Corte di Cassazione Penale sez. V 27/3/2006 n. 10444

Redazione 27/03/06
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Motivi della decisione

***** è stato sottoposto a custodia cautelare in carcere con provvedimento del gip del Tribunale di Trento, per i reati di cui agli artt. 610, 612, 660, 615bis c.p.

Il Tribunale del riesame ha confermato, sulla scorta delle dichiarazioni della p.o., degli accertamenti di p.g. e delle foto, scattate col telefono cellulare dell’indagato, che ritraggono la querelante su di un autobus, donde la verosimiglianza della doglianza della stessa di essere stata fotografata all’interno del negozio ove lavora.

Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ha evidenziato che la p.o. D. è costretta a subire una vera persecuzione, che il T. attua con minacce, molestie e finanche violenza sessuale. Per tali reati, infatti, è stata di recente pronunciata sentenza ex art. 444 c.p.p.

Il giudice della libertà ha pure sottolineato che l’indagato ha violato la misura del divieto di dimora nell’ambito della Provincia di Trento, per porre in atto le sue vessazioni in danno della D..

– Ricorre personalmente il T., lamentando violazione di legge e vizio di motivazione:

a) Non v’è prova che egli abbia scattato foto dall’esterno della vetrina dell’esercizio ove lavora la querelante. In ogni caso, difetta un elemento costitutivo del reato di cui all’art. 615 bis c.p., poiché l’ambiente di lavoro non può essere considerato luogo di provata dimora, essendo aperto al pubblico.

L’avverbio “indebitamente” designa l’illecito procacciamento di notizie, ottenuto “penetrando in un ambiente cui l’accesso dei terzi è limitato”.

b) Erroneamente il Tribunale, richiamando i precedenti penali, ritiene che non sia concedibile il beneficio ex art. 163 c.p. Al contrario, esso potrà essere riconosciuto, poiché i fatti di cui al presente procedimento potranno essere avvinti in continuazione con quelli oggetto del procedimento definito, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., richiamato dal giudice del riesame.

c) Il Tribunale non ha fornito motivazione circa la possibilità di applicare misure meno rigorose.

Esso indagato non ha violato la misura del divieto di dimora, poiché questa gli fu notificata solo al momento dell’imbarco per l’Albania, suo paese natale.

– Le censure formulate sono infondate.

E’ da escludere che l’integrazione del delitto ipotizzato dall’art. 615 bis c.p. postuli l’intrusione fisica in uno dei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., poiché una tale condotta è sanzionata dal reato di violazione di domicilio. Al contrario, l’illecito gravato al T., punisce le intrusioni nel domicilio altrui, realizzate mediante insidiosi mezzi tecnici (strumenti di ripresa visiva o sonora) all’insaputa o contro la volontà di chi ha lo “ius excludendi”.

Il legislatore sanziona, così, le incursioni abusive nella vita privata altrui, fissate con strumenti tecnici suscettibili di riprodurre la violazione di ambiti riservati e preclusi all’osservazione indiscreta dei terzi. Né può dubitarsi che la lesione della riservatezza possa consumarsi, con le illecite interferenze, anche nei locali ove si svolge il lavoro dei privati (studio professionale, ristorante, bar, osteria, negozio in genere). Le facoltà di accesso da parte del pubblico non fa venir meno nel titolare il diritto di escludere singoli individui non autorizzati ad entrare o a rimanere.

– Non sussiste alcun vizio di motivazione: la persecuzione di cui è vittima la D. denota il carattere torbidamente ossessivo della condotta del T., che capziosamente tende a sminuire la propria responsabilità, discettando anche del “quantum” di aumento della pena a titolo di continuazione, adagiandosi nella prospettiva di una sorta di beneficio che gli consente di reiterare lo stillicidio delle torture nei confronti della parte lesa.

L’elevata gravità della condotta, che si colora anche di improntitudine, la perdurante attività vessatoria e la personalità dell’indagato danno conto del pericolo di reiterazione criminosa, non infrenabile con una misura cautelare diversa da quella adottata.

Il ricorso va rigettato con la condanna del T. alle spese del procedimento. La cancelleria curerà gli adempimenti di rito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Manda alla cancelleria per la comunicazione ex art. 94 disp. att. c.p.p.

Così deciso in Roma, il 5.12.05.

Redazione