Corte di Cassazione Penale sez. V 25/7/2008 n. 31388; Pres. Fazzioli E.

Redazione 25/07/08
Scarica PDF Stampa

OSSERVA

La Corte di appello di Catania, con sentenza del 12.6.2007, in riforma della pronunzia di primo grado, ha dichiarato NDP per prescrizione del reato, confermando le statuizioni civili, nei confronti di C.S., imputato del delitto ex art 594 c.p., per avere indirizzato a B.T., persona a lui gerarchicamente subordinata, la frase: "lei non capisce un cazzo!".

Ricorre per cassazione il difensore e deduce violazione degli artt. 594 e 599 c.p., atteso che la frase, pronunziata all’esito di un’accesa discussione – nel corso della quale la B. aveva assunto atteggiamenti provocatori – non ha obiettiva potenzialità offensiva. In ragione dell’evoluzione dei costumi e del conseguente mutamento del linguaggio, la frase è semplicemente un equivalente rafforzativo della espressione, "lei non capisce nulla", che, riferita al contesto e alla natura dei rapporti tra C. e la sua subordinata (la quale, non ostante si assentasse sistematicamente dal lavoro, pretendeva di essere inserita in un piano programmatico del personale disponibile a prestare straordinario), è semplicemente rafforzativa del concetto subito prima espresso dall’imputato ("lei non ha compreso quello che lo ho scritto"). In ogni caso, se non si dovesse condividere il precedente assunto, è da rilevare che il fatto non sarebbe punibile ex art. 599 c.p., atteso il ricordato comportamento provocatorio della B..

Il ricorso è inammissibile perchè sostanzialmente tendente a una rivalutazione della effettiva potenzialità offensiva dell’espressione, la quale va certamente apprezzata nel contesto spaziale temporale e relazionale nella quale fu pronunziata. A tanto hanno provveduto i giudici del merito che hanno, tra l’altro, anche tenuto conto del rapporto gerarchico che legava il C. alla B., rapporto che avrebbe, oltretutto, dovuto indurre il primo a una attenta continenza espressiva.

A differenza di quanto avviene per, es., per quel che riguarda la diffamazione "mediatica" (a mezzo stampa, radio, televisione, internet ecc.), nella quale la espressione, in quanto oggettivata, è, entro certi limiti, apprezzabile – per quel che attiene alla sua astratta portata diffamatoria – anche dal giudice di legittimità, nel caso di ingiuria, quel che deve essere accertato (e valutato) è in effetti il complessivo "comportamento" dell’agente, comportamento che appunto si estrinseca in un contesto sociale storicamente definito, il quale è conoscibile solo dal giudice del merito.

Consegue condanna alle spese del grado e al versamento di somma a favore della Cassa ammende, somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di mille Euro a favore della Cassa delle ammende.

Redazione