Corte di Cassazione Penale sez. IV 27/2/2009 n. 9045; Pres. Campanato G.

Redazione 27/02/09
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FATTO E DIRITTO

P.G.A. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, segnatamente aumentando il concorso di colpa del conducente dell’altro veicolo coinvolto nell’incidente stradale (deceduto nell’occorso) e, per l’effetto, riducendo la pena irrogatagli dal primo giudice, lo ha ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo plurimo aggravato dalla violazione della normativa in materia di circolazione stradale.

La ricostruzione materiale dell’incidente – come operata in sede di merito – non è controversa.

Il P., alla guida della propria autovettura, mentre percorreva la tangenziale di Milano, perdeva il controllo del mezzo che impattava contro il guard rail assumendo posizione di quiete trasversalmente sulla terza corsia di sorpasso.

Per prestare soccorso al P., e agli occupanti del veicolo, che nel frattempo erano usciti dal veicolo, tra gli altri, si era fermato – parcheggiando sulla corsia di emergenza – il conducente di un camion. Durante le operazioni di soccorso, sopraggiungeva, a forte velocità, M.A., conducendo a bordo del proprio veicolo altri quattro passeggeri.

Il M., anche in ragione della velocità, trovatosi l’ostacolo del veicolo del P., perdeva il controllo del mezzo che finiva con l’impattare con il camion del soccorritore: decedevano, per l’effetto, il M. e tre dei passeggeri trasportati, mentre un quarto riportava lesioni.

La Corte di merito ravvisava i profili di colpa del P. sia in relazione alla situazione eziologica dell’incidente che vedeva coinvolta la propria autovettura tale da porre un fattore causale originario di rischio delle successive collisioni sia, soprattutto, in relazione alla mancata attivazione per rendere evidente la situazione di pericolo da lui stesso determinata ad esempio, mediante il posizionamento del triangolo per segnalare la presenza del veicolo sulla carreggiata, che pure aveva riportato la rottura di entrambi i gruppi ottici.

Il comportamento colposo del M., cui veniva attribuita rilevanza ai fini del concorso di colpa, non era considerato causa sopravvenuta autonoma rilevante ex art. 41 c.p., comma 2, non potendosi del resto pretendere – secondo il giudicante – che il M. occupasse, nel percorrere la tangenziale, la corsia libera più a destra e comunque una di quelle corsie che – ex post – erano risultate non ingombrate dal veicolo del P..

Mediante i difensori vengano proposti due distinti ricorsi nell’interesse del P..

I ricorsi possono essere esaminati congiuntamente.

In primo luogo, si sostiene che la contestata omessa segnalazione del veicolo presente sulla carreggiata non avrebbe svolto alcun ruolo efficiente nella verificazione dell’occorso, giacchè non vi era stato alcun urto tra il veicolo del M. e quello del P., giacchè il primo aveva urtato con il camion del soccorritore parcheggiato sulla corsia di emergenza.

Sarebbe mancato, nella formalizzazione dell’addebito, un adeguato approfondimento della sussistenza del nesso eziologico tra la violazione contestata (l’omessa segnalazione) e l’incidente verificatosi.

Tale profilo, viene ulteriormente precisato e sviluppato, sostenendosi che la formalizzazione dell’addebito non avrebbe tenuto in conto dell’esigibilità della condotta che si riteneva di dover pretendere dal P., in ragione del pregiudicate condizioni psico-fisiche in cui il P. asseritamente versava dopo l’urto.

Si aggiunge, ancora, la mancata motivazione sul profilo della prevedibilità dell’evento.

A supporto si sostiene che – dopo l’incidente che aveva visto coinvolto il P. – il regolare deflusso del traffico si era protratto per ben 15 minuti, senza problemi, onde, in buona sostanza, era il M. che, con un minimo di diligenza, avrebbe dovuto accorgersi della situazione di rischio e adeguare la propria condotta di guida.

Si reputa scorretto l’argomentare del giudicante laddove non attribuisce efficacia interruttiva al comportamento del M. che aveva impegnato la corsia di sorpasso, sul rilievo che non poteva pretendersi che il medesimo "impegnasse la corsia più libera a destra".

Il comportamento del M., quindi, si ribadisce, doveva considerarsi assolutamente anomalo e tale da integrare causa interruttiva ex art. 41 c.p., comma 2.

I ricorsi, pur ampiamente argomentati, non possono essere accolti.

Va ricordato, in premessa, che la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia – valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente – è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione (Sez. 4^, 5 dicembre 2007, ***************. Forlì in proc. Benelli).

Qui, del resto, la ricostruzione dell’incidente, nella sua materialità, neppure è contestata.

Venendo invece ai profili oggetto di doglianza, questi possono essere sintetizzati come sostanziali contestazioni dei principi in tema di concretizzazione del rischio sotto il profilo della affermata mancata considerazione dei parametri della prevedibilità e della evitabilità dell’evento dannoso in capo al soggetto cui pure venga addebitata la violazione di una regola cautelare e in tema di interruzione del nesso causale (sotto il profilo che la condotta del M. avrebbe rappresentato causa sopravvenuta esclusiva dell’incidente).

In proposito, occorre considerare che, in tema di reato colposo, per poter addebitare un evento ad un determinato soggetto occorre accertare non solo la sussistenza del "nesso causale materiale" tra la condotta (attiva od omissiva) dell’agente e l’evento, ma anche la cosiddetta "causalità della colpa", rispetto alla quale assumono un ruolo fondante la prevedibilità e l’evitabilità del fatto.

Infatti, la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire.

Compito del giudice, in proposito, per poter formalizzare l’addebito, è quello di identificare una norma specifica, avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che, all’epoca della creazione della regola, consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti.

Per l’effetto, ai fini dell’addebito, l’accadimento verificatosi deve essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, realizzandosi così la cosiddetta "concretizzazione del rischio".

Peraltro, affermare, come afferma l’art. 43 c.p., che, per aversi colpa, l’evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole, implica anche che l’indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l’evento: si può quindi formalizzare l’addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l’esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili, significative probabilità di scongiurare il danno (cfr. Sez. 4^, 14 febbraio 2008, parte civile Farci ed altri in proc. Aiana; e cfr. anche Sez. 4^, 1^ ottobre 2008, ***** ed altri).

Ebbene, il giudicante, si è posto nel pieno rispetto degli anzidetti principi, secondo una ricostruzione del fatto assolutamente ineccepibile, non sindacabile e del resto neppure contestata.

In punto di prevedibilità, non è certo revocabile in dubbio che l’omessa segnalazione della presenza del veicolo sulla carreggiata (in violazione del resto con il disposto dell’art. 189 C.d.S., comma 2), possa porre le prevedibili condizioni di un urto diretto da parte di altri veicoli o comunque quelle per l’insorgenza di una condizione di pericolo per gli altri utenti della strada (in termini compatibili con l’occorso come in concreto verificatosi) (dovendosi quindi in proposito ritenere non rilevante l’argomento sviluppato nei ricorsi sull’insussistenza del nesso eziologico per il solo fatto che l’impatto non si era verificato con il veicolo "incidentato").

In punto di esigibilità, non è altresì revocabile in dubbio che la adeguata segnalazione del veicolo (ergo, il comportamento alternativo lecito imposto dalla norma cautelare violata) avrebbe ragionevolmente impedito la verificazione dell’incidente o, quantomeno, avrebbe potuto determinarne la verificazione in termini meno gravi il ( M. avrebbe potuto avvistare per tempo il veicolo e, nonostante la condotta colposa tenuta, avrebbe potuto porre in essere manovre anche di emergenza in concreto più efficienti e tali da impedire l’incidente e/o da attenuarne le conseguenze).

La valutazione prognostica effettuata dal giudice di merito non è in proposito arbitraria e non merita censure, pur a fronte del "dissenso" espresso nei ricorsi.

Ineccepibile è anche la ricostruzione della rilevanza del comportamento (colposo) del M..

Va ricordato, in premessa, che, ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l’evento (art. 41 c.p., comma 2), il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento non si riferisce solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, giacchè, allora, la disposizione sarebbe pressochè inutile, in quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe comunque sulla base del principio condizionalistico o dell’equivalenza delle cause (condicio sine qua non) di cui all’art. 41 c.p., comma 1.

La norma, invece, si applica anche nel caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, nel senso che è l’agente, con la sua condotta (attiva od omissiva), ad avere posto in essere un fattore causale del risultato, vale a dire un fattore senza il quale il risultato medesimo nel caso concreto non si sarebbe avverato, pur tuttavia non ne risponde se ed in quanto la verificazione di questo risulti in concreto dovuto al concorso di fattori sopravvenuti eccezionali (cioè rarissimi).

Deve trattarsi, in altri termini, di fattori completamente atipici, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, che non si verificano se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta (di recente, Sez. 4^, 5 giugno 2008, ********** ed altri).

Ebbene, che la condotta del M. correttamente non sia stata ritenuta "interruttiva" del nesso eziologico è di palmare evidenza, ove si consideri che, proprio il comportamento cautelare omesso dal P., era concettualmente imposto anche dalla norma specifica di cui all’art. 189 C.d.S., comma 2, proprio per evitare il rischio di incidenti derivanti anche dal comportamento improvvido ed irregolare degli altri utenti della strada, non potendosi del resto ritenere imprevedibile il pur gravemente colposo comportamento del M. (andatura eccessiva e impegno della corsia di sorpasso e non invece di quella di destra, più libera).

Sotto questo profilo, il ragionamento del giudice di merito non consente censure, pur non potendosi condividere (ma ciò non impinge con la tenuta complessiva della motivazione) l’assunto che sembrerebbe escludere l’obbligo del M. di "tenere la destra", trattandosi di obbligo imposto dal codice della strada (cfr. art. 143 C.d.S.), oltre che da elementari regole di prudenza.

Infatti, che la violazione di tale obbligo non possa rilevare come evento eccezionale – rilevante ex art. 41 c.p., comma 2, – è desumibile in tutta evidenza dal fatto che l’"ordinarietà" del rischio della verificazione di tale inosservanza è espressamente prevista dal legislatore che ne fonda proprio un addebito cautelare specifico.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione