Corte di Cassazione Penale sez. V 16/9/2009 n. 35880; Pres. Pizzuti G.

Redazione 16/09/09
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OSSERVA

Il giudice di pace di Vasto con sentenza 4.4.2008 assolveva M. L. dal reato di ingiuria aggravata con la formula "perchè il fatto non costituisce reato ex art. 598 c.p.".

All’avvocato M. era stato addebitato di avere – nell’arringa conclusiva del processo penale, celebrato in tribunale, a carico di A.A., imputata dei reati di cui agli artt. 612, 594 e 635 c.p. – offeso l’onore ed il decoro della persona offesa, D.S. A., affermando che questi aveva subito disavventure economiche e che perciò non poteva esser neppure proprietario di un appartamento, che aveva emesso una cambiale nei confronti dell’architetto R., intestata alla figlia A., senza poi onorarla e che aveva venduto un’auto intestata alla figlia per sottrarsi all’aggressione dei creditori, descrivendolo nel complesso quale soggetto inaffidabile dal punto di vista economico, senza che queste circostanze avessero attinenza con l’oggetto del processo. Hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Vasto ed il Procuratore generale presso la Corte d’appello dell’Aquila denunciando violazione della disposizione di cui all’art. 598 c.p.. Deducono – facendo proprie le doglianza prospettate dalla parte civile nella richiesta formulata ai sensi dell’art. 572 c.p. – che nella specie non poteva trovare applicazione l’esimente prevista dalla norma indicata, in quanto le offese proferite dall’avvocato M. non erano pertinenti all’oggetto della causa e si risolvevano in giudizi apodittici sulla persona offesa.

I motivi sono privi di fondamento ed i ricorsi devono esser rigettati. Va premesso che, per il riconoscimento della ed "immunità giudiziale", prevista dall’art. 598 c.p., è necessaria l’esistenza di un nesso logico tra le offese e l’oggetto della causa, donde solo gli insulti del tutto estranei a detto oggetto vengono ad integrare i reati di ingiuria o di diffamazione. Ciò premesso, deve rilevarsi che il decidente ha argomentato come nella specie le frasi pronunciate dall’avvocato, nel corso dell’arringa difensiva – lungi dal rivelarsi gratuite – si ponevano in rapporto di strumentalità con la tesi della difesa e pertanto rientravano nell’ambito di applicazione della scriminante in esame.

E’ stato infatti osservato che le espressioni contestate – se pur offensive – facevano parte della strategia posta in essere dal difensore dell’imputata, la quale appariva tesa anche "a verificare ed a mettere in rilievo l’attendibilità della persona offesa".

Trattasi di considerazioni ragionate in base alle quali il giudice di merito ha accertato, con apprezzamento coerente e quindi non censurabile in sede di legittimità, un collegamento logico – casuale tra le offese pronunciate dal difensore e l’oggetto del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi del P.G. e del P.M..

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