Corte di Cassazione Penale sez. IV 4/7/2007 n. 25527; Pres. Brusco C.G.

Redazione 04/07/07
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Motivi della decisione

1. All’esito di giudizio abbreviato, il GUP presso il Tribunale di Trento ha affermato la responsabilità di C.G. in ordine al reato di omicidio colposo; e lo ha altresì condannato al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili.

La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Trento.

La vicenda oggetto del processo può essere riassunta nei seguenti termini. Alcune persone avevano partecipato ad una cena notturna in un rifugio in (OMISSIS). La discesa a valle avvenne nottetempo a bordo di alcuni slittini; e l’imputato, che aveva assunto l’incarico di controllare la sicurezza del rientro, seguì la discesa a bordo di una motoslitta munita di un faro. Uno degli slittini con a bordo due donne, M.L. e P. I., erroneamente non percorse la pista stabilita ma imboccò una pista inidonea. Per via della ripidità e della neve ghiacciata, la conducente perse il controllo del mezzo che così uscì di pista ed urtò contro un albero. Nell’incidente la M. riportò lesioni mortali. Al C. viene mosso l’addebito di non aver seguito con la necessaria attenzione il rientro di tutti i bob; non avvedendosi che quello in questione era rimasto arretrato, era in difficoltà ed imboccava un percorso sbagliato.

2. Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo diversi motivi:

2. 1. Violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., a causa della mancanza di correlazione tra imputazione e sentenza. Si assume che nel capo d’imputazione si attribuisce al C. l’assunzione di fatto del compito di controllare la discesa e che tale assunzione è conseguenza della partecipazione all’organizzazione della cena presso il rifugio. Quest’ultima circostanza assume pertanto nella descrizione del fatto una fondamentale importanza. Essa, in conseguenza, avrebbe dovuto trovare conferma nella decisione, pena l’assenza di correlazione tra contestazione e sentenza.

Il ricorrente assume altresì di aver dimostrato che l’imputato non ebbe alcun ruolo nell’organizzazione della serata e che egli si trovò nel rifugio per caso, essendo fidanzato della figlia del gestore. La Corte d’appello ha ritenuto che effettivamente il C. non partecipò all’organizzazione della serata ed ha quindi escluso il presupposto di fatto dell’assunzione della posizione di garanzia. Tuttavia non ne ha tratto le necessarie conseguenze in tema di diversità del fatto; giacche ha omesso di restituire gli atti ai sensi dell’art. 521 c.p.p. vulnerando il diritto di difesa e determinando la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 522 c.p.p..

2. 2. Violazione dell’art. 40 c.p.p., comma 2. Secondo il primo giudice – si afferma – la posizione di garanzia del C. ed il conseguente obbligo giuridico d’impedire l’evento derivava dall’impegno contrattuale assunto dai gestori del rifugio di condurre a valle gli avventori, delegato dagli stessi gestori all’imputato.

Tale tesi è stata confutata dalla difesa; ma la Corte d’appello ha sostituito le valutazioni erronee del Tribunale con altre ancora più infondate. Ha infatti affermato che l’assunzione di fatto del ruolo di accompagnatore ha reso l’imputato responsabile a tutti gli effetti nei confronti delle persone che scendevano a valle di notte.

Si è esclusa la posizione di garanzia di fonte contrattuale, ma si è erroneamente sostenuta l’assunzione di fatto del ruolo di accompagnatore. Tale tesi è errata poichè fonda il ruolo di garante solo su una situazione di fatto e non su un obbligo giuridico.

Si aggiunge, infine, che la discesa in questione non era vietata nè era obbligatoria la presenza di una guida, sicchè va esclusa la configurabilità di una situazione di garanzia.

Nè si può far discendere l’obbligo di impedire l’evento dalla circostanza che il C. si adoperò in concreto per aiutare i giovani, inesperti discesisti. Se così fosse, la sua opera meritoria rappresenterebbe l’unica ragione della sua colpevolezza.

2.3. Violazione degli artt. 43 e 589 c.p., Ove pure fosse configurabile il nesso eziologico, l’imputato dovrebbe essere comunque assolto per mancanza di colpa. Il giudice ravvisa comportamenti colposi delle due ragazze, che non si preoccuparono di richiamare l’attenzione degli altri discesisti sulle loro difficoltà. Ciò impedì all’imputato di accorgersi della situazione pericolosa, tanto più che egli doveva preoccuparsi di altri venti ragazzi, al buio e senza alcun aiuto.

Inoltre, la Corte d’appello reputa che, se si fosse accorto del pericolo, il C. si sarebbe dovuto prodigare in aiuto dello slittino che si trovava in difficoltà. Tale valutazione è erronea, perchè non tiene conto del particolare contesto costituito dalla discesa disordinata di numerose persone. Se egli fosse accorso in aiuto della ragazze in difficoltà avrebbe dovuto abbandonare gli altri discesisti, determinando una diversa situazione pericolosa. In sintesi, se egli avesse acquisito consapevolezza del pericolo, avrebbe dovuto affrontare una scelta: seguire il grosso della comitiva ovvero abbandonare il resto del gruppo per assistere le due ragazze rimaste indietro. Egli avrebbe dovuto scegliere tra due comportamenti ambedue diligenti ma, all’evidenza, non contemporaneamente attuabili. In tale situazione l’agente non può essere ritenuto responsabile come già ritenuto da questa Corte quando ha affermato il principio che "qualora taluno trovandosi nella necessità di operare una scelta fra due condotte entrambe corrette, abbia dato la preferenza a quella dalla quale sia poi derivato un fatto lesivo in danno di terzi, di tale evento egli non può in alcun modo essere ritenuto responsabile (Cass. 4^, 10 gennaio 2001, n. 12597, ********).

2.4. Illogicità e contraddittorieta della motivazione. Si legge in sentenza che l’imputato si comportò come chi si pone come punto di riferimento di un gruppo e se ne preoccupa per tutto il percorso; si comportò cioè come una guida, attento all’andamento della discesa e tenendo d’occhio tutti i partecipanti. Orbene, afferma il ricorrente, se il C. si comportò "come si conviene ad una guida", e proprio perciò assunse la posizione di garanzia, non si comprende per quale motivo dovrebbe rispondere della morte di una delle discesiste. Se agì diligentemente e prudentemente, non può certo rispondere per negligenza imprudenza o imperizia.

3. Il ricorso è infondato.

3.1. Il primo motivo è privo di sostegno in fatto. Infatti la lettura del capo di imputazione mostra che la vicenda oggetto del processo è analiticamente descritta in tutti i suoi tratti rilevanti; e che in particolare, per ciò che riguarda le circostanze afferenti all’assunzione del ruolo di garante da parte dell’imputato, si fa riferimento sia alla partecipazione all’organizzazione della cena che precedette la drammatica discesa a valle, sia all’assunzione di fatto del compito di controllare la sicurezza della discesa dei partecipanti alla gita. Il tema dell’assunzione della posizione di garanzia sarà affrontato con un maggiore dettaglio nel prosieguo, anche per ciò che riguarda la ricostruzione del percorso argomentativo della pronuncia d’appello. Qui è sufficiente constatare che l’affermazione di responsabilità dell’imputato si fonda su circostanze compiutamente enunciate in imputazione; e fa leva particolarmente sul dato cruciale, espressamente enunciato in imputazione, dell’assunzione effettiva dell’obbligo di garanzia. In conseguenza, non si configura la dedotta diversità tra fatto enunciato e fatto ritenuto in sentenza.

3.2. Quanto al secondo motivo di ricorso, occorre in primo luogo osservare che esso si fonda in larga misura su una lettura non condivisibile del tenore della sentenza d’appello. Si afferma infatti che la Corte ha escluso l’esistenza di un vincolo contrattuale assunto dai titolari del rifugio di condurre a valle i partecipanti alla cena, successivamente trasferito dagli stessi gestori all’imputato. In realtà la pronunzia richiama la sentenza assolutoria emessa in distinto giudizio nei confronti dei gestori del rifugio; vi presta piena adesione affermando che "con logica del tutto condivisibile" si è affermato che l’organizzazione della serata aveva previsto la predisposizione di mezzi idonei al viaggio di andata e ritorno dei partecipanti alla cena. Così facendo, ai gestori si erano doverosamente fatto carico di curare il rientro in sicurezza dei partecipanti a fronte delle oggettiva pericolosità di quel trasferimento notturno da compiersi sui declivi montuosi innevati e bui. Costoro avevano pertanto assunto nei confronti dei partecipanti alla cena una posizione di garanzia che li rendeva responsabili della loro incolumità. La pronunzia d’appello prosegue evidenziando che la assoluzione dei gestori del rifugio, che viene ritenuta ineccepibile, trova fondamento nel fatto che essi si erano adoperati per assicurare il miglior esito di quel rientro predisponendo gli slittini ed un veicolo a motore munito di un faro, nonchè, soprattutto, per aver affidato la gestione del rientro a valle all’imputato, persona esperta e profonda conoscitrice dei percorsi, trattandosi di poliziotto addetto proprio al servizio piste. La sentenza, nel prosieguo, evoca brevemente le discussioni svoltesi nel giudizio di primo grado in ordine alle ragioni della presenza dell’imputato nel rifugio, e la tesi che egli si trovasse in quel luogo solo perchè fidanzato con la figlia del gestore. Osserva in proposito la Corte che "se questo è vero, ciò non toglie che l’assunzione di fatto del ruolo di accompagnatore abbia reso l’imputato responsabile a tutti gli effetti verso quei discesisti della notte". Coordinando tale ultima enunciazione con la precedente diffusa argomentazione cui si è fatto cenno, emerge chiaramente che, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, la Corte non ha per nulla escluso l’esistenza di una posizione di garanzia dell’imputato trasferitagli dagli originari garanti; ma, al contrario, ha doverosamente sottolineato l’effettiva assunzione in fatto del ruolo di accompagnatore dei discesisti che, come sarà meglio evidenziato più avanti, non è priva di rilievo ai fini dell’imputazione oggettiva dell’evento. In conseguenza, la pronunzia non esclude l’esistenza di una posizione di garanzia di fonte contrattuale.

La difesa ha peraltro argomentato sulla inaccettabilità di una posizione di garanzia fondata su una situazione di fatto e non su un obbligo giuridico; e di un’affermazione di responsabilità basata esclusivamente sulla circostanza che il C. si adoperò in concreto, meritoriamente, per aiutare gli inesperti discesisti.

Sebbene, come si è accennato, l’esistenza di una posizione di garanzia di fonte contrattuale non sia stata per nulla esclusa ed abbia anzi costituito la base del giudizio in ordine all’imputazione causale ai sensi dell’articolo 40 capoverso del codice penale, tuttavia l’importanza della questione e la delicatezza del caso inducono la necessità di qualche ulteriore considerazione di principio che valga ad inquadrare correttamente la questione proposta dalla difesa, relativa alla necessità di una rigorosa individuazione dell’obbligo giuridico di impedire l’evento.

Com’è noto, il tema dell’obbligo d’impedire l’evento rilevante ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p., che viene solitamente evocato come obbligo di garanzia, è oggetto di un plurisecolare, ciclopico dibattito nel cui ambito sono state costruite diverse elaborazioni teoriche.

La teoria formale, la più antica, costituisce la base della tradizione giuridica italiana ed esprime il punto di vista del liberalismo giuridico classico, che concepisce l’ordinamento penale come un sistema fondato precipuamente su divieti. Ne consegue che, poichè l’imputazione causale per omissione di una condotta doverosa costituisce un’eccezione, è necessario che l’obbligo giuridico di agire trovi fondamento in una fonte giuridica formale. Tale impostazione vale se non altro ad escludere con certezza la rilevanza di obblighi di carattere morale: un risultato di non poco conto che senza dubbio esalta la laicità dell’ordinamento penale contro il pericolo di impostazioni eticheggianti, prive di una dimensione definita, capaci di determinare un’incontrollabile espansione dell’imputazione.

Tuttavia, già l’individuazione delle categorie di fonti giuridiche dell’obbligo lascia spazio a vistose disparità di opinioni. Esse vengono solitamente individuate nella legge penale ed extrapenale;

nel contratto; nella precedente azione pericolosa. Ad esse sono state aggiunte, in alcune elaborazioni, la negotiorum gestio e la consuetudine.

Tale dottrina, se corrisponde senza dubbio ad una fondamentale esigenza di legalità e di tipicità, presenta alcuni gravi limiti che sono stati da tempo messi in luce.

La principale obiezione riguarda l’eccessiva, indiscriminata estensione dell’imputazione: nell’ordinamento possono essere rinvenuti innumerevoli obblighi, che corrispondono a disparate esigenze delle varie branche dell’ordinamento e che, spesso, non esprimono esigenze riconducibili a quelle del sistema penale e dell’art. 40 cpv. c.p. segnatamente.

Non meno rilevante è l’obiezione che, attribuendo eccessivo rilievo alla fonte formale dell’obbligo, ne esclude l’esistenza nei casi di invalidità del contratto, anche nei casi in cui vi sia stata la presa in carico della tutela del bene giuridico; e al contrario, ne ammette l’esistenza pure in situazioni in cui la stessa assunzione in carico del bene non vi sia stata, così trascurando le esigenze sostanziali del sistema ed il contenuto materiale dell’obbligo giuridico d’impedire.

Le insufficienze della teoria formale hanno incoraggiato lo sviluppo di una differente elaborazione sostanzialistico-funzionale che non fa più leva tanto su profili formali quanto piuttosto sulla funzione dell’imputazione per omissione, connessa all’esigenza di natura solidaristica di tutela di beni giuridici attraverso l’individuazione di un soggetto gravato del ruolo di garante della loro protezione.

Tale individuazione del garante avviene, più che sulla base di criteri formali, alla stregua della posizione di fatto assunta, del ruolo svolto.

L’elaborazione in questione presenta il pregio ampiamente riconosciuto di aderire allo specifico punto di vista dell’ordinamento penale, selezionando in senso restrittivo il dovere di agire nell’ambito della sterminata congerie di obblighi presenti nell’ordinamento. Essa consente inoltre di fronteggiare situazioni nelle quali, come si è accennato, pur in presenza di un vizio della fonte contrattuale dell’obbligo, vi è stata la effettiva assunzione del ruolo di garante, la cosiddetta presa in carico del bene protetto; nonchè quelle nelle quali si riscontra una situazione di fatto assimilabile, analoga, rispetto a quella prevista dalla fonte legale dell’obbligazione, come ad esempio nel caso della consolidata convivenza in un rapporto di tipo familiare o istituzionale.

Tuttavia, proprio l’abbandono del criterio formale ha messo in luce una inevitabile vaghezza delle diverse costruzioni, che presentano criteri d’individuazione degli obblighi di garanzia assai differenziati. Tale costruzione ha mostrato un rapporto di tensione con i principi di legalità e di tassatività a causa dell’inidoneità a circoscrivere l’imputazione per omissione entro confini sufficientemente precisi.

Ha quindi preso corpo una concezione mista, eclettica, che in vario modo tenta di conseguire una sintesi, una reciproca integrazione tra la teoria formale e quella contenutistica. La prima, infatti, non pone in evidenza il contenuto materiale dell’obbligo giuridico e pecca di eccessivo formalismo; mentre la seconda corre il rischio di dimenticare la dimensione normativa, necessaria alla nascita della posizione di garanzia e di porsi in contrasto con il principio di legalità.

Tuttavia pure tale sincretismo ha lasciato spazio a rilievi di vario genere. Si è evidenziata l’eccesiva varietà delle soluzioni applicative e la manipolabilità dei criteri guida, con esiti di eccessiva dilatazione della responsabilità da un lato (soprattutto in tema di tutela antinfortunistica) e di eccessiva restrizione dell’area della responsabilità (negazione dell’obbligo di garanzia dei genitori per i fatti lesivi dell’intangibilità sessuale dei figli minori; delle forze di polizia per i reati commessi; negazione in generale dell’obbligo di garanzia nell’ambito dei reati contro il patrimonio).

Si è inoltre rilevato che le elaborazioni miste finiscono con il cumulare i difetti delle due teorie: anche attenendosi al criterio dell’individuazione di una fonte formale dell’obbligo di garanzia, si è pur sempre in presenza frequentemente di norme extrapenali vigenti in branche dell’ordinamento ove il principio di legalità non viene osservato con il rigore richiesto nell’ambito penale, con conseguente indeterminatezza. D’altra parte, l’utilizzo di criteri funzionali nella selezione delle posizioni di garanzia, lascia comunque ampio spazio a criteri discrezionali a causa della vaghezza dell’art. 40 cpv. c.p.. Si perviene quindi alla conclusione che si è in presenza di una situazione di non superabile incertezza, dovuta alla inadeguatezza della disciplina prevista dell’art. 40 cpv. c.p., che determina uno dei casi più clamorosi di creazione giurisprudenziale delle fattispecie penali, e si prospetta la necessità di un intervento normativo riformatore che tipizzi le posizioni di garanzia.

Pur nella varietà delle opinioni espresse a proposito della fonte dell’obbligo di garanzia, tra teorie formali e teorie funzionali, l’indirizzo prevalente nel pensiero giuridico italiano tende condivisibilmente ad assumere, come si è accennato, un atteggiamento per così dire eclettico, in vario modo conciliando ed integrando i due opposti punti di vista. In particolare, sebbene si riconosca la centralità della posizione di garanzia, cioè del ruolo concretamente assunto da una determinata persona, viene in luce l’esigenza di temperare i pericoli di eccessivo soggettivismo e di soluzioni vagamente eticheggianti, e di non trascurare – quindi – la considerazione della fonte dell’obbligo, al fine di individuarne il fondamento e, soprattutto, di definirne i contenuti.

La prima indiscussa fonte di obbligo è costituita dalla legge, sia quella di diritto pubblico che di diritto privato; sebbene non manchino disparità di opinioni a proposito della rilevanza delle fonti sublegislative come regolamenti, atti amministrativi e consuetudine.

Altra sicura fonte dell’obbligo di garanzia è quella contrattuale, sulla quale occorre brevemente soffermarsi per il rilievo che essa presenta nel giudizio in esame. Essa comprende sia i contratti tipici come i contratti di prestazione d’opera della bambinaia e della guardia giurata, sia i contratti atipici che si fondano pur sempre sul consenso tra le parti. Esempi: la guida di montagna, i membri di un’associazione di volontari di pronto soccorso, i vicini di casa che si offrono senza retribuzione di accompagnare l’inesperto escursionista, di trasportare in ospedale l’ammalato o di custodire il bambino in assenza dei genitori, con accettazione del servizio da parte dei beneficiari.

E’ di estrema importanza a tale riguardo sottolineare, anche per le implicazioni che la questione ha nel presente giudizio, che la fonte convenzionale dell’obbligo di garanzia include non soltanto i contratti tipici ma anche tutti gli atti negoziali atipici. In conseguenza, in tale ambito possono essere collocate situazioni nelle quali l’assunzione del ruolo di garante si fonda su base consensuale.

Tale importante precisazione consente di individuare la fonte legale dell’obbligo di garanzia in molte situazioni della vita ordinaria.

A tale riguardo è sufficiente richiamare sinteticamente la ormai consolidata giurisprudenza civilistica che ha individuato obbligazioni di natura contrattuale ma non fondate sul contratto, bensì sul "contatto sociale". Tali obbligazioni sono agevolmente riconducibili all’ambito della posizione di garanzia.

Il principio in questione è stato enunciato nell’ambito della relazione terapeutica. Le obbligazioni, si afferma, possono sorgere da rapporti contrattuali di fatto, in quei casi in cui taluni soggetti entrano tra loro in contatto. *****è questo "contatto" non riproduca le note ipotesi negoziali, pur tuttavia ad esso si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso. In questi casi non può esservi (solo) responsabilità aquiliana, ma si rinviene una responsabilità di tipo contrattuale, per non avere il soggetto fatto ciò a cui era tenuto in forza di un precedente vincolo.

La situazione descritta si riscontra nei confronti dell’operatore di una professione c.d. protetta (cioè una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato), particolarmente quando la professione stessa abbia ad oggetto beni costituzionalmente garantiti, come avviene per la professione medica, che incide sul bene della salute, tutelato dall’art. 32 Cost..

Rispetto all’operatore professionale la coscienza sociale, prima ancora che l’ordinamento giuridico, non si limita a chiedere un non facere e cioè il puro rispetto della sfera giuridica di colui che gli si rivolge fidando nella sua professionalità, ma giustappunto quel facere nel quale si manifesta la perizia che ne deve contrassegnare l’attività in ogni momento. La responsabilità sia del medico che dell’ente ospedaliero per inesatto adempimento della prestazione ha dunque natura contrattuale ed è quella tipica del professionista, con la conseguenza che trovano applicazione il regime proprio di questo tipo di responsabilità quanto alla ripartizione dell’onere della prova, i principi delle obbligazioni da contratto d’opera intellettuale professionale relativamente alla diligenza e al grado della colpa e la prescrizione ordinaria (Così da ultimo Cass. Sez. 3^, n. 9085 del 19/04/2006, Rv. 589631).

Con non minore rilievo il medesimo principio è stato proposto nell’ambito della relazione educativa, sottolineando la posizione di garanzia che ne consegue. Nel caso di danno cagionato dall’alunno a se stesso, la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che, quanto all’istituto scolastico, l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso; e che, quanto al precettore dipendente dell’istituto scolastico, tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona (Sez. Un. n. 9346 del 27/06/2002, Rv. 555386).

L’atto negoziale tipico o atipico può esser fonte dell’obbligo, come nel caso classico della guardia giurata che assume l’obbligo di vigilare ed intervenire contro la commissione di rapine in banca. In tale caso la facoltà di autotutela del titolare del bene giuridico si converte in obbligo di tutela per il garante. Esso può altresì dare luogo al trasferimento dell’obbligo dal garante originario ad altro, col conseguente mutamento del garante.

Peraltro, anche nel caso di assunzione consensuale, ciò che rileva maggiormente è l’oggettiva presa in carico, sicchè l’obbligo di protezione potrà verosimilmente sorgere anche da una stipulazione cui non partecipi il soggetto titolare del bene, come nel caso di scuola in cui un generoso e previdente spettatore, prima di una gara di nuoto, ingaggia un battelliere perchè in caso di necessità salvi un nuotatore poco provetto, senza che questi ne sappia nulla.

L’obbligo di garanzia di fonte contrattuale costituisce uno degli ambiti in cui più fortemente si manifesta il contrasto tra le diverse, accennate teorie. La teoria sostanzialistica tende a svalutare l’aspetto formale della convenzione tra le parti, attribuendo rilevanza piuttosto alla assunzione concreta del ruolo di garante, sia perchè l’affidamento sulla disponibilità del garante stesso induce la persona protetta ad affrontare rischi particolari o a rinunciare ad altre forme di tutela, sia perchè l’effettiva presa in carico del bene aumenta oggettivamente di fronte all’ordinamento giuridico che ha cura di essi, le chances della loro salvezza.

Peraltro, come viene evidenziato particolarmente dalle teorie eclettiche, l’esistenza dell’obbligo generato dal contratto non implica automaticamente che esso si configuri concretamente.

Perchè ciò accada occorre che vi sia l’effettivo trasferimento al garante derivato dei poteri-doveri impeditivi non solo giuridici, ma anche fattuali che non coincide necessariamente con la conclusione del contratto ne con la mera presa in carico fattuale del bene, come vorrebbero rispettivamente la concezione formale e sostanziale. Una soluzione intermedia, che viene sottolineata in nome del principio di personalità della responsabilità personale.

Le teorie eclettiche sembrano in grado di fronteggiare alcune situazioni problematiche che conducono a soluzioni talvolta inaccettabili nell’ambito delle altre elaborazioni classiche. Esse, infatti, escludono l’imputazione causale quando il contratto è perfezionato ma vi è un inadempimento contrattuale, come nel caso della guida alpina che non si fa trovare al rifugio nel giorno convenuto ed il cliente, anzichè rinviare, affronta la scalata in solitaria; o della bambinaia che non si presenta in servizio all’ora stabilita, quando i genitori si allontanano ugualmente lasciando incustodito il bambino. In tali casi la mancata presa in carico del bene o della cosa fonte di pericolo costituisce inadempimento del contratto ma non dell’obbligo di garanzia giacchè tale obbligo insorge al momento del trasferimento di fatto dei poteri impeditivi.

Quindi la guida alpina e la bambinaia rispondono dell’inadempimento ma non della morte dello scalatore.

Sulla base del medesimo ordine concettuale, invece, l’imputazione ha luogo quando, pur in presenza di un contratto invalido, vi è stata la presa in carico del bene protetto; anche se in tale caso non è indifferente la causa dell’invalidità del negozio (ma la questione non rileva in questa sede).

L’ambito che, nonostante le complesse elaborazioni di cui si è sinteticamente dato conto, presenta maggiori aspetti problematici è quello dell’assunzione volontaria ed unilaterale dei compiti di tutela, al di fuori di un preesistente obbligo giuridico. Si tratta di un aspetto molto presente nelle dottrine sostanzialistiche, poichè valorizza 1"assunzione di fatto dell’onere, la presa in carico del bene che ne accresce le possibilità di salvezza. Tale ambito copre le situazioni nelle quali il contratto è nullo e quelle in cui si è in presenza di un’iniziativa spontanea nell’assunzione dei compiti di tutela, come nei casi dei vicini di casa che, in assenza dei genitori, si prendono cura del bambino; dei volontari di pronto soccorso che, avvertiti, soccorrono il ferito in stato d’incoscienza; nonchè quelli in cui vi è assunzione di compiti di tutela a seguito di atto illecito, come nel caso del sequestratore verso il sequestrato bisognoso di farmaci. Occorre prendere atto che su tale aspetto della materia esiste una grande disparità di opinioni, anche fortemente critiche rispetto alle dottrine sostanzialistiche, – nè d’altra parte vi è necessità che esso venga esaminato nell’ambito del presente giudizio. Qui è sufficiente accennare che in molte delle situazioni considerate, con un’analisi attenta, non è difficile cogliere una obbligazione giuridica connessa all’assunzione unilaterale del ruolo di garante. D’altra parte, non di rado, ciò che a prima appare frutto di un atto unilaterale è in realtà espressione di un’obbligazione assunta con un atto negoziale atipico. Valgano a tale riguardo i richiamati principi in tema di obbligazione da contatto sociale.

La conclusione del breve, necessario excursus nell’ambito dei problemi inerenti all’obbligo di garanzia maggiormente pertinenti al giudizio in esame è che è utile e necessario perseguire nell’esperienza giudiziaria l’integrazione dei criteri formali e sostanziali d’imputazione; avendo presenti i principi ed i valori che si trovano sullo sfondo della delicata materia.

Tale approdo conduce a ritenere infondate le censure esposte nel secondo motivo di ricorso in esame. Si è visto che il C. è stato ritenuto titolare di una posizione di garanzia trasferitagli dai gestori del rifugio. Peraltro, per le ragioni di principio che si sono prima esposte, l’assunzione di un impegno in tal senso non sarebbe stata sufficiente a generare concretamente l’obbligo di controllo, essendo invece necessaria altresì la reale assunzione in carico della gestione della situazione pericolosa costituita dalla discesa a valle nelle condizioni difficili di cui si è già detto.

In conseguenza, appare particolarmente puntuale il breve passaggio della pronuncia d’appello che mette in luce come l’imputato avesse di fatto assunto l’incarico, ponendosi alla guida di una moto-slitta munita di un faro e dirigendo e controllando la discesa. D’altra parte, l’assunzione di tale incarico era ben nota e presente ai discesisti che, conseguentemente, si indussero ad affrontare la pericolosa contingenza sulla base dell’affidamento nella competenza dell’accompagnatore. Tale affidamento costituisce uno dei risvolti più significativi dell’assunzione in concreto del ruolo convenuto; e svolge un ruolo significativo nella ricostruzione di vicende problematiche del genere di quella in esame. Infine, ad abundantiant, occorre pure sottolineare che l’avvio convenuto della discesa guidata (come ritenuto dai giudici di merito) dette luogo ad un’intesa consensuale tra l’imputato ed i discesisti che, anche per via del già segnalato affidamento, sarebbe stata sufficiente da sola a fondare l’obbligo di garanzia, configurando una negozio atipico.

In conseguenza, conclusivamente, è priva di fondamento la tesi difensiva secondo cui l’imputazione oggettiva dell’evento sarebbe stata indebitamente fondata solo sulla generosa ed unilaterale iniziativa dell’imputato.

3.2. Il terzo motivo di ricorso, concernente i profili di colpa addebitati all’imputato, è pure esso infondato. Non vi è dubbio che, come evidenziato in sentenza, le due ragazze tennero un comportamento incongruo, probabilmente alimentato anche dall’assunzione di sostanze alcoliche. La Corte ha sottolineato tale situazione ed ha riconosciuto il concorso di colpa della vittima.

Essa, tuttavia, evidenzia altresì un distinto profilo di colpa del C., giacchè costui non rimase adeguatamente vigile nel controllare i discesisti, superò le ragazze in difficoltà e se le lasciò colpevolmente alle spalle. Anche se le ragazze mancarono di segnalare adeguatamente la loro difficoltà – si afferma in sentenza – l’imputato avrebbe potuto comunque scongiurare il pericolo con una condotta particolarmente vigile e scrupolosa, che gli avrebbe consentito di cogliere la situazione pericolosa e di intervenire tempestivamente.

Infine occorre valutare la deduzione difensiva secondo cui l’imputato, ove pure si fosse accorto della situazione pericolosa, si sarebbe comunque trovato a dover scegliere fra due condotte entrambe corrette, con la conseguenza che qualunque di esse avesse scelta, avrebbe tenuto un comportamento non rimproverabile. Orbene sebbene il principio richiamato, enunciato in una pronuncia di questa Corte, sia condivisibile, tuttavia occorre considerare che nella situazione presente nel giudizio in esame non si era al cospetto di due situazioni egualmente pericolose che avrebbero comunque determinato la scelta tra condotte entrambe appropriate. Infatti, la situazione pericolosa concernente le ragazze era già drammaticamente in atto, mentre gli altri discesisti si trovavano in una condizione senza dubbio delicata ma non abbisognevole di un immediato e diretto intervento, visto che la discesa avveniva lungo l’itinerario convenuto e senza difficoltà attuali ed apprezzabili. In una tale situazione, difettando la dedotta equivalenza fra le situazioni pericolose, era dovere dell’imputato intervenire per scongiurare il pericolo concretamente manifestatosi, relativo alle ridette ragazze.

Diversamente argomentando si perverrebbe alla soluzione illogica che chi si adoperi per proteggere diverse persone non ne possa concretamente aiutare alcuna, per il timore che così facendo si trovi a non poter far fronte ad ulteriori eventuali difficoltà che coinvolgano le altre.

3.4. Il quarto motivo di ricorso afferente alla supposta contraddittorietà della motivazione si fonda su una lettura parziale del tenore della pronunzia. E’ ben vero che in sentenza si afferma che l’imputato assunse la guida del gruppo di discesisti comportandosi cioè come una guida e tenendo d’occhio i partecipanti.

Tuttavia tale enunciazione è volta a sottolineare che l’imputato assunse in concreto il ruolo di garante. Tale qualità implica l’obbligo di impedire l’evento e riguarda quindi l’imputazione causale. Ciò non sarebbe comunque sufficiente ai fini del giudizio di responsabilità giacchè esso si fonda altresì sull’accertamento della colpevolezza, che nella specie si configura come un rimproverabilità colposa della condotta. A tale ultimo riguardo, come si è sopra evidenziato, la pronunzia non manca di esporre i ritenuti profili di colpa. In conseguenza, la dedotta contraddizione non sussiste: il C. guidò la discesa assumendo il ruolo di garante e comportandosi nel modo conseguente; nel far ciò agì in modo non sufficientemente attento e dunque colposo. Si è quindi in presenza di differenti valutazioni, che riguardano distinti aspetti dell’imputazione del reato: quello afferente alla causazione dell’evento e quello pertinente alla colpevolezza.

Il ricorso deve essere quindi rigettato. Ne consegue che l’imputato va condannato al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese di parte delle parti civili che vengono liquidate come il dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 1.125,00 per ciascuna di esse, oltre ad I.V.A. e C.P.A..

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