Corte di Cassazione Penale sez. IV 21/4/2008 n. 16375; Pres. Iacopino S.

Redazione 21/04/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.S., P.R., C.P., C. R., ****** e C.A., parti civili costituite nel procedimento a carico di D.D.G., imputato di omicidio colposo in danno di Ca.Ro., ricorrono, attraverso il difensore di fiducia, nei confronti della sentenza di non luogo a procedere emessa in data 28.3.2007 dal Gup presso il Tribunale di Roma. Ne deducono la nullità ex art. 606 c.p.p., lett. B, con riferimento all’art. 425 c.p., nn. 1 e 3 per avere erroneamente ritenuto l’inidoneità degli elementi raccolti a sostenerne in giudizio l’accusa e con riferimento agli artt. 40, 42, 42 e 589 c.p. per aver erroneamente ritenuto l’insussistenza del nesso causale tra la condotta dell’imputato e la morte del Ca..

Al D.D. era stato contestato di avere cagionato il decesso del Ca.Ro. in quanto, nella qualità di medico a bordo dell’ambulanza chiamata con il servizio 118 a seguito della caduta per le scale di un bar del predetto Ca. (avvenuta verso le ore 16,15 del (omissis)) che nell’occasione riportava un trauma cranico contusivo fratturativo, dopo averlo visitato, ometteva di disporne il ricovero in ospedale, al fine di una tempestiva e corretta diagnosi di quella emorragia epidurale, sottodurale e subaracnoidea che poi avrebbe causato la morte del paziente; morte che si verificava alcune ore dopo, a casa propria, dove il Ca. aveva voluto fare rientro e dove si era recato a piedi. Secondo il Gup i dati acquisiti evidenziavano l’insussistenza dell’ipotesi accusatoria neppure ulteriormente dimostrabile al dibattimento, in quanto il Ca. aveva rifiutato il ricovero (come risultante dalle testimonianze assunte), avvalendosi del diritto costituzionalmente tutelato a non essere obbligato a un trattamento terapeutico; non si verteva in alcuno dei casi in cui sono previsti trattamenti sanitari obbligatori; non era in alcun modo emerso che egli si presentasse all’equipaggio dell’ambulanza in condizioni gravissime ed in immediato e concreto pericolo di vita, condizioni da consentire ai sanitari di dubitare che fosse in grado di validamente rifiutare il ricovero; rilevava il Gup che l’insistenza del teste D.S. M. secondo il quale Ca.Ro. "frastagliava nel parlare" era indicativa di un "balbettare" spiegabile con lo shock della caduta ed era contraddetta da R.N. secondo cui parlava "in modo abbastanza coerente" e presentava solo "perdita di sangue dal naso e non aveva lesioni apparenti", circostanza confermata da tutti i testi che riferivano solo la presenza di escoriazioni in sede frontale e al viso; la pressione arteriosa era normale; egli rientrò tranquillamente a casa a piedi, non informò la moglie della caduta, della quale evidentemente anche a quel momento non vi erano segni visibili, affermando solo di avere desiderio di riposare e mettendosi sul letto dove si addormentava fino a che la moglie, sorpresa dal lungo sonno, chiamava nuovamente il 188 e lo stesso D.D. constatava, verso le 20,00 del medesimo giorno, il decesso del Ca..

Aggiungeva il Gup che il comportamento del Ca., che aveva taciuto alla moglie l’accaduto, non consentendole di valutare autonomamente la situazione per accompagnare il marito in ospedale o chiedere, se del caso, un nuovo intervento del 118, era una circostanza atta ad ulteriormente elidere il nesso di causalità.

Secondo le parti civili ricorrenti il provvedimento sarebbe frutto di una inesatta, parziale e carente valutazione degli elementi sottoposti all’esame del Gup; in particolare sarebbe erroneo aver attribuito piena validità al rifiuto di ricovero sottoscritto dal Ca. senza porsi la domanda se il Ca., nelle circostanze date, avesse ben compreso la gravità delle proprie condizioni e i rischi cui si esponeva rifiutando il ricovero; secondo le dichiarazioni dei soccorritori D.S.M. e M. S., il Ca. presentava una ferita alla testa e loro stessi avevano riferito che aveva perduto molto sangue ed appariva intontito, in gran parte incosciente e rantolante; pertanto il rifiuto espresso in quelle condizioni non poteva valere ad esprimere il diritto, costituzionalmente tutelato dall’art. 32 Cost., a non subire alcun trattamento sanitario contro la propria volontà; D. S. aveva anche riferito che Ca. "frastagliava le parole" vale a dire balbettava e non era in grado di riconoscerlo, nonostante fossero amici da anni; inoltre lo stesso D.S. aveva precisato di aver sottoscritto, per conferma, la dichiarazione di rifiuto del ricovero firmata dall’amico solo perchè intendeva testimoniare contro i sanitari che si erano comportati scorrettamente e non già per avallare la sottoscrizione dell’infortunato; i sanitari non avevano insistito in alcun modo per il ricovero, l’intervento era durato appena cinque minuti, non era stato controllato il battito nè misurata la pressione nonostante che dalla scheda risultasse il contrario; in conclusione le condizioni del Ca. erano tutt’altro che buone. Anche la circostanza che il medesimo si sia recato a casa da solo, a piedi, non era elemento da poter modificare la colposa superficialità dell’intervento dei medici, essendo un fatto ad esso successivo; ed anche illogica è la valutazione che viene data della circostanza che Ca. non riferì nulla alla moglie dell’incidente che gli era occorso, atteso che ciò potrebbe essere stato il frutto non già di una libera scelta ma delle lesioni conseguenti la caduta; a riprova della colpevolezza del D.D. vi è il fatto che egli, intervenuto anche per constatare il decesso del Ca., negò di averlo riconosciuto ed indicò come causa della morte un collasso cardiocircolatorio, circostanze smentite dalla dichiarazione dell’autista dell’ambulanza che dichiarò che tutti i componenti dell’equipaggio si erano subito accorti che la persona soccorsa in casa era la stessa che aveva rifiutato il ricovero per l’incidente del bar.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Nonostante il notevole impegno difensivo nell’impostazione ed elaborazione critica dei dedotti motivi di ricorsi, ispirato a comprensibili motivi, le censure delle parti civili non possono trovare accoglimento.

La sentenza impugnata, passando in rassegna tutti gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari, ha ritenuto di poterne ricavare una chiara leggibilità dei fatti di causa ed ha escluso, con motivazione esaustiva e logica, ogni profilo di colpa nella condotta professionale dell’imputato. Sulle base delle testimonianze assunte (quelle degli altri componenti l’equipe sanitaria dell’ambulanza e quella, certamente "terza" della barista) il Gup ha rilevato che, nonostante l’imputato avesse insistito per ottenere il consenso dell’infortunato ad essere trasportato in ospedale, dove sarebbe stato possibile procedere ad approfondimenti diagnostici sulle conseguenze della caduta, aveva da questi ricevuto un netto rifiuto; il rifiuto è stato confermato con la sottoscrizione di apposito atto, controfirmato anche dall’amico D. S.M., in cui risulta annotato altresì che il Ca. aveva rifiutato anche e soltanto una visita più approfondita.

La ricorrente parte civile assume che questo rifiuto non sarebbe stato coscientemente espresso dal Ca. per lo stato confusionale in cui versava a seguito del trauma cranico subito e delle gravi lesioni interne riportate e sostiene che il Gup ha ignorato tale profilo e comunque ha sbagliato nel ritenere valido il consenso.

Il rilievo non è condivisibile.

E’ del tutto evidente, e il contenuto della sentenza qui impugnata sopra sinteticamente riportato lo dimostra, come il Gup non abbia affatto ignorato tale profilo ma sia piuttosto giunto ad una valutazione diversa da quella prospettata dalle parti civili. Anche a tale valutazione il giudice è pervenuto sulla base dell’analisi delle risultanze processuali, avendo il Gup posto in rilievo che la deposizione resa in tal senso dal teste D.S. è risultata smentita da quanto riferito dalla teste R.N., secondo cui Ca. parlava abbastanza bene, nonchè dalle dichiarazioni di tutti i testi che hanno riferito che presentava solo escoriazioni sulla fronte e sul viso (confermate poi dall’esame autoptico), nonchè, soprattutto, dalla circostanza che il Ca. ha voluto e potuto far rientro a casa per proprio conto e poi, una volta giuntovi, ha taciuto alla moglie l’accaduto, dicendo soltanto di avere voglia di riposare. La valutazione è logica, atteso che nessun segno apparente vi era che potesse indurre il medico a superare il rifiuto dell’infortunato, ove si consideri che il sanguinamento dal naso, unico dato certo, non poteva destare preoccupazione, dal momento che, come rilevato in sentenza, la pressione arteriosa risultò nella norma e lo stesso Ca. rifiutò di essere più approfonditamente visitato.

La valutazione cui è pervenuto il giudice di merito è corretta e logica, e le argomentazioni dei ricorrenti indicano soltanto una diversa ipotesi ricostruttiva, basata su un parziale e apodittico apprezzamento delle prove testimoniali; ma è pacifico che, anche dopo la riforma dell’art. 606 c.p.p., operata dalla L. n. 46 del 2006, la contraddittorietà della motivazione rispetto ad atti del processo – nella specie peraltro neppure compiutamente riportati nel ricorso, ma solo sinteticamente invocati come aventi il senso preteso dai ricorrente – non può formare oggetto di ricorso per Cassazione;

la contradditorietà può dar luogo al vizio laddove la stessa è oggettiva e incontrovertibile, essendosi esclusi fatti invece accertati o viceversa, e non si può confondere tale difformità con la diversa valutazione di merito operata, anche con riferimento all’apprezzamento delle prove, dal giudice di merito.

Sulla base dell’accertamento fattuale effettuato, la sentenza ha fatto corretta applicazione dei principi posti dal nostro ordinamento, in primo luogo dall’art. 32 Cost., comma 2, a norma del quale nessuno può1 essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, specificazione del più generale principio posto dall’art. 13 Cost., che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica, e dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 33, che esclude la possibilità d’accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p..

Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato con condanna dei ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento delle spese processuali.

Redazione