Corte di Cassazione Penale sez. IV 19/12/2008 n. 47397; Pres. Mocali P.

Redazione 19/12/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza in data 10 febbraio 2005 il Tribunale di Catanzaro dichiarava, all’esito di giudizio abbreviato, M.V. corresponsabile dell’omicidio colposo di N.R., commesso, con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, in (omissis), e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata circostanza aggravante, lo condannava alla pena di mesi quattro di reclusione.

2. Con la sentenza – indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva l’imputato perchè il fatto non costituisce reato.

Osservavano i giudici di appello:

– che, nella tarda mattinata del (omissis), l’autovettura guidata dall’imputato si era scontrata frontalmente, in un tratto di strada rettilineo, con il veicolo condotto da N.R., che era morta sul colpo;

– che, in base alla ricostruzione effettuata dalla Polizia stradale e dal consulente tecnico del pubblico ministero ed alle dichiarazioni rese da testimoni oculari, si era appurato che la N., per cause rimaste ignote, aveva invaso l’opposta corsia e, dopo averla percorsa per circa 50 metri, era andata ad urtare l’autovettura dell’imputato;

– che, ciò nondimeno, il primo giudice aveva ritenuto il M. corresponsabile dell’incidente, avendo rilevato che "viaggiava a circa 63 chilometri orari in luogo dei 50 consentiti in quel tratto di strada" e che, "pur avendo notato la condotta della N.", non aveva posto in essere alcuna manovra di emergenza (neppure quella di "avvicinarsi al massimo alla banchina destra");

– che, peraltro – proseguiva la Corte – era "arduo" ritenere sussistente un "nesso" tra la violazione del limite di velocità, superato di "appena 10 – 13 chilometri orari", e la "dinamica del sinistro" (l’impatto avrebbe comunque avuto conseguenze devastanti "dovendosi cumulare le velocità dei due veicoli");

– che indubbiamente il M., come da lui stesso ammesso, aveva percepito l’invasione di corsia da parte della N. ed aveva rallentato;

– che, tuttavia, in considerazione del "brevissimo lasso temporale a disposizione" (a causa della velocità della vettura antagonista) e della minima distanza di avvistamento, non poteva da lui esigersi una manovra di allargamento sulla destra (manovra rischiosa e che lo avrebbe fatto trovare nell’impossibilità di compierne eventuali altre al fine di evitare l’impatto);

– che il giudice di primo grado aveva, per contro, "dato per scontato" che l’imputato avrebbe potuto "allargare la traiettoria" e, soprattutto, che la N. non avrebbe modificato la propria (non aveva, però, tenuto conto che non si erano potute chiarire le ragioni della condotta di guida della donna e che al M. era mancato "un margine temporale di riflessione").

3, Avverso la predetta decisione hanno proposto ricorsi per Cassazione, con atti di identico contenuto, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro e le sopra indicate parti civili, affidando le rispettive doglianze a tre motivi.

3.1. Con il primo motivo deducono la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto insussistenti le violazioni del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 141, comma 2, e art. 143, comma 1.

Osservano, in particolare, i ricorrenti che, sulla base delle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, la condotta prescritta dal citato D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 141, comma 2, (secondo il quale "il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile"), risulterebbe sempre inesigibile "non potendo mai il conducente di un veicolo conoscere o comunque ricostruire le ragioni che hanno indotto il conducente di altro veicolo a tenere una condotta irregolare".

Nè, d’altra parte – concludono sul punto i ricorrenti – la Corte di merito, nel prospettare tale "introspezione", tenta di conciliare la stessa con la palese violazione del citato D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 143, comma 1, ("I veicoli devono circolare sulla parte destra della carreggiata e in prossimità del margine destro della medesima, anche quando la strada è libera").

3.2. Con il secondo ed il terzo motivo i ricorrenti lamentano la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto insussistenti le violazioni del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 141, comma 1, e a art. 142, comma 1, e denunciano la violazione di tali disposizioni, oltre che di quelle contenute nel citato decreto, art. 143, comma 1, e negli artt. 40 e 41 c.p., art. 43 c.p., comma 3, e art. 589 c.p..

In particolare, la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria nella parte in cui afferma l’inesigibilità di una manovra di emergenza nei termini anzidetti ed esclude, con motivazione illogica, che la velocità tenuta (in violazione del citato Decreto, art. 142, comma 1) abbia avuto una rilevanza causale, ma non valuta se una velocità osservante del limite avrebbe consentito all’imputato di tenere una condotta di guida diversa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. I ricorsi non sono meritevoli di accoglimento.

La sentenza non è affetta dai vizi motivazionali e dalle violazioni di legge denunciate dai ricorrenti.

Risulta anzi imperniata su una valutazione plausibile delle risultanze probatorie.

Reputa, invero, la Corte territoriale che l’imputato non sia riuscito ad evitare l’impatto non a causa della propria condotta di guida (la velocità tenuta era di poco superiore ai 50 chilometri orari consentiti e la posizione del veicolo all’interno della carreggiata era corretta), ma perchè la vettura antagonista era sopraggiunta a velocità elevata e, di riflesso, era stata da lui avvistata soltanto all’ultimo momento, sicchè il lasso temporale a disposizione per decidere il da farsi era stato irrisorio.

Ha sostenuto, dunque, la Corte di merito che in circostanze siffatte fosse "arduo" pretendere che l’imputato, nei pochi istanti a disposizione, attuasse la soluzione idonea (sempre che la si potesse adottare) ad evitare l’impatto o, quantomeno, ad attenuarne gli effetti.

E’ questo in sostanza che la Corte ha inteso affermare là dove ha dato risalto al fatto che l’imputato potesse anche, sia pure in quei brevi momenti, ipotizzare che la N. riuscisse a correggere la propria traiettoria.

E non si tratta di un problema di introspezione come sostiene, in modo ingiustificatamente sarcastico, il ricorrente.

Si tratta di un problema diverso e piuttosto delicato; quello di intuire, in poche frazioni di secondo, quale possa essere la via di salvezza, elaborando una serie di dati tra i quali non può certamente mancare quello relativo alle presumibili intenzioni o alle diverse possibilità di manovra del veicolo antagonista.

Si aggiunga che i ricorsi contengono soltanto asserzioni in ordine alle affermate violazioni di norme del codice della strada, in particolare dell’art. 143 (violazione esclusa dalla sentenza impugnata).

Privo di pregio è altresì il rilievo secondo cui la Corte territoriale non si sarebbe chiesta se il rispetto del limite di velocità avrebbe consentito all’imputato di adottare manovre diverse da quella attuata.

I giudici di appello, invero, hanno comunque affermato – e la considerazione non è certo illogica – che, data la velocità tenuta dalla vittima ed i conseguenti tempi minimi di avvistamento, il superamento (di qualche chilometro) del limite massimo non aveva avuto alcuna incidenza causale.

E, in ogni caso, la Corte territoriale ha applicato gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, che ha più volte avuto modo di affermare, da un lato, che il conducente di un veicolo che si venga a trovare in una situazione di pericolo improvvisa e dovuta a condotta di guida illecita altrui (stato di necessità ex art. 54 c.p.) non risponde a titolo di colpa per non aver posto in essere una manovra di emergenza adeguata ad evitare l’incidente (cfr., in particolare, Cass. 4, 28 novembre 2002, **********, RV 224565, che in motivazione precisa che "in situazione di emergenza, non è ragionevole esigere alcuna verifica delle reali intenzioni del guidatore dell’auto antagonista che ci si trova improvvisamente sulla propria direttrice di marcia" e che "è proprio la condizione di emergenza, con le sue ovvie implicazioni psichiche – che sono tali da escludere totalmente l’elemento volontaristico tipico della colpa – nei confronti del conducente, ed il suo consumarsi in qualche attimo, ad escludere la esigibilità di quella scelta oculata, e frutto di raffronto fra le varie alternative, che solo si può svolgere a tavolino, e dunque necessariamente con giudizio ex post rispetto alla dinamica dell’occorso in situazione di emergenza"); in senso conforme Cass. 4, 14 novembre 1990, ****, RV 186987; Cass. 4, 20 settembre 1989, Barillà, RV 182227; Cass. 4, 15 novembre 1977, Auguadri, RV 138681), dall’altro, che chi abbia posto in essere una turbativa colposa della circolazione non può pretendere che il conducente del veicolo antagonista esegua una manovra d’emergenza, non essendo questa esigibile (Cass. 4, 4 dicembre 1989, *******, RV 183207; analogo concetto si trova espresso in Cass. 4, 11 maggio 1990, Ammirato, RV 184555).

5. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna in solido delle ricorrenti parti civili al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna in solido le ricorrenti parti civili al pagamento delle spese processuali.

Redazione