Corte di Cassazione Penale sez. IV 30/4/2008 n. 17495; Pres. Battistini M.

Redazione 30/04/08
Scarica PDF Stampa

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza di assoluzione (per non aver commesso il fatto) pronunciata dal Tribunale di Bergamo – Sezione distaccata di Treviglio – in data 11 giugno 2003 ed appellata dal pubblico ministero, dichiarava P.P., nella sua qualità di amministratore delegato della S.p.A. Fonderie Officine **************, colpevole del reato di lesioni personali colpose ("sfondamento del calcagno sinistro") commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (segnatamente del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 27, comma 1, alla stregua del quale "i posti di lavoro o di passaggio sopraelevati devono essere provvisti, su tutti i lati aperti, di parapetti normali con arresto al piede o di difesa equivalenti"), in (omissis) in danno di D.E., e lo condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi due di reclusione.

1.1. D.E. stava operando su un impianto di nastri trasportatori all’altezza di circa due metri da terra quando, all’improvviso, aveva perso l’equilibrio ed era caduto al suolo.

Il Tribunale aveva ravvisato la violazione del sopra citato art. 27, comma 1, ma aveva assolto l’imputato, ritenendo che la responsabilità penale dovesse ricadere sulla figlia R. che nel (omissis) era stata designata, a norma del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 8, responsabile del servizio di prevenzione e protezione.

1.2. La Corte di merito, condividendo le osservazioni del Procuratore generale appellante, aveva chiarito che, ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 9, comma 1, il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali svolgeva compiti valutativi, propositivi ed informativi.

Aveva, inoltre, escluso che risultasse provato quanto affermato dalla difesa dell’imputato, e cioè che alla P. fosse stata conferita delega, seppure non per iscritto, in materia antinfortunistica.

Concludeva la Corte affermando che non vi erano dubbi in ordine al fatto che l’incidente si fosse verificato in ragione dell’assenza di un parapetto sul nastro trasportatore", a causa, dunque, della violazione del menzionato art. 27, comma 1. 2. Avverso l’anzidetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato per mezzo del difensore, chiedendone l’annullamento ed affidando le proprie doglianze a due motivi.

2.1. Con il primo motivo la difesa deduce "violazione di legge", affermando che la Corte territoriale aveva errato nell’affermare che la delega conferita a P.R. non fosse idonea ad escludere la responsabilità dell’imputato e, in particolare, non aveva tenuto conto delle funzioni "dirigenziali e di controllo per la prevenzione degli infortuni sul lavoro … effettivamente esplicate dal delegato", soggetto dotato di capacità "tecniche specifiche" e "di spesa", nonchè di autonomia decisionale (tanto che, "dopo l’infortunio e prima delle prescrizioni da parte delle ASSL" era stata la P. a fare apporre le barriere sulle piattaforme).

2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione del citato art. 27.

A detta del ricorrente la disposizione non sarebbe stata violata, atteso che il D. stava avvitando un bullone proprio sul nastro trasportatore, non sulla piattaforma (che, poi, era stata dotata di barriere).

Al solo D. andava, poi, addebitato il fatto di essere salito sul nastro trasportatore senza indossare le cinture di sicurezza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1. Il primo motivo è inammissibile perchè manifestamente infondato e, comunque, privo del requisito della specificità.

Detto requisito implica non soltanto l’onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cfr. ex plurimis Cass. 5^ 21 aprile 1999, *****, RV 213812; Cass. 6^ 1 dicembre 1993, p.m. in c. ********, RV 197180; Cass. 4^ 1 aprile 2004, Distante, RV 228586).

Nel caso in esame, invece, i motivi si risolvono nella semplice enunciazione del dissenso del deducente rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte di merito.

*****è i giudici del merito non si siano chiesti se, nel caso in cui, per un’erronea valutazione dei rischi, non sia stata adottata una misura prevenzionale dovuta e si sia verificato un infortunio evitabile, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione possa quantomeno concorrere, nei termini di cui all’art. 40 cpv. c.p., con il datore di lavoro nel delitto colposo di evento che l’apprestamento della misura avrebbe evitato, il ricorrente concentra le proprie generiche attenzioni sull’asserito conferimento di una delega in materia antinfortunistica alla P., senza tuttavia specificare da quali elementi di fatto i giudici del merito avrebbero dovuto desumerne l’esistenza. La Corte territoriale – come si è visto – ha escluso che l’imputato avesse conferito alla figlia una delega siffatta e che costei l’avesse, comunque, in fatto esercitata.

Correttamente, pertanto, ha dedotto che, sotto tale profilo, il P. non potesse essere esonerato da responsabilità.

Nè, d’altra parte, nel corso dei giudizi di merito, risulta che l’imputato abbia adempiuto l’onere di provare l’avvenuto conferimento della delega, onere che si estende ai contenuti ed ai limiti della delega stessa (cfr. Cass. 4^ 7 febbraio 2007, ********, RV 236196 secondo cui il datore di lavoro può essere esonerato dalla responsabilità penale se dimostri di aver delegato ad altri i relativi compiti con atto certo ed inequivoco che, quantunque non necessariamente scritto, deve poter essere provato in modo rigoroso quanto al contenuto e alla forma espressa).

3.2. Anche il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato.

Esso si risolve nel tentativo di addossare al lavoratore la responsabilità dell’accaduto, mettendo in discussione la doverosità dell’adozione dei citati presidi antinfortunistici.

Il ricorrente spende generiche considerazioni in fatto sulla regola cautelare la cui violazione gli è stata addebitata, concentrando le proprie doglianze sulla condotta tenuta dalla persona offesa dal reato (che non aveva utilizzato la cintura di sicurezza).

Peraltro, come più volte questa Corte ha avuto modo di ribadire, occorre un vero e proprio contegno abnorme, che esuli dalle normali operazioni produttive perchè la condotta del lavoratore faccia venire meno la responsabilità del datore di lavoro.

In altre parole, la condotta del lavoratore, per giungere ad interrompere il nesso causale (tra condotta colposa, del datore di lavoro o chi per esso, ed evento lesivo) e ad escludere, in definitiva, la responsabilità del garante, deve configurarsi come un fatto assolutamente eccezionale, del tutto al di fuori della normale prevedibilità (v. ex plurimis Cass. 4^ 27 novembre 1996, *********, secondo cui il datore di lavoro è esonerato da responsabilità soltanto quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che o sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro).

Si aggiunga che le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, avendo lo scopo di impedire l’insorgere di pericoli, anche se del tutto eventuali e remoti, in qualsiasi fase del lavoro, sono dirette a tutelare il lavoratore anche contro gli incidenti derivanti da un suo comportamento colposo e dei quali, conseguentemente, l’imprenditore è chiamato a rispondere per il semplice fatto del mancato apprestamento delle idonee misure protettive, anche in presenza di condotta deviante del lavoratore (v.

Cass. 3^ 20 ottobre 1982, ********, RV 158239-41; Cass. 4^ 3 ottobre 1990, *******, secondo cui il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di apportare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure il dipendente ne faccia effettivamente uso; Cass. 4^ 23 giugno 2005, *******; Cass. 4^ 29 settembre 2005, ******).

3.3. Va detto, per concludere, che il termine di prescrizione è maturato il 14 dicembre 2004.

La sentenza impugnata è stata, peraltro, pronunciata in epoca anteriore (il 29 ottobre 2004).

Escluso, dunque, che l’estinzione del reato per prescrizione potesse essere dichiarata nel giudizio di merito, va rilevato che neppure può essere dichiarata in questa sede, ostandovi la inammissibilità del ricorso conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi dedotti. Le Sezioni unite di questa Corte (Cass. S.U. 22 novembre 2000, *******, RV. 217266) hanno, invero, affermato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p..

4. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare in Euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00 (mille/00).

Redazione