Corte di Cassazione Penale sez. V 8/10/2008 n. 38345; Pres. Nardi D.

Redazione 08/10/08
Scarica PDF Stampa
OSSERVA

1. M.R., ricoverata nel reparto di ginecologia dell’ospedale di (omissis), il (omissis) fu sottoposta dal dr. G.N. a laparoscopia operativa e, senza interruzione di continuità, a salpingectomia che determinò l’asportazione della tuba sinistra.

L’intervento demolitorio risultò essere stata una scelta corretta ed obbligata, eseguito nel rispetto della lex artis e con competenza superiore alla media, ma, secondo la prospettazione accusatoria, senza il consenso validamente prestato dalla paziente, informata soltanto della laparoscopia.

Procedutosi contro il G. per lesioni volontarie aggravate, il giudice di primo grado lo riteneva responsabile di violenza privata, così qualificato il fatto, ma il giudice d’appello, con la sentenza indicata in epigrafe, ha reputato contraddittoria e insufficiente la prova in ordine all’acquisizione del consenso informato della M., sicchè, esclusa, da un lato, la ricorrenza dell’esimente dello stato di necessità e respinta, dall’altro, la tesi difensiva secondo cui è lecito ogni intervento medico compiuto in mancanza di espresso dissenso, ha rilevato l’intervenuta prescrizione del reato, revocando le statuizioni civili, disposte in prima istanza, stante l’assenza di una prova idonea circa la commissione del fatto.

Ricorrono per cassazione il G. e la M..

L’imputato propone tre motivi di impugnazione, illustrati anche da una successiva memoria, con cui, in succinto, lamenta:

– mancata adozione di una formula di proscioglimento ampia nel merito, che si impone pure in presenza di un quadro probatorio insufficiente e contraddittorio;

– mancata assunzione di una prova decisiva, in riferimento all’invocata scriminante dello stato di necessità;

– erronea applicazione degli artt. 54, 59 e 610 c.p..

La parte civile si duole della revoca delle statuizioni civili, deducendo inosservanza di legge e vizi motivazionali, per essere stato disatteso un dato fattuale certo (l’omessa acquisizione del consenso informato, accertata attraverso le deposizioni della persona offesa e dei suoi familiari, ritenute dalla corte stessa pienamente attendibili) con il ricorso ad una mera presunzione (quella desunta dalla ‘prassi informativà di cui ha parlato un’infermiera) e ad un elemento sicuramente insufficiente (tratto dalla deposizione dell’aiuto medico).

2. E’ pregiudiziale la risoluzione del quesito se abbia o meno rilevanza penale, e, nel caso di risposta affermativa, quale ipotesi delittuosa configuri, la condotta del sanitario che, in assenza di consenso informato del paziente, sottoponga il paziente stesso ad un determinato trattamento chirurgico nel rispetto delle regole dell’arte e con esito fausto.

Non vi è al riguardo unanimità di vedute nella giurisprudenza di questa Corte, come pure in dottrina.

– Sotto il primo aspetto, alla tesi del consenso del paziente quale indefettibile presupposto di liceità del trattamento medico, sicchè la mancanza del consenso (opportunamente ‘informatò) del malato o la sua invalidità per altre ragioni determina l’arbitrarietà del trattamento medico e la sua rilevanza penale (fatte salve le ipotesi in cui operi lo stato di necessità ex art. 54 c.p. o quelle previste dalle specifiche norme autorizzative di trattamenti sanitari obbligatori ai sensi dell’art. 32 Cost.) (Sez. 5, 21 aprile 1992, n. 5639, *******; Sez. 4, 11 luglio 2001, n. 35822, Firenzani; Sez. 4, 16 gennaio 2008, n. 11335, ****** e altri), si contrappone quella secondo cui, in ambito giuridico e penalistico in particolare, la volontà del paziente svolge un ruolo decisivo solamente quando sia espressa in forma negativa, essendo il medico – allo stato del quadro normativo attuale – "legittimato" a sottoporre il paziente affidato alle sue cure al trattamento terapeutico che giudica necessario alla salvaguardia della salute dello stesso anche in assenza di un esplicito consenso, con conseguente irrilevanza del problema dell’esistenza di eventuali scriminanti (consenso dell’avente diritto, stato di necessità, adempimento di un dovere), in quanto è da escludere "in radice" che la condotta del medico che intervenga in mancanza di informato consenso possa corrispondere alla fattispecie astratta d’un reato (Sez. 1, 29 maggio 2002, n. 26446, **********; Sez. 4, 27 marzo 2001, n. 36519, *********).

– Sotto l’altro aspetto, va detto che secondo una prima interpretazione, il medico che intervenga su un paziente in assenza di congruo interpello, risponde di lesioni volontarie, pur quando l’esito dell’intervento sia favorevole (sentenze "*******", "Firenzani").

Si afferma in proposito che il delitto di lesioni personali ricorre nel suo profilo oggettivo, poichè qualsiasi intervento chirurgico, anche se eseguito a scopo di cura e con esito ‘faustò, implica necessariamente il compimento di atti che nella loro materialità estrinsecano l’elemento oggettivo di detto reato, ledendo l’integrità corporea del soggetto, identificandosi così il concetto di malattia di cui all’art. 582 c.p. con qualsiasi alterazione anatomica, ed anche non funzionale, dell’organismo, e catalogandosi l’interesse protetto con quello dell’integrità fisica del soggetto, secondo un criterio che prescinde da riflessi od incidenze della condotta sul bene della salute dello stesso. E si sottolinea che il reato di lesioni sussiste anche quando il trattamento arbitrario eseguito a scopo terapeutico abbia esito favorevole, non potendosi ignorare il diritto del paziente di privilegiare il proprio stato attuale (così, in termini, sent. "*******"), precisandosi che il criterio di imputazione soggettiva dovrà essere, invece, di carattere colposo qualora il sanitario agisca nella convinzione, per negligenza o imprudenza, della esistenza del consenso (v. "Firenzani").

Altro indirizzo rileva, in contrario, che, anche quando sia arbitrario, il trattamento medico-chirurgico non è mai diretto a provocare una malattia, necessaria perchè sia configurarle un delitto di lesioni personali, ma semmai di rimuoverla (Sez. 4, 9 marzo 2001, n. 28132, Barese; "Huscer" cit.). In questa ottica l’arbitrarietà dell’intervento può assumere rilevanza penale solo come attentato alla libertà individuale del paziente e rendere, perciò, configurabile esclusivamente il delitto di violenza privata;

e non mancano soluzioni intermedie, secondo cui tale possibilità andrebbe riservata all’ipotesi di trattamento terapeutico non chirurgico ("Firenzani") o al trattamento chirurgico eseguito in presenza di espresso, libero e consapevole rifiuto del paziente ("**********").

3. Poichè l’evidenziato contrasto si ripercuote sulla decisione, si rimette il ricorso, a mente dell’art. 618 c.p.p., alle Sezioni Unite di questa Corte, per la necessaria risoluzione della questione.

P.Q.M.

Rimette il ricorso alle Sezioni Unite di questa Corte.

Redazione