Corte di Cassazione Penale sez. V 30/1/2009 n. 4329; Pres. Ferrua G.

Redazione 30/01/09
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OSSERVA

Una missiva apparentemente a firma di V.C., che denunciava un sistema di spartizioni degli appalti pubblici gestiti nella Provincia di (omissis), inviata al GIP presso il Tribunale di Perugia veniva da questi trasmessa al Pubblico Ministero, che disponeva indagini di Polizia Giudiziaria.

La informativa della Squadra mobile forniva elementi per un approfondimento degli accertamenti e venivano perciò disposte intercettazioni telefoniche delle utenze intestate a Ma.

G..

Gli elementi emersi da tali intercettazioni e da ulteriori informative della Polizia Giudiziaria legittimavano anche i decreti di proroga delle intercettazioni.

Dalle stesse emergeva un complesso sistema di spartizione degli appalti pubblici della Provincia di (omissis) mediante il pilotaggio delle gare, che vedeva coinvolti imprenditori e funzionari dell’Amministrazione provinciale.

In estrema sintesi si stabiliva chi dovesse vincere una determinata gara e si dava indicazione precisa alle imprese concorrenti di effettuare determinate offerte di ribasso in modo da garantire l’esito preventivato; l’impegno dei funzionari era ripagato adeguatamente.

In base agli esiti delle intercettazioni telefoniche di cui si è detto il GIP presso il Tribunale di Perugia emetteva ordinanza impositiva della misura cautelare degli arresti domiciliari anche nei confronti di C.S. e M.E. della srl Costruttori Edili per i delitti di turbativa d’asta in relazione alla assegnazione dei lavori relativi agli interventi di straordinaria manutenzione dell’area ex ******* (omissis) e di corruzione per avere dato un corrispettivo alla B.M. A. per il tramite di L.M..

Con la stessa ordinanza venivano applicate misure cautelari ad oltre trenta indagati.

Il Tribunale di Perugia, con ordinanza emessa in data 30 giugno 2008, dopo avere rigettato le eccezioni concernenti la pretesa inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, rigettava le istanze di riesame.

Con il ricorso per cassazione i coniugi C.S. e M.E. hanno dedotto:

1) la violazione ed erronea applicazione dell’art. 273 e ss. c.p.p. in punto esigenze cautelari e vizio di motivazione perchè il Tribunale non aveva tenuto conto della incensuratezza degli indagati, del fatto che non era emerso alcun elemento che potesse fare ritenere una condotta volta all’inquinamento delle prove, che la gravità era genericamente indicata con riferimento alla complessiva vicenda, ma non con riguardo alla posizione degli indagati ed, infine, che la C. aveva certamente una posizione marginale e presumibilmente nemmeno consapevole;

2) la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sia perchè la inutilizzabilità delle intercettazioni rendeva inesistenti gli indizi, sia perchè i ricorrenti erano stati citati soltanto indirettamente da terze persone, sia perchè la C. non era stata destinataria di alcuna chiamata telefonica, sia perchè il collegamento tra l’appalto ed i lavori eseguiti presso la villa del m., funzionario provinciale ma non responsabile del procedimento, appariva incoerente;

3) la violazione dell’art. 333 c.p.p., comma 3, art. 267 c.p.p., comma 1 e art. 271 c.p.p. in relazione all’originario decreto di intercettazione del (omissis) ed inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche perchè fondate su una denuncia anonima;

4) la violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3 e art. 271 c.p.p. con conseguente inutilizzabilità delle intercettazioni e vizio di motivazione sul punto perchè le operazioni di intercettazione erano state compiute con impianti esistenti presso la Procura della Repubblica, ma con ascolto remotizzato presso la sala di ascolto della Squadra Mobile di (omissis).

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da C.S. e M.E. non sono fondati.

Deve essere logicamente esaminato dapprima il terzo motivo di impugnazione concernente la pretesa inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche perchè fondate su una denuncia anonima.

La tesi dei ricorrenti non può essere condivisa.

La denuncia anonima non può probatoriamente essere utilizzata, ma non vi è dubbio che le notizie contenute nella stessa possano, ed anzi debbano per effetto del principio della obbligatorietà dell’azione penale, costituire spunti per una investigazione di iniziativa del Pubblico Ministero o della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi diretti a verificare se dall’anonimo possano ricavarsi gli estremi utili per la individuazione di una valida notitia criminis (Cass., Sez. 4, 17 maggio 2005 – 10 agosto 2005, n. 30313, CED 232021). Naturalmente in base alla denuncia anonima non possono essere compiuti atti, quali ad esempio le intercettazioni telefoniche, che presuppongono la esistenza di indizi di reato proprio perchè l’anonimo non è utilizzabile. Con più specifico riferimento al caso di specie, va detto che certamente è configurabile il delitto di calunnia anche nel caso, peraltro espressamente previsto dall’art. 368 c.p., in cui una falsa incolpazione sia contenuta in una denuncia anonima; ciò perchè, come si è detto, il pubblico ministero ha il dovere di svolgere atti di verifica al fine di acquisire una valida notitia criminis, con conseguente idoneità di tali atti a ledere l’interesse al corretto funzionamento della giustizia e l’interesse privato della persona offesa , qualora la denuncia si riveli priva di fondamento (vedi Cass., Sez. 6, 8 novembre 2006 – 14 dicembre 2006, n. 40763, CED 235473).

Quindi correttamente il Pubblico Ministero perugino di fronte ad una denuncia anonima, che ipotizzava gravi reati contro la Pubblica Amministrazione, ha operato una iscrizione nel registro a carico di ****** per il delitto di calunnia ed ha avviato le investigazioni utili sia ad individuare l’anonimo, sia a chiarire i fatti di cui lo scritto anonimo parlava.

Le investigazioni suddette, come precisato dal provvedimento impugnato, hanno prodotto la nota della Squadra Mobile di (omissis) del (omissis), che non ha individuato l’anonimo, ma ha fornito un quadro più completo della situazione denunciata con l’avvertenza che l’appalto di cui l’anonimo parlava stava per essere aggiudicato.

In siffatta situazione del tutto logicamente il Pubblico Ministero ha ritenuto che fossero ravvisabili due ipotesi di reato alternative, ovvero la calunnia, questa volta sostanziata da elementi pienamente utilizzabili, oppure gravi reati contro la pubblica amministrazione emergenti dalla citata nota della polizia giudiziaria. La ragionevole considerazione che l’anonimo, così bene a conoscenza di vicende concernenti la aggiudicazione di appalti, potesse essere in contatto telefonico con alcuni concorrenti alle gare in corso ha indotto il Pubblico Ministero a richiedere, ed il GIP ad autorizzare, intercettazioni telefoniche sulla utenza del Ma., imprenditore concorrente in numerose gare; lo consentivano sia i reati ipotizzati – calunnia – per i quali erano ravvisabili gravi indizi di reato, sia la urgente – imminente aggiudicazione di un appalto – ed indispensabile necessità di intervenire .

Gli esiti delle intercettazioni telefoniche sulla utenza del Ma. hanno fatto emergere gravi indizi di altri reati e, quindi, legittimamente l’Autorità Giudiziaria perugina ha prorogato le intercettazioni e ne ha disposte di nuove su altre utenze telefoniche.

Appare, infine, quasi superfluo rilevare che, per giurisprudenza costante, gli elementi desumibili da intercettazioni possono costituire validi indizi di ulteriori reati e che la eventuale inutilizzabilità, da escludere, per quel che si è detto, nel caso di specie, di una intercettazione non si trasferisce a quelle disposte in base agli esiti della prima, che, comunque, costituiscono una valida notitia criminis. Non merita censure, pertanto, l’attività di intercettazione eseguita dall’autorità giudiziaria di (omissis).

Infondato è anche il quarto motivo di impugnazione.

Come ha stabilito di recente (SS.UU. penali 20 giugno 2008 – 23 settembre 2008, n. 36359, *****, rv. 240395) la Suprema Corte a sezioni unite, con decisione che questo Collegio condivide, condizione necessaria per la utilizzabilità delle intercettazioni è che l’attività di registrazione, che, sulla base delle tecnologie attualmente in uso, consiste nella immissione dei dati captati in una memoria informatica centralizzata, avvenga nei locali della Procura della Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non rileva che negli stessi locali vengano successivamente svolte anche ulteriori attività di ascolto, verbalizzazione ed eventuale riproduzione dei dati così registrati, che possono dunque essere eseguite in remoto presso gli uffici di polizia giudiziaria.

Ciò essenzialmente perchè l’attività di riproduzione, e cioè di trasferimento su supporti informatici di quanto registrato mediante gli impianti presenti nell’ufficio giudiziario, è operazione estranea alla nozione di registrazione, la cui remotizzazione non pregiudica le garanzie della difesa, alla quale è sempre consentito l’accesso alle registrazioni originali.

Il secondo motivo di impugnazione poggia sul presupposto erroneo della inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni telefoniche, avendo i ricorrenti sostenuto che, eliminando gli elementi indiziari desumibili dalle intercettazioni non risultavano altri indizi a carico degli indagati.

L’assunto è errato per tutte le ragioni già esposte e ciò a prescindere dal fatto che a carico dei ricorrenti sono ravvisabili numerosi altri indizi puntualmente messi in evidenza dal Tribunale.

Il fatto che nelle intercettazioni i coniugi M. siano per lo più citati da terze persone non appare rilevante perchè i conversanti non sapevano di essere intercettati e, quindi, le loro parole appaiono particolarmente attendibili.

Inoltre l’affermazione non corrisponde del tutto a verità perchè vi sono conversazioni intercettate particolarmente significative intercorse tra il M. ed il faccendiere L., che era l’intermediario tra gli imprenditori e la funzionaria B..

Ebbene il Tribunale ha tratto i gravi indizi a carico dei ricorrenti dalle conversazioni intercettate e dall’esame dei documenti sequestrati; da tali elementi è emerso che anche l’appalto aggiudicato alla ditta degli indagati venne pilotato secondo lo schema sommariamente indicato nella parte narrativa, ovvero previi accordi degli imprenditori sulla spartizione dei vari appalti, accordi poi comunicati alla B. per la corretta esecuzione.

In questo quadro non ha nessun rilievo che il m., funzionario provinciale, non fosse il responsabile di quello specifico procedimento, essendo rimasto provato, come risulta dalla motivazione del provvedimento impugnato, che il m. era in contatto con la B. proprio per garantire che le decisioni degli imprenditori venissero realizzate.

Quanto, infine, al fatto che i lavori eseguiti presso la villa del m. non fossero in collegamento con l’appalto aggiudicato alla ditta dei ricorrenti, va detto che il Tribunale, sulla base di documenti sequestrati ai coniugi, ha messo in evidenza che siffatti lavori vennero eseguiti formalmente da un cittadino rumeno, ma in realtà dalla ditta degli indagati, i quali si fecero carico anche delle spese necessarie per l’acquisto dei materiali necessari. Del tutto logica è, pertanto, la motivazione dell’ordinanza impugnata, che, con precisione ha messo in evidenza i gravi indizi esistenti a carico degli indagati, i cui rilievi finiscono con il risolversi in inammissibili censure di merito.

Infine di merito sono i rilievi concernenti la pretesa insussistenza delle esigenze cautelari.

In effetti il Tribunale, dopo avere ricordato il complesso sistema di spartizione degli appalti, ha chiarito che anche i piccoli imprenditori si avvalevano del sistema creato ed erano ben a conoscenza dei meccanismi usati, cosicchè concreto era il rischio di una reiterazione di reati della stessa indole.

Inoltre il Tribunale ha chiarito che appariva necessario ascoltare numerose persone appartenenti agli stessi ambienti nei quali operavano gli indagati e, quindi, sussisteva un concreto pericolo di inquinamento probatorio.

Ebbene la motivazione del Tribunale sul punto appare immune da vizi logici, nè appare superabile con le considerazioni – sostanzialmente di merito – dei ricorrenti.

E’ appena il caso di ricordare, infine, che la affermata, dai ricorrenti, posizione marginale della C. è stata già presa in considerazione dal Tribunale, che ha osservato che non solo la C. era legale rappresentante della società, ma che la stessa venne coinvolta nella fase principale della operazione, ovvero nell’incontro finalizzato alla consegna del corrispettivo.

Per tutte le ragioni indicate i ricorsi debbono essere rigettati ed i ricorrenti condannati in solido a pagare le spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido a pagare le spese del procedimento.

Redazione