possibili modificazioni.
Il Consiglio Superiore, con parere del 17.12,2009, rispondeva che il concetto di prototipo andava definito applicando il criterio di identità funzionale sostanziale e perciò optava per la seconda – più restrittiva – accezione.
Il Ministero dei Trasporti, attenendosi al cennato parere, ha ribadito che l’interfaccia con l’impianto semaforico – costituita, nella specie, da una scheda relè – non faceva parte integrante dell’apparecchio e non era quindi soggetta alla procedura di approvazione e, pertanto, confermava la validità del decreto di approvazione del T-red a suo tempo emesso (il 27.10.2005).
Orbene, l’esito della verifica amministrativa ha tolto fondamento alla tesi accusatoria, perché ha definitivamente chiarito che la scheda relè, costituendo una delle possibili modalità di collegamento dell’apparecchio al semaforo, rappresentava un elemento accessorio che non occorreva sottoporre a controllo per l’approvazione.
Il mancato controllo della scheda non fu dunque dovuto né a frode né ad errore, ma alla ragionata convinzione dell’autorità amministrativa che l’accertamento tecnico destinato a verificare la bontà degli apparecchi in questione dovesse riguardare il dispositivo “nella sua configurazione invariante”, con esclusione dei relativi accessori. Quindi l’accusa, fondata sul presupposto che gli apparecchi venduti ai Comuni, essendo accompagnati da un’attestazione di conformità a un prototipo approvato con l’inganno, avrebbero formato oggetto di una fornitura pubblica di cosa diversa da quella pattuita e, quindi, fraudolenta, è venuta a cadere.
A tenerla in piedi non vale obiettare – come ha fatto l’ordinanza impugnata – che la scheda relè, essendo necessaria per il buon funzionamento dell’apparecchio, avrebbe dovuto anch’essa essere sottoposta all’approvazione. A prescindere dal rilievo che compito dell’amministrazione era quello di esaminare l’attitudine del nuovo apparecchio all’accertamento automatico delle infrazioni al rosso semaforico, donde la non rilevanza degli elementi fungibili che ne assicuravano il collegamento con l’impianto semaforico, i quali, pur essendo necessari per il funzionamento dell’apparecchio, non per questo ne diventavano parte essenziale, l’opinione espressa nell’ordinanza impugnata, una volta appurato che il decreto di approvazione non era stato ottenuto con la frode e che, quindi, non era frutto di un’attività delittuosa, rappresenta un’indebita invasione nella sfera di competenza esclusiva riservata all’autorità amministrativa, non potendo il giudice ordinario valutare – salvo i casi, qui non ricorrenti, di lesione di un diritto soggettivo o di illiceità penale – la legittimità di un atto amministrativo neppure incidenter tantum, né disapplicarlo (…).
Tuttavia, volendo pure per un momento accettare l’opinione del giudice a quo sulla necessità che l’approvazione ministeriale dovesse comprendere anche la famosa scheda relè, la decisione adottata sarebbe comunque errata, perché la pretesa, parziale illegittimità del decreto di approvazione, non essendo dovuta a un fatto o atto illecito che abbia viziato la formazione della volontà della pubblica amministrazione, ma derivando – in tesi – da un mero errore di interpretazione della norma di legge, non potrebbe integrare quella frode che costituisce elemento essenziale del delitto per cui si procede.
In conclusione, la verifica amministrativa effettuata dopo l’esecuzione del sequestro ha dissipato i sospetti sulla sussistenza della frode ipotizzata e, quindi, è svanito il fumus delicti che costituisce l’indispensabile presupposto giustificativo del provvedimento cautelare. L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio e le apparecchiature in sequestro vanno restituite all’avente diritto.

P.Q.M.
La Corte di cassazione annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone la restituzione al Comune di Fiesole di quanto in sequestro.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc. pen.
(omissis)

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