Corte di Cassazione Penale sez. IV 30/4/2008 n. 17499; Pres. Battisti M.

Redazione 30/04/08
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FATTO E DRITTO

Con sentenza emessa in data 7.10.2004 il GUP presso il Tribunale di Genova dichiarava l’imputato R.V. responsabile del reato a lui ascritto ex art. 589 c.p. in danno di B.S. alla quale aveva prescritto il farmaco Flutamide Ipsen, senza previ esami ematochimici e della funzionalità epatica della giovane donna (nata nel (omissis)); farmaco adottato per la cura delle neoplasie della prostata su pazienti maschili, inidoneo alla B. per la lieve entità della sintomatologia e la particolare gravità degli effetti collaterali, cosicchè la predetta il giorno 12 agosto 2002 decedeva per epatite fulminante determinata dall’assunzione del detto farmaco.

Affermata la responsabilità penale, il tribunale condannava il R. a mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento dei danni alla madre della vittima, V.C., costituitasi parte civile.

Proposto appello, la Corte di Genova confermava la sentenza impugnata, disattendendo le doglianze dell’appellante il quale sosteneva che la prescrizione del Flutamide Ipsen per cura dell’irsutismo, patologia della quale era affetta la B., non era frutto di una leggerezza o di ignoranza da parte sua, ma di una decisione ben ponderata, in quanto l’insorgenza dell’epatite era stata riscontrata solo nell’1% dei casi trattati, in relazione a quantità anche triple di dosaggio. Al termine del primo ciclo di applicazione la ragazza era completamente guarita dall’irsutismo e si trovava in perfette condizioni; solo nel corso del secondo trattamento, chiesto dalla paziente per la ricomparsa di qualche brufolo sul viso, si era manifestata l’epatite fulminante. Inoltre, a suo dire, la paziente era stata informata degli effetti collaterali dovuti all’uso del farmaco ed era affetta dalla patologia dell’ ovaio policistico che avrebbe potuto compromette l’apparato riproduttivo;

che nonostante l’assunzione di "Mercilon", farmaco anticoncezionale, i segni clinici erano continuati; che il flutamide era usato in ginecologia come anti-androgeno, a dosaggi inferiori a quelli indicati per il trattamento della prostata.

In sostanza si era trattato di un evento eccezionale il cui accertamento nemmeno era stato effettuato in termini di certezza, anche se le valutazioni del perito erano convincenti, per cui erroneamente il tribunale aveva ritenuto la prevedibilità dell’evento; inoltre vi era stato consenso della paziente, la quale aveva chiesto un trattamento diverso ed alternativo alla somministrazione del Mercilon che, usato per oltre due anni, non aveva dato risultati; che altro farmaco, il *****, indicato dai periti, presentava gli stessi rischi; che l’uso del Flutamide era stato sufficientemente sperimentato in ginecologia senza grandi problemi, mentre era risultato tossico sull’uomo.

La corte territoriale, premesso che la B. era affetta da ovaio policistico, con alterazioni di tipo estetico, quali l’acne, la caduta di capelli e l’irsutismo, si ricollega alla valutazione effettuata dai periti i quali hanno affermato che il Flutamide ha un’efficacia molto scarsa sul rallentamento dell’evoluzione di questa patologia perchè non contrasta la secrezione delle gonatropine, mentre svolge un’azione di tipo antiandrogeno, contrastando l’azione del testosterone, per cui è usato per il trattamento del tumore della prostata ed in Italia è autorizzato solo in tale versione e non in ginecologia. In questo caso se un medico intende usare un farmaco per indicazioni diverse da quelle autorizzate è necessario che esso abbia un impiego noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche e che il paziente dia il proprio consenso informato.

Secondo l’imputato tale consenso sarebbe stato prestato, tanto che vi fu un contrasto tra la ragazza ed il padre, contrario all’assunzione del farmaco.

Osserva la corte territoriale che ciò non comprova che l’informazione alla paziente sia stata, come doverosamente doveva essere, ampia, chiara ed esaustiva; che i sintomi manifestati dalla medesima non erano gravi, ma solo ritenuti soggettivamente tali; che secondo i periti sarebbe stato più prudente somministrare un altro tipo di pillola anticoncezionale, diversa da quella già usata dalla ragazza, come il *****; che non vi era una grossa esperienza nel campo dell’assunzione da parte femminile del Flutamide, per cui il rischio dovuto agli effetti collaterali, non completamente conosciuto per la scarsa sperimentazione, ma segnalato, andava meglio valutato.

Non bastava fermarsi alla constatazione che la giovane si trovava in ottime condizioni di salute, ma occorreva effettuare esami ed analisi più approfonditi anche e specialmente al termine del primo ciclo di trattamento.

Quanto alla sussistenza del nesso causale la corte afferma che è stato accertato che l’epatite fulminante fu causata dalla somministrazione del Flutamide, perchè la B. non assunse altri farmaci potenzialmente epatotossici, come risultava dall’anamnesi effettuata al momento del ricovero della predetta in ospedale; che l’associazione del Mercilion nella seconda fase del trattamento fu disposta proprio dall’imputato; che il ricorso senza successo a tre trapianti di fegato non rendevano necessario il ricorso ad un’autopsia per accertare la causa del decesso; che l’evento morte era riferito come raro proprio perchè vi era una rimarcata scarsità di esperienze ricavabili dalla letteratura medica; che le stesse indicazioni richiamate dal "bugiardino" del farmaco mettevano in guardia contro il possibile verificarsi di grave danno epatico.

In sostanza la colpa sussisteva perchè il medico aveva usato un farmaco poco sperimentato, tossico, senza preventivi controlli sul funzionamento del fegato della paziente, sulle sue possibili reazioni allergiche e per di più per la cura di disturbi obiettivamente poco rilevanti.

Queste analisi non sarebbero state inutili, perchè era da escludere un danno immunomediato, per cui andava affermata la sussistenza del nesso di causa sia sotto il profilo della colpa commissiva che omissiva.

Avverso questa decisione assunta in data 9.5.2006 l’imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo illogicità e carenza di motivazione in quanto anche i periti avevano classificato il caso tra quelli eccezionali, essendo intervenuto un’epatite fulminante di tipo immunomediato, mentre erroneamente la corte aveva attribuito tale eccezionalità alla scarsa sperimentazione del farmaco in campo ginecologico.

Solo nel 2004 la FDA statunitense aveva sconsigliato l’uso del farmaco in ginecologia e questo stava a testimoniare due cose: che vi era stata una notevole sperimentazione del farmaco e che all’epoca dei fatti le conseguenze letali erano sconosciute in letteratura medica, per cui non era ravvisabile l’errore medico.

Pertanto l’evento non poteva ritenersi essere prevedibile ed illogica era l’affermazione del giudice d’appello che l’eccezionalità dipendeva dalla scarsa conoscenza degli effetti del farmaco, perchè la rarità di un caso non può nemmeno in questa condizione rappresentare la prevedibilità dello stesso Quanto agli omessi accertamenti ematologici questi non avrebbero potuto evitare l’evento, essendosi trattato di una reazione autoimmune per cui anche i periti non avevano espresso alcuna certezza in ordine all’influenza dell’omissione sul fatto letale, non essendo affatto provato che attraverso le analisi la paziente si sarebbe salvata.

Con una memoria difensiva la parte civile sostiene che l’evento rientrava tra i rischi conseguenti agli effetti collaterali in vista dei quali il Ministero della Salute aveva limitato l’impiego del farmaco per le sole gravi patologie dell’apparato urogenitale maschile, per cui la prevedibilità sarebbe insita nello stesso precetto violato.

Trattandosi di una prassi per niente diffusa nelle cure ginecologiche l’evento doveva considerarsi eccezionale solo per la scarsità dell’esperienza.

Inoltre ragionevolmente la corte afferma che non si trattava di un danno immunomediato e che quindi era riscontrabile con controlli periodici, mentre in ogni caso, essendo preponderante il primo profilo di colpa commissiva tale aspetto resta assorbito nella conclamata certezza della colpa per l’imprudente somministrazione del Flutamide.

Il Procuratore ******** ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Due sono i profili di colpa contestati all’imputati ed addebitati allo stesso dai giudici di merito. L’avere fatto uso nei confronti di una paziente affetta da disturbi di non grave entità di un medicinale autorizzato solo per la cura della prostata, di cui erano conosciuti gli importanti effetti tossici sul fegato, e di avere omesso di controllare le sue condizioni di salute nel corso dell’assunzione di detto farmaco attraverso appositi esami ematochimici e sulla funzionalità epatica.

Il ricorrente contesta che vi sia stato errore medico in ordine alla prescrizione del Flutamide, perchè la scelta del farmaco era stato effettuata a ragion veduta, in considerazione dell’inefficacia di altre e diverse prescrizioni; che il consenso informato della paziente consentiva l’uso del medesimo anche se non autorizzato per cure nel campo femminile; che l’evento doveva ritenersi eccezionale, dovuto ad una "capricciosa" forma di reazione dell’organismo della giovane, che nessun esame preventivo avrebbe consentito di accertare;

che l’incertezza sulla sussistenza del nesso causale tra detta omissione e l’evento non consentiva di ritenere integrato il reato;

che la motivazione della sentenza era carente ed illogica in particolare in ordine a detto punto nodale e che del pari era errata nell’affermare la prevedibilità della morte, dato assolutamente eccezionale nella sperimentazione medica riportata in letteratura.

E’ pacifico che l’imputato prescrisse alla paziente un farmaco indicato per una patologia diversa da quella sofferta dalla predetta, in ordine alla quale, pur non avendo avuto effetti utili la somministrazione le "Mercilon", poteva essere adottato altro farmaco, come il " *****", appartenente alla famiglia degli anticoncezionali, espressamente indicato per i sintomi presentati dalla ragazza, farmaco già sperimentato.

E’ altrettanto pacifico che il Flutamide ha gravi effetti collaterali sulla funzionalità epatica e per tale ragione è stato autorizzato solo nella cura del tumore alla prostata.

Pertanto ragionevolmente la corte territoriale, come il primo giudice, ha ravvisato in tale scelta terapeutica una colpa professionale, dovuta a leggerezza da parte del medico che ha sottoposto la paziente, affetta da disturbi non gravi ed altrimenti curabili, ad un rischio di intossicazione importante ed ha escluso che l’evento morte potesse ascriversi alla categoria dell’eccezionalità, in quanto il dato statistico non era significativo per la scarsa sperimentazione in campo femminile. La corte ha anche diffusamente spiegato come il Flutamide da una parte fosse poco utile per una cura radicale della patologia sofferta dalla B. consistente nella sindrome dell’ovaio policistico, in quanto non agiva sulla secrezione delle gonotropine, mentre produceva un’azione antiandrogena; che l’uso di un farmaco non autorizzato per la cura specifica può essere effettuato solo quando non vi siano cure alternative sperimentate (ed in questo caso gli anticoncezionali erano più sicuri) ed il paziente abbia espresso il suo consenso informato.

In ordine a quest’ultimo punto secondo il giudice di merito era da dubitarsi che la ragazza avesse compreso la gravità dei possibili effetti collaterali dell’uso di un farmaco del genere e soprattutto andava affermata la non adeguatezza dello stesso ad una cura seria dell’affezione dell’ovaio policistico per la scarsa influenza sulle gonotropine. Pertanto in sostanza il medico aveva somministrato un farmaco altamente tossico per curare l’alopecia, l’irsutismo e l’acne, aspetti estetici peraltro nemmeno gravi, considerati tali dalla ragazza, che essendo giovane li enfatizzava. La corte territoriale ha preso in esame tutti i rilievi contenuti nei motivi d’appello ed ha ripercorso le argomentazioni dei periti, soffermandosi sul fatto che il Flutamide era stato oggetto di una limitata sperimentazione sulle affezione femminili e che per tale ragione e la scarsità dei lavori riportati nelle riviste scientifiche, nonostante l’effetto letale fosse stato reso noto solo per un caso, doveva essere più attentamente valutato e somministrato solo per casi particolari e non quando si poteva fare ricorso ad altro tipo di cura, che nel caso in oggetto i periti avevano indicato nella somministrazione del *****.

Inoltre la colpa che aveva una connotazione commissiva per l’errata scelta del farmaco era aggravata dall’aspetto omissivo dovuto al mancato controllo degli effetti negativi della cura alla fine del primo ciclo della medesima e prima di dare corso ad un secondo ciclo per il quale era stato prescritto anche il Mercilon. Ulteriore spiegazione si ritrova nella sentenza in ordine all’esclusione dell’ipotesi che l’epatite fulminante sia stato di tipo autoimmune, per cui i controlli epatici, se ci fossero stati, avrebbero consentito di rilevare il danno epatico che si stava sviluppando e che detti controlli erano suggeriti anche dal "bugiardino" che accompagna la vendita del medicinale.

La scelta di un farmaco altamente tossico senza un’attenta valutazione e comparazione degli effetti positivi del medesimo rispetto i possibili effetti negativi gravi certamente costituisce colpa medica, dovendo questo tipo di somministrazione essere utilizzata solo in casi particolari e previo controllo delle condizioni del paziente; controllo da ripetersi nel corso della cura.

Il dott. R. ha sostenuto che la ragazza si trovava in stato di perfetta salute, ma ciò ha dedotto solo dall’esame clinico effettuato sulla medesima, senza un riscontro attraverso i consueti parametri che possono essere acquisiti solo attraverso gli esami ematochimici e quelli specifici relativi alla funzionalità epatica.

Questo tipo di ragionamento resiste alle censure dell’imputato perchè in sostanza i giudici non si sono discostati dalle considerazioni degli esperti, che hanno tutti sottolineato la scarsa adeguatezza della cura, da una pare, ed i conclamati effetti tossici dall’altra.

Quanto alla sussistenza del nesso eziologico tra la colpa e l’evento, che in considerazione della conoscenza del possibile danno epatico, non risulta essere imprevedibile, si deve considerare che la colpa contestata ed accertata ha un aspetto commissivo che non richiede il ricorso al riscontro controfattuale e che da solo pone in relazione l’errore medico al verificarsi dell’evento, come è stato affermato anche dai periti, non essendo ipotizzabili cause alternative alla somministrazione dei predetti medicinali in grado di produrre la morte della giovane B..

Ma anche in relazione al profilo omissivo la corte territoriale argomenta in modo coerente e privo di vizio logico in ordine alla sussistenza del nesso causale, escludendo l’ipotesi della reazione autoimmune, per cui l’evoluzione del danno epatico avrebbe potuto essere controllato dagli esami adeguati che furono omessi.

In sintesi tutti i rilievi mossi dall’imputato sono stati già oggetto di motivazione nella sentenza impugnata.

La riproposizione dei medesimi in sede di ricorso per cassazione non comporta nuovi profili di censura ed in particolare non riesce a contrastare la serie di argomenti che il giudice di merito ha posto a fondamento del proprio convincimento in relazione alla sussistenza della colpa ed al nesso tra la medesima e l’evento, in particolare sotto l’aspetto della colpa commissiva in ordine alla quale le doglianze dell’imputato risultano essere veramente di scarsa incidenza.

In sostanza il predetto si tutela attraverso lo scudo dell’eccezionalità dell’evento morte, ma non può negare la conoscenza della produzione del danno epatico.

Anche in ordine a tale punto la corte spiega che la statistica riportante solo un caso di morte in campo femminile non poteva definirsi esaustiva per la scarsa sperimentazione del farmaco nelle cure femminili e che per tale ragione la scarsa rilevanza del dato non aveva carattere assoluto ed in tali termini andava considerato dal medico.

Anche sotto questo profilo il ragionamento della corte è coerente, in quanto non può essere ritenuto non prevedibile una conseguenza nota sia pure come fatto eccezionale quando il farmaco si trova ad essere utilizzato per cure non autorizzate ed dunque ancora in fase sperimentale in tale campo, per cui il dato statistico non può assumere quel rilievo particolare che può connotare le conseguenze di eccezionalità e di prevedibilità.

Ciò premesso il ricorso va rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione di quelle sostenute alla parte civile costituita in questo grado di giudizio; spese che vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile V.C. in questo grado, che liquida in Euro 2.500,00 oltre a spese generali nell’ordine del 12,50% IVA e CPA.

Redazione