Corte di Cassazione Penale sez. IV 20/3/2008 n. 12347; Pres. Morgigni A.

Redazione 20/03/08
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OSSERVA

1) La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza 21 settembre 2005, ha parzialmente confermato la sentenza 25 maggio 2004 del Tribunale di Torre Annunziata che aveva condannato D.D.A. – ostetrica in servizio presso la clinica "(omissis)" di (omissis) – per il delitto di lesioni personali colpose gravi cagionate a E.M. nel corso del travaglio di parto verificatosi l’ (omissis).

La Corte di merito ha ritenuto accertato che l’ostetrica si fosse assunta funzioni riservate al personale medico e avesse somministrato alla partoriente P.V. farmaci in misura e con modalità incongrue provocando alla nascitura una grave asfissia con conseguente microcefalia, asimmetria e strabismo;

ha concesso all’imputata il beneficio della non menzione e ha confermato per il resto la sentenza di condanna del primo giudice.

2) Contro la sentenza della Corte napoletana ha proposto ricorso il responsabile civile s.r.l. (omissis) che ha dedotto, come primo motivo di censura, la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e del codice di rito in relazione al D.M. n. 740 del 1994 (che disciplina le mansioni dell’ostetrica) nonchè il vizio di motivazione.

In sintesi, secondo la tesi della ricorrente, la Corte, pur riconoscendo che l’evento era stato cagionato da tre concause, una delle quali soltanto riconducibili all’imputata, non avrebbe ridotto la pena e la provvisionale concessa dal primo giudice.

La sentenza impugnata non avrebbe poi considerato che era emerso nel processo che il farmaco era stato somministrato da una puericultrice sulla quale l’ostetrica non aveva alcun potere di supremazia gerarchica e che non era credibile la madre della bambina, parte civile nel processo, che aveva riferito la somministrazione della terapia farmacologia alla esclusiva condotta e volontà dell’imputata.

Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto che il D.M. citato inibisse all’ostetrica la possibilità di somministrare farmaci.

3) Il ricorso è infondato e, anzi, alcune delle censure proposte sono inammissibili.

I giudici di merito hanno ritenuto accertato, in base alla ricostruzione effettuata dal consulente del p.m., alla risultanze della cartella clinica e alle dichiarazioni della madre della bambina che la D.S. avesse somministrato alla P., entrata in clinica tra le ore 8,30 e le 9, un farmaco (Sandopart) che ha l’effetto di aumentare l’intensità e la frequenza delle contrazioni uterine al fine di facilitare l’espulsione del feto.

Il farmaco, se non somministrato in maniera corretta, può peraltro provocare subcontrazioni dell’utero con conseguente sofferenza del feto.

Per meglio contrastare questo effetto del farmaco la somministrazione deve avvenire per via endovenosa mentre nel caso in esame ciò era avvenuto per via orale.

Cosicchè quando, verso le ore 11, il medico era intervenuto e aveva somministrato un farmaco antagonista questo non aveva avuto effetto immediato che invece avrebbe avuto con la somministrazione per via endovenosa del Sandopart perchè questo tipo di somministrazione può essere immediatamente interrotto mentre quello per via orale consente l’assunzione di tutta le dose.

Contro questa ricostruzione dei giudici di merito la ricorrente alcun elemento oppone e anzi da per scontato che la somministrazione del farmaco sia avvenuta in modo incongruo.

La ricorrente sostanzialmente si lamenta soltanto della circostanza che la sentenza impugnata si sarebbe fondata sulle sole dichiarazioni della P. ma senza neppure indicare quali sarebbero le false circostanze da costei affermate che varrebbero a rendere illogica la ricostruzione dei giudici di merito.

Queste censure sono dunque inammissibili nel giudizio di legittimità perchè riguardano la ricostruzione del fatto incensurabilmente e motivatamente compiuta dalla sentenza impugnata, perchè trattasi di censure generiche e perchè prive di decisività. 4) Infondato è invece il secondo motivo di ricorso che riguarda le attribuzioni dell’ostetrica/o.

La ricorrente denunzia la violazione del D.M. n. 740 del 1990, peraltro inesistente.

Si tratta in realtà del D.M. 14 settembre 1994 n. 740 che ha approvato il regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’ostetrica/o.

Orbene, dalla disciplina contenuta in questo regolamento, emerge in modo incontestabile che l’ostetrica/o può condurre e portare a termine i soli parti eutocici (art. 1, comma 1) e che, quando individua situazioni potenzialmente patologiche, deve richiedere l’intervento medico (art. 1, comma 5).

Nel caso in esame la sola necessità di accelerare il ritmo delle contrazioni uterine escludeva che si trattasse di un parto eutocico e dunque, fin dalla fase iniziale del travaglio di parto, l’ostetrica avrebbe dovuto avvisare il personale medico, peraltro il solo autorizzato al trattamento farmacologico.

Si aggiunga, a conferma della correttezza della soluzione adottata dai giudici di merito, che la somministrazione del farmaco fu incongrua e che neppure la ricorrente pone in discussione che, da questo scorretto trattamento farmacologico sia derivata la sofferenza fetale che ha provocato le lesioni al feto.

5) Inammissibili perchè generiche sono infine le censure che si riferiscono alla pena e alla provvisionale concessa a favore della parte civile.

Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto del ricorso con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, rigetta il il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione