Corte di Cassazione Penale sez. IV 3/12/2008 n. 45016; Pres. Licari C.

Redazione 03/12/08
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FATTO E DIRITTO

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosceva le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, e confermava il giudizio di responsabilità di F.G. per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle normativa antinfortunistica.

Si è trattato di un sinistro stradale mortale, occorso in data 16 settembre 2002, contestato al F., nella qualità di direttore del cantiere della Cossi Costruzioni s.p.a., nel quale aveva perso la vita un dipendente della società, C.A., il quale, mentre alla guida di una pala caricatrice scendeva lungo la via provinciale della "(OMISSIS)", perdeva il controllo del mezzo ed urtando frontalmente contro la parete rocciosa, veniva proiettato fuori dalla cabina di pilotaggio attraverso il vetro frontale ed investito dal mezzo fuori controllo, riportando lesioni mortali.

Secondo il giudice di appello, che confermava la sentenza di primo grado affermativa della responsabilità del F., doveva ritenersi accertato il profilo di colpa del medesimo, essendo stato accertato l’inadempimento all’obbligo di dotare il mezzo della prescritta cintura di sicurezza, che era risultata mancante, pur essendo stato il mezzo fornito provvisto della stessa. La Corte di merito riteneva la sussistenza anche del nesso di causalità tra il predetto comportamento omissivo e l’evento mortale, sul rilievo che la cabina di guida non era stata danneggiata dall’urto contro la parete rocciosa e che la morte del C. era stata determinata dal fatto che lo stesso, non trattenuto dalla cintura di sicurezza, aveva sfondato il parabrezza anteriore, finendo sull’asfalto, dove era stato travolto dalla pala stessa.

Avverso la citata sentenza propone ricorso per cassazione F. G., articolando tre motivi.

Con il primo motivo censura la sentenza sotto il profilo della violazione di legge, con riferimento all’art. 40 c.p., laddove i giudici di merito avevano ravvisato l’esistenza del nesso di causalità tra la mancanza della cintura ed il sinistro che aveva determinato la morte dell’operaio. Sotto tale profilo, si sostiene che l’uso della cintura di sicurezza era prescritto dal costruttore solo quando la pala caricatrice opera in cantiere per il sollevamento e/o lo spostamento dei pesi mentre non è previsto quando il mezzo circola sulla strada per il suo spostamento da un’area di lavoro ad un’altra. In proposito si sostiene che dall’istruttoria in primo grado era emerso che la cintura che avrebbe dovuto essere montata era di tipo "statico", con caratteristiche di rigidità, assenti in quelle di tipo "inerziale" e, pertanto, incompatibili con la guida in strada, per le conseguenze che ne deriverebbero in caso di urto. Si sostiene, inoltre, che l’obbligo del montaggio delle cinture di sicurezza per le macchine operatrici non sarebbe previsto neanche dal codice della strada. Sotto altro profilo, si deduce l’illogicità della sentenza nella parte in cui, senza effettuare il giudizio controfattuale, afferma che l’uso della cintura di sicurezza da parte del lavoratore ne avrebbe evitato la morte, sul rilievo che siffatta conclusione non avrebbe tenuto conto che la cintura, per la sua rigidità, non avrebbe avuto la capacità di assorbire l’energia derivante dall’impatto.

Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge, sempre con riferimento all’art. 40 c.p., e la carenza di motivazione sostenendo che la valutazione compiuta dai giudici di merito in merito alla sussistenza del nesso causale tra il sinistro e la mancanza di olio idraulico con il conseguente cattivo funzionamento dell’impianto frenante non avrebbe tenuto conto di quanto emerso in sede istruttoria sulle caratteristiche della macchina e delle conclusioni del perito del P.M.. Sotto il primo profilo, si sottolinea che era stata rilevata solo la parziale inefficienza del freno di stazionamento e non quella del freno di servizio (l’unico idoneo ad arrestare il veicolo in marcia). Sotto il secondo profilo si evidenzia che secondo il perito del P.M. l’anomalo incremento di velocità del mezzo era stata determinata dalla discesa ad oltre 40 Km/h della pala meccanica con il motore in folle. In una tale situazione il freno di stazionamento, anche se efficiente, non sarebbe stato di ausilio all’impianto frenante di servizio poichè, avendo una forza frenante minima, si sarebbe riscaldato subito. La Corte di merito non avrebbe inoltre tenuto conto delle risultanze istruttorie dalle quali emergeva che il F. aveva sempre vigilato sulla corretta manutenzione periodica e giornaliera dei mezzi.

In conclusione si sostiene che il sinistro mortale si era verificato a causa del comportamento anomalo ed imprevedibile del lavoratore, il quale, aveva intrapreso la discesa con il motore in folle.

Con il terzo motivo lamenta l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 59 con riferimento alla esclusione del beneficio della sanzione sostitutiva della pena detentiva, motivata con la sussistenza di precedenti penali, trattandosi invece di una unica condanna, risalente nel tempo, con decreto penale per violazione delle norme in materia di inquinamento delle acque.

Il ricorso è infondato.

I primi due motivi meritano trattazione congiunta risolvendosi entrambi in censure afferenti il tema della causalità, sostenendosi la irrilevanza causale nella determinazione del sinistro della mancanza della cintura di sicurezza, della quale si sostiene la non obbligatorietà (primo motivo) e del cattivo funzionamento dell’impianto frenante (secondo motivo).

Nessuna delle censure proposte può trovare accoglimento, risolvendosi in doglianze che finiscono con il proporre un sindacato di merito, da effettuare inaccettabilmente in sede di legittimità, sull’apprezzamento dei mezzi di prova, che compete al giudice di merito e che questi, peraltro, ha qui sviluppato in modo esaustivo e ampiamente logico, sì che le contestazioni operate in ricorso si risolvono solo in una diversa, opinabile lettura degli elementi di fatto valorizzati in sede di sentenza.

Infatti, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite, in tesi, di eguale crisma di logicità, giacchè, con riferimento al sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Quanto detto vale ovviamente in relazione agli argomenti utilizzati dal giudice di merito per ritenere dimostrata la sussistenza del nesso di causalità tra l’omessa adozione della cintura di sicurezza e l’evento mortale.

Sotto tale profilo, la Corte di merito ha ampiamente argomentato sulla spiegazione causale del sinistro, corrispondendo del resto puntualmente alle doglianze proposte con l’appello.

In particolare, in via preliminare, i giudici d’appello hanno affrontato la questione, proposta dalla difesa e reiterata in questa sede, secondo la quale non vi sarebbe stato l’obbligo della cintura di sicurezza, in quanto limitato esclusivamente alle operazioni di cantiere ed escluso per la circolazione su strada.

L’assunto difensivo non è condivisibile in presenza del compiuto ed insindacabile apprezzamento operato dai giudici di merito, i quali hanno fatto espresso riferimento al manuale contenente le norme di sicurezza della ditta produttrice della pala caricatrice, che prevede espressamente l’obbligo da parte del lavoratore prima di iniziare il lavoro di indossare correttamente la cintura di sicurezza (la cui mancanza, al momento dell’incidente, è incontestata, come pure il fatto che la pala era stata fornita dalla ditta produttrice provvista di cintura, installata successivamente all’incidente). Le argomentazioni difensive in quanto dirette ad introdurre ulteriori considerazioni in fatto (riguardanti la obbligatorietà della cintura solo durante le operazioni in cantiere e non su strada) sono addirittura inammissibili, oltre che per la genericità, anche perchè vorrebbero che questa Corte procedesse ad un’inaccettabile sindacato di merito sulle valutazioni logicamente assunte dal giudicante in conformità quadro probatorio.

La decisione gravata, confermativa di quella di primo grado, appare, invece, corretta siccome adottata in piena aderenza a quello che, per assunto pacifico, è il contenuto precettivo dell’art. 2087 c.c..

Come è noto, in forza della disposizione generale di cui all’art. 2087 c.c. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall’art. 40 c.p., comma 2.

Ne consegue che il datore di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera.

In altri termini, il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l’adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell’art. 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all’obbligo di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’art. 40 c.p., comma 2, (v., tra le tante, Sez. 4, 4 luglio 2006, ******* ed altro).

Tale obbligo comportamentale, che è conseguenza immediata e diretta della "posizione di garanzia" che il datore di lavoro assume nei confronti del lavoratore, in relazione all’obbligo di garantire condizioni di lavoro quanto più possibili sicure, è di tale spessore che non potrebbe neppure escludersi una responsabilità colposa del datore di lavoro allorquando questi tali condizioni non abbia assicurato, pur formalmente rispettando le norme tecniche, eventualmente dettate in materia dal competente organo amministrativo, in quanto, al di là dell’obbligo di rispettare le suddette prescrizioni specificamente volte a prevenire situazioni di pericolo o di danno, sussiste pur sempre quello di agire in ogni caso con la diligenza, la prudenza e l’accortezza necessarie ad evitare che dalla propria attività derivi un nocumento a terzi (cfr. Sez. 4, 12 dicembre 2000, **********). Ciò che esclude, ab imis, ogni rilievo alla pretesa mancata previsione dell’obbligo di dotare il mezzo di cintura di sicurezza se e quando utilizzato per gli spostamenti fuori cantiere, giacchè, a tacer d’altro, proprio le modalità di spostamento del tipo di quella che si è verificata, avrebbero dovuto imporre il rispetto di regole elementari di cautela, invece del tutto inosservate.

E’ in questo stesso quadro normativo "cautelare" che si pone così correttamente la sentenza impugnata, laddove ravvisa la colpa, e il conseguente nesso eziologico con l’evento dannoso, del datore di lavoro nell’aver consentito l’uso della pala in assenza della prescritta cintura di sicurezza, così ponendo, come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata, le condizioni dell’evento letale derivatone.

Sotto tale ultimo profilo, sono, poi, inaccoglibili anche le censure articolate sulla ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra la omessa adozione della cintura e l’evento letale. Come emerge compiutamente dalla sentenza, è rimasto inconfutabilmente dimostrato che a seguito dell’urto contro la parete rocciosa, in seguito al quale la pala si era arrestata, la cabina di guida non era stata per nulla danneggiata, fatta eccezione per il parabrezza anteriore andato in frantumi non per l’urto contro la roccia ma per il fatto che il corpo del lavoratore, non trattenuto dalla cintura di sicurezza vi era stato proiettato contro, sfondandolo dopo avere urtato il camion ed andando a finire sulla sede stradale, ove era stato travolto dalla pala.

La dettagliata rappresentazione dei fatti, descritti in conformità alle risultanze dell’accertamento tecnico, ed il compiuto ed insindacabile apprezzamento degli stessi operato dai giudici di merito, consentono di escludere i vizi motivazionali dedotti in ricorso.

Il necessario giudizio contro fattuale appare, in definitiva, supportato da motivazione convincente.

Sono infondate per gli stessi motivi sopra esposti anche le censure proposte in merito alla valutazione compiuta dalla Corte di merito sulla circostanza della mancanza di olio nei freni con il conseguente cattivo funzionamento dell’impianto frenante, avendo il giudicante recepito tale dato dalla relazione del CTU. In ogni caso, come emerge inequivocabilmente dal contenuto della sentenza, il giudizio di responsabilità del F. è stato fondato esclusivamente sull’inadempimento all’obbligo gravante sullo stesso all’obbligo di installare la cintura di sicurezza sulla pala, mentre il riferimento al difettoso funzionamento dell’impianto frenante è solo una ulteriore considerazione per confutare la tesi difensiva della configurabilità di un comportamento anomalo ed imprevedibile del lavoratore, il quale avrebbe intrapreso la discesa con il motore in folle.

In proposito la Corte di merito ha evidenziato che le cause di tale accelerazione non sono state appurate con certezza e che, comunque, il CTU aveva riscontrato una mancanza di olio nei freni ed il conseguente cattivo funzionamento dei congegni frenanti. E’ appena il caso di rilevare che la tesi del comportamento imprudente ed anomalo del lavoratore, è rimasta sfornita di ogni supporto probatorio e che, in coerenza, la Corte di merito ha disatteso tale versione dei fatti.

Ciò che qui rileva – ed appare opportuno ribadirlo – è che il F., nella qualità di direttore tecnico del cantiere, con piena autonomia decisionale e di spesa, in ragione dei suddetti compiti, era tenuto a rispettare la normativa posta a presidio della sicurezza dei lavoratori e che omettendo l’apprestamento della cintura di sicurezza ha posto in essere una condizione necessaria dell’evento, che, con elevato grado di probabilità razionale, avrebbe potuto essere evitato dall’ordinaria attività di manutenzione.

Nè la sentenza si è sottratta all’obbligo di individuare il comportamento alternativo lecito che se posto in essere avrebbe evitato il verificarsi dell’evento, costituito dall’obbligo di dotare la pala della mancante prescritta cintura di sicurezza (e sorvegliarne anche l’uso) oppure sospendere l’uso della macchina fino a quando non fosse stato installato tale congegno di sicurezza.

Anche la doglianza sul trattamento sanzionatorio non può essere accolta.

Basta considerare che, come è noto, la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito (L. n. 689 del 1981, art. 58) ed è insindacabile in sede di legittimità, qualora il giudice abbia adempiuto all’obbligo di motivazione, in ordine al quale è satisfatta il richiamo, non illogicamente effettuato ai parametri di riferimento oggettivi e soggettivi di cui all’art. 133 c.p..

Ciò che qui il giudicante ha ampiamente sviluppato, valorizzando negativamente i precedenti penali dell’imputato, in termini che qui, certamente, non possono essere rivalutati".

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione