Corte di Cassazione Penale sez. IV 12/2/2009 n. 6210; Pres. Campanato G.

Redazione 12/02/09
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RITENUTO IN FATTO

Con sentenza in data 21 febbraio 2008 il Tribunale di Ancona – Sez. Dist. di Senigallia – condannava G.L. alla pena di Euro 2.000,00 di ammenda, per guida in stato di ebbrezza. Il Tribunale evidenziava che, non essendovi stato accertamento strumentale, lo stato di ebbrezza dell’imputato, rilevato dai verbalizzanti sulla base di dati sintomatici, doveva essere ricondotto nell’ambito dell’ipotesi di cui alla fascia A) dell’art. 186 C.d.S., comma 1 – come modificato dal D.L. n. 117 del 2007, convertito in L. n. 160 del 2007 – punita con la sola pena pecuniaria dell’ammenda: ciò in applicazione del principio del "favor rei", trattandosi di fatto avvenuto in epoca antecedente alla riforma normativa appena ricordata. Il Tribunale assolveva il G. dal reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento con etilometro, con la formula "perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato", trattandosi di violazione depenalizzata con la citata novella (e poi nuovamente criminalizzata con la ulteriore riforma di cui al D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito nella L. 24 luglio 2008, n. 125).

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato il quale ha dedotto: a) vizio di motivazione relativamente all’affermazione di colpevolezza per il reato di guida in stato di ebbrezza, avendo il giudicante fondato il proprio convincimento sulle dichiarazioni dei verbalizzanti, privilegiando le stesse rispetto a quelle rilasciate da altri testi; b) violazione di legge sull’asserito rilievo che in conseguenza della riforma di cui al D.L. n. 117 del 2007, convertito dalla L. n. 160 del 2007, dovrebbe ritenersi non più punibile la condotta di chi mostri i segni dell’ebbrezza senza che venga effettuato l’accertamento etilometrico.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Per quel che riguarda il reato di guida in stato di ebbrezza, talune precisazioni e considerazioni si impongono in via preliminare.

Il D.L. 3 agosto 2007, n. 117, art. 5 ha – come è noto – riscritto il D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, trasformando in illecito amministrativo il rifiuto di sottoporsi all’accertamento, ma non abolendo, neppure in parte, la fattispecie di guida in stato di ebbrezza ed inasprendone anzi l’apparato sanzionatorio.

In particolare, le pene principali sono state differenziate in base alla gravità della violazione:

prima fascia: ammenda da 500,00 a 2000,00 Euro e arresto fino ad un mese se il tasso alcolemico accertato è superiore a 0,5 grammi per litro e non superiore a 0,8 (la previsione dell’arresto è stata, poi, soppressa dalla Legge di Conversione 2 ottobre 2007, n. 160 e la contravvenzione è, dunque, tornata ad essere oblabile, ai sensi dell’art. 162 c.p.);

seconda fascia: ammenda da 800,00 a 3.200,00 Euro ed arresto fino a tre mesi (elevato a sei mesi dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 4, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, convertito dalla L. 24 luglio 2008, n. 125) se il tasso alcolemico accertato è superiore a 0,8 grammi per litro e non superiore a 1,5. terza fascia:

ammenda da 1.500,00 a 6.000,00 Euro ed arresto fino a sei mesi (ora da tre mesi ad un anno per effetto dell’intervento dei provvedimenti legislativi da ultimo citati) se il tasso alcolemico accertato è superiore a 1,5 grammi per litro. Nella vigenza del precedente assetto normativo, questa Corte aveva più volte avuto modo di affermare (cfr. Cass. S.U. 27 settembre 1995, **********, RV 203634;

Cass. 4^ 4 maggio 2004, ******, RV 229966; Cass. 4^ 9 giugno 2004, p.m. in proc. *********, RV 229087) che lo stato di ebbrezza del conducente del veicolo poteva essere accertato e provato, ai fini della configurabilità della contravvenzione in esame, con qualsiasi mezzo, e non necessariamente, nè unicamente, mediante la strumentazione (il cd. etilometro) e le procedure indicate nel D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, menzionato art. 379.

In particolare, per il principio del libero convincimento, per l’assenza di prove legali e per la necessità che la prova non dipenda dalla discrezionale volontà della parte interessata, il giudice poteva dimostrare l’esistenza dello stato di ebbrezza sulla base delle circostanze sintomatiche, desumibili in particolare dallo stato del soggetto (alterazione della deambulazione, difficoltà di movimento, eloquio sconnesso, alito vinoso, ecc.) e dalla condotta di guida (che i verbalizzanti hanno il compito di indicare nella notizia di reato, ai sensi dell’art. 347 c.p.p.: v. citato art. 379, comma 3).

Con le modificazioni anzidette sono state dunque introdotte tre fasce contravvenzionali che, come questa Corte ha già, seppur incidentalmente, avuto modo di affermare (cfr. ad esempio Cass. 4^ 16 settembre 2008, *******; Cass. 4^ 11 aprile 2008, P.G. in proc. *********, non massimate), integrano fattispecie autonome di reato, non ricorrendo alcun rapporto di specialità fra le tre disposizioni:

le ipotesi ivi contemplate – disposte, come si è visto, in ordine crescente di gravità modellata sul tasso alcolemico accertato – sono, invero, caratterizzate da reciproca alternatività, quindi da un rapporto di incompatibilità.

Ciò detto, non vi è motivo, tuttavia, di ritenere che il nuovo sistema sanzionatorio precluda oggi al giudice di poter dimostrare l’esistenza dello stato di ebbrezza sulla base delle circostanze sintomatiche riferite dai verbalizzanti.

Le ragioni che legittimavano quell’orientamento interpretativo (principio del libero convincimento, assenza di prove legali e necessità che la prova non dipenda dalla discrezionale volontà della parte interessata) non sono, invero, venute meno.

Il tasso alcolemico è elemento costitutivo di ognuna delle tre fattispecie e, come tale, è suscettibile di accertamento secondo le regole che governano il sistema delle prove.

Una volta ammesso che, in linea di principio, lo stato di ebbrezza può desumersi da elementi sintomatici, è agevolmente intuibile che, sul piano probatorio, la possibilità per il giudice di avvalersi, ai fini dell’affermazione della sussistenza dello stato di ebbrezza, delle sole circostanze sintomatiche riferite dagli agenti accertatori sarà il più delle volte logicamente da circoscriversi alla sola fattispecie meno grave, imponendosi per le ipotesi più gravi l’accertamento tecnico del livello di alcool nell’organismo.

Fatte queste premesse sul piano sistematico ed ermeneutico, e passando all’esame della concreta fattispecie, mette conto sottolineare che la colpevolezza del G. è stata affermata sulla scorta delle circostanze sintomatiche dello stato di ebbrezza rilevate al momento del controllo.

Di tal che, per le considerazioni dianzi esposte, ed in virtù del principio generale di cui all’art. 2 c.p. in tema di successione delle leggi nel tempo, il fatto addebitato all’imputato – in mancanza di elementi concreti e certi per ritenere che il G. al momento del controllo si trovasse in uno stato di ebbrezza di rilevante gravità, con tasso alcolemico superiore a 0,8 – deve essere ricondotto, così come correttamente ritenuto dal Tribunale, nell’ambito della ipotesi contravvenzionale di cui alla prima delle tre fasce sopra ricordate, vale a dire quella concernente il tasso alcolemico non superiore a 0,8, trattandosi di fattispecie punita con la sola ammenda.

Ciò posto, occorre verificare se, alla data della odierna udienza, sia interamente decorso il termine massimo di prescrizione.

All’epoca del fatto addebitato al G. ((OMISSIS)), la normativa prevedeva, per la guida in stato di ebbrezza, la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda; come già innanzi detto, con la novella del 2007 sono state poi introdotte le tre diverse ipotesi contravvenzionali in base al tasso alcolemico accertato e, per le ragioni prima indicate, il fatto oggetto del presente procedimento deve essere inquadrato nell’ambito dell’ipotesi contravvenzionale di cui alla fascia A) dell’art. 186 C.d.S. punita con la sola pena pecuniaria dell’ammenda.

Una volta così individuata la disposizione più favorevole, occorre individuare il termine di prescrizione con riferimento a reato punito con la sola ammenda e commesso nel (OMISSIS). Certamente, la legge cui bisogna por mente è la L. n. 251 del 2005 nella parte in cui ha apportato modifiche all’art. 157 c.p.. Tuttavia i termini prescrizionali previsti dalla citata legge risultano sfavorevoli per l’imputato (quattro anni, con un massimo di cinque anni con gli atti interruttivi) rispetto a quelli previsti dal previgente art. 157 c.p. (due anni, con un massimo di tre con gli atti interruttivi). Ed allora è necessario applicare la norma transitoria della legge in argomento che, infatti, così testualmente recita (art. 10, comma 2):

"Ferme restando le disposizioni dell’art. 2 c.p. quanto alle altre norme della presente legge, le disposizioni dell’art. 6 non si applicano ai procedimenti e ai processi in corso se i nuovi termini di prescrizione risultano più lunghi di quelli previgenti". Nè si tratta di dar vita ad una "tertia lex", bensì dell’applicazione della norma transitoria della stessa legge, la L. n. 251 del 2005, applicabile al caso in esame "ratione temporis" (al riguardo si è già espressa, in tal senso, questa stessa Sezione: Sez. 4, n. 38020/08, dep. 3 ottobre 2008; Sez. 4, n. 38558/08 dep. 10 ottobre 2008).

Ne deriva che, in applicazione del termine prescrizionale stabilito dal previgente art. 157 c.p., in quanto espressamente richiamato dalla disposizione transitoria della L. n. 251 del 2005, per il reato di guida in stato di ebbrezza ascritto al G. è, alla data odierna, maturata la prescrizione: ed invero, il relativo termine massimo (tre anni, tenendo conto degli atti interruttivi) è già decorso a far tempo dalla data del fatto ((OMISSIS)), pur tenendo conto del periodo di sospensione del dibattimento per il rinvio dal 23 marzo 2007 all’8 novembre 2007 (sette mesi e mezzo) in conseguenza dell’adesione del difensore all’astensione dalle udienze (per come si rileva dagli atti). Tanto premesso, occorre adesso verificare se, avuto riguardo ai motivi dedotti dal ricorrente, in relazione alle argomentazioni svolte dal Tribunale nell’impugnata sentenza, il ricorso presenti profili di inammissibilità per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perchè basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l’intervenuta prescrizione (posto che si tratterebbe di causa originaria di inammissibilità).

Orbene, il ricorso non presenta siffatte connotazioni di inammissibilità, posto che la doglianza dedotta con il secondo motivo risulta formulata con argomentazioni di taglio tecnicogiuridico; la doglianza è peraltro infondata (ma non manifestamente, anche in relazione al tempo in cui fu presentato il ricorso, vale a dire poco dopo la riforma del giugno-agosto 2007 allorquando erano state pronunciate anche alcune sentenze dei giudici di merito nel senso della tesi sostenuta dal ricorrente, ed ancora non si erano registrati, sulla specifica questione, gli interventi di questa Corte di segno contrario a tale tesi), dovendo ribadirsi, come sopra già evidenziato, la configurabilità del reato di guida in stato di ebbrezza, pur sulla base dei soli dati sintomatici di tale condizione rilevati e riferiti dal verbalizzante, ed anche con riferimento alle disposizioni introdotte con la riforma del 2007.

L’impugnata sentenza deve essere quindi annullata senza rinvio, in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza, per essere estinto il reato stesso per intervenuta prescrizione.

Copia della presente sentenza deve essere trasmessa al Prefetto territorialmente competente per quanto di ragione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato di guida in stato di ebbrezza estinto per prescrizione.

Manda copia della sentenza al Prefetto territorialmente competente.

Redazione