Corte di Cassazione Penale sez. VI 10/9/2009 n. 35149; Pres. De Roberto G.

Redazione 10/09/09
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FATTO

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Genova dichiarava inammissibile, in quanto non corredato da motivi, l’appello proposto personalmente da A.A. avverso la sentenza in data 1 febbraio 2000 del Tribunale di Genova con la quale egli era stato condannato alla pena di anni tre di reclusione perchè responsabile del reato continuato di cui all’art. 572 c.p. (capo A: maltrattamenti in danno della figlia minore An. e della moglie E. F.; in (omissis)), artt. 582 e 585 c.p. e art. 577 c.p., comma 2 (capo B: lesioni personali volontariamente cagionate alla moglie; in (omissis)), artt. 582 e 585 c.p., art. 577 c.p., comma 1, n. 1 (capo C:

lesioni personali volontariamente cagionate alla figlia minore; in (omissis)).

Osservava la Corte di appello che la prospettazione da parte della difesa di una situazione di caso fortuito o di forza maggiore che aveva impedito la presentazione dei motivi di impugnazione non era confortata da alcuna prova.

Ricorre personalmente per cassazione l’imputato, che denuncia l’erroneo mancato riconoscimento di una situazione di caso fortuito o di forza maggiore in relazione alla richiesta di rimessione in termini per la presentazione dei motivi di appello ex art. 175 c.p.p., deducendo che tale omissione era dovuta al comportamento negligente del precedente difensore di fiducia, che, contrariamente a ogni sua aspettativa, non si era attivato; situazione di mancata difesa, questa, che era stata puntualmente documentata nella richiesta di rimessione in termini e che avrebbe dovuto condurre all’accoglimento della richiesta stessa, alla luce dei novellati art. 111 Cost. e art. 175 c.p.p. e della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

DIRITTO

Ad avviso della Corte il ricorso è fondato.

E’ documentato in atti che l’A., detenuto, presentò all’Ufficio Matricola della Casa Circondariale ove era ristretto, in due riprese, dichiarazione di appello riservando i motivi al difensore di fiducia avv. *****************, che l’aveva assistito in primo grado.

Più precisamente, una prima dichiarazione di appello, con riserva dei motivi al predetto difensore, venne proposta dall’imputato in data 4 novembre 1999, ritenendo egli, non comparso, che il giudizio di primo grado fosse stato in sua assenza definito in quella udienza;

e, successivamente, in data 7 febbraio 2000, dopo la udienza conclusiva del 1 febbraio, altra dichiarazione di appello, con analoga riserva dei motivi, venne proposta dallo stesso, che anche in questa occasione aveva rinunciato a comparire.

Il ricorrente sostiene che i motivi non vennero presentati per mancata attivazione del predetto difensore, presente anche nel giudizio di appello, che, da lui interpellato, aveva comunicato di ritenere che non fossero decorsi i termini di impugnazione, non essendo stato notificato l’avviso di deposito della sentenza;

adempimento che però all’evidenza non doveva essere espletato, ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 2, lett. c), dato che la sentenza venne depositata nei termini previsti dalla legge: infatti la sentenza, pronunciata il 1 febbraio 2000, venne depositata il 10 febbraio successivo, sicchè dal quindicesimo giorno dalla data della pronuncia (v. art. 544 c.p.p., comma 2) decorreva il termine di impugnazione, senza necessità di alcuna formalità di avviso di deposito.

Nella sentenza impugnata la Corte di appello, senza prendere posizione circa la configurabilità di una situazione di caso fortuito o di forza maggiore, osserva che "a fronte della prospettazione di una situazione di caso fortuito o di forza maggiore, la difesa dell’imputato non è stata in grado di indicare alcuna prova".

Va tuttavia notato che nella richiesta di restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p., l’imputato aveva precisato le circostanze di fatto sopra indicate, in particolare sottolineando che la sua volontà di proporre gravame era ben nota all’avv. ********, il quale, essendogli state chieste poi spiegazioni circa la mancata presentazione dell’atto di appello, gli aveva comunicato che il termine per impugnare non era decorso, non essendogli stato notificato l’avviso di deposito della sentenza di primo grado.

Queste circostanze avrebbero potuto essere verificate dalla Corte di appello, nell’ambito dei poteri di cognizione connessi alla procedura di restituzione nel termine.

Esse, se sussistenti, integravano un caso di mancata assistenza difensiva, posto che, secondo le allegazioni di parte, la inerzia del difensore non derivava da una sua ragionata scelta processuale, ma da una ignoranza delle regole elementari in tema di decorrenza dei termini di impugnazione.

Nel caso di specie, dunque, la mancata proposizione dell’atto di appello non sarebbe stata l’effetto di incuria o negligenza professionale, che potendo di norma essere prevedibile, ricade processualmente sulla parte assistita (v. fra le altre, proprio in tema di restituzione nel termine, Cass., Sez. un., 11 aprile 2006, ***********; Cass., Sez. 3, 27 marzo 1969, Jagata; Cass., Sez. 1, 10 giugno 1968, ****; Cass., Sez. 5, 29 gennaio 1968, *********); ma, sempre in tesi, di una marchiana ignoranza di basilari regole in tema di decorrenza dei termini di impugnazione, che qualsiasi abilitato alla professione legale, esercitante nel settore penale, deve conoscere; sicchè può dirsi che, se fossero veri i fatti esposti, l’imputato potrebbe non avere avuto alcuna possibilità di prevedere una simile radicale ignoranza della legge processuale penale da parte del professionista che aveva accettato il suo patrocinio e al quale egli aveva (reiteratamente) demandato la proposizione dell’atto di appello.

Non può pertanto condividersi quella parte della giurisprudenza secondo cui il mancato o inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell’incarico di proporre impugnazione, "a qualsiasi causa ascrivibile", non è idoneo a realizzare l’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore che legittimano la restituzione nel termine; perchè se è vero che incombe all’imputato l’onere di scegliere un difensore professionalmente valido e di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito (Cass., Sez. 2, 11 novembre 2003, *****;

Cass., Sez, 1, 24 aprile 2001, Bekhit; Cass., Sez. 5, 1 febbraio 2000, *******), non può pretendersi che egli, nell’effettuare la scelta del difensore, verifichi previamente (senza peraltro possedere le relative cognizioni culturali) la sua padronanza di ordinarie regole di diritto che dovrebbero costituire il bagaglio tecnico di qualsiasi soggetto legittimato alla professione forense attraverso il superamento dell’esame di Stato.

La situazione rappresentata potrebbe così corrispondere alla ipotesi di caso fortuito, che, secondo la giurisprudenza, è integrata appunto da un dato della realtà imprevedibile che soverchia ogni possibilità di resistenza e di contrasto (v. per tutte Cass., Sez. un., ric. ***********, cit.; nonchè Corte Cost., sent. n. 101 del 1993).

Va poi osservato, che, secondo la giurisprudenza CEDU, il giudice nazionale ha il dovere di restaurare i diritti processuali fondamentali dell’imputato quando le carenze difensive siano manifeste e siano segnalate alla sua attenzione (v. sentenze 9 aprile 1984, ***** c. Italia; 24 novembre 1993, ********** c. Svizzera; 27 aprile 2006, ******* c. Italia; 18 gennaio 2007, Hany c. Italia); e al giudice nazionale è fatto obbligo di applicare e interpretare la norma interna in modo conforme alla CEDU, alla luce della giurisprudenza della Corte europea.

In conclusione, la Corte di appello si è sottratta al dovere di accertare se i fatti allegati fossero corrispondenti a verità e se essi integrassero una situazione di caso fortuito, tale da fondare la richiesta di restituzione nel termine per proporre appello.

La sentenza impugnata va pertanto annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova, che procederà a nuovo giudizio circa i presupposti della restituzione nel termine per impugnare avanzata dall’imputato, secondo i principi sopra esposti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Genova per nuovo giudizio.

Redazione