Corte di Cassazione Penale sez. V 16/9/2009 n. 35874; Pres. Nardi D.

Redazione 16/09/09
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MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 11 dicembre 2008 il Tribunale di Roma in composizione monocratica, confermando la decisione assunta dal locale giudice di pace, ha riconosciuto D.B.L. responsabile dei reati di ingiuria e lesione volontaria in danno della moglie C.F.V.L.; ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dal giudice di merito, il D. B. aveva pronunciato le espressioni "bocchinara, puttana, stronza", ritenute offensive per la C. anche se riferite alla di lei madre; aveva poi colpito la persona offesa con una testata alla bocca.

Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a tre motivi.

Col primo motivo il ricorrente denuncia errata applicazione dell’art. 120 c.p., per essersi ritenuta la C. legittimata a querelarsi sebbene le parole offensive fossero state rivolte alla madre della persona offesa, non presente al fatto.

Col secondo motivo lamenta la mancata applicazione dell’esimente della provocazione.

Col terzo motivo denuncia errata valutazione delle risultanze probatorie, con specifico riferimento alla deposizione del teste D.B.J., figlio delle parti.

In atti vi è una memoria della parte civile, con cui si contrastano le argomentazioni del ricorrente.

Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.

Manifestamente infondato è il primo motivo. La legittimazione della C. a presentare querela nei confronti del D.B. è derivata dalla sua qualità di persona offesa dal reato. Ed invero, per quanto gli epiteti e le volgari espressioni di disprezzo pronunciate dall’imputato nel rivolgersi alla C. si riferissero ad altro soggetto, e cioè alla madre di costei, non vi è dubbio che ne sia derivata una lesione del decoro della stessa interlocutrice: il che inevitabilmente accade quando sussiste uno stretto legame parentale fra la persona alla quale le espressioni offensive sono comunicate e quella destinataria delle offese, traducendosi tale condotta in una mancanza, nei confronti del percettore di tali espressioni, del rispetto che, quale componente della dignità umana, è dovuto a ciascuno dei consociati.

L’inammissibilità del secondo motivo discende dal disposto dell’art. 606 c.p.p., comma 3, in quanto la denunciata violazione dell’art. 599 c.p., comma 2 non era stata dedotta con i motivi di appello.

Il terzo motivo esula dal novero di quelli consentiti nel giudizio di cassazione.

Infatti le censure con esso elevate, dietro l’apparente denuncia di vizi della motivazione, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.

La Corte territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno indotta a prestar fede alla versione dei fatti fornita dalla C.; a tal fine ha considerato che la veridicità della sua narrazione ha trovato conferma non soltanto nella prova documentale costituita dalla certificazione medica, ma anche nel fatto stesso che la persona offesa si sia immediatamente recata dai carabinieri per denunciare il fatto; e la stessa deposizione testimoniale del figlio ******, nella quale quel giudice ha pur colto un tentativo di mettere in dubbio la volontarietà della lesione per non colpevolizzare il padre, ha tuttavia confermato a suo avviso l’obbiettività del gesto violento compiuto dal D.B., rendendo vieppiù credibile l’assunto della persona offesa, che già altre volte era stata colpita dal marito (ancora per ammissione del figlio).

Della linea argomentativa così sviluppata il ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità, che emerga ictu oculi dal testo stesso del provvedimento; mentre il suo tentativo di accreditare una diversa lettura delle deposizioni testimoniali si risolve nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..

Spetta alla parte civile, che è comparsa in udienza e ha presentato le conclusioni scritte, la rifusione delle spese di difesa sostenute nel presente giudizio di legittimità; la relativa liquidazione è effettuata in Euro 2.200,00, comprensivi di onorari, da maggiorarsi in ragione degli accessori di legge.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente grado di giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 2.200,00, comprensivi di onorari, oltre accessori come per legge.

Redazione