Corte di Cassazione Penale sez. IV 11/6/2008 n. 23507; Pres. Marini L.

Redazione 11/06/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dei Tribunale di Cassino, in data 15/6/2005, M. V. era dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 590 c.p., commi 1 e 2, in relazione all’art. 583 c.p., comma 1, n. 2, perchè, quale medico specialista in ostetricia e ginecologia, avendo in cura B.A. in stato di gravidanza, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, omettendo di prescrivere esami ecografici al terzo semestre (rectius trimestre) di gravidanza e comunque all’atto del ricovero prima del parto, nonchè omettendo di formulare correttamente e tempestivamente diagnosi di macrosomia fetale e distocia di spalle, con conseguente necessario ricorso alle opportune manovre ostetriche che avrebbero consentito di espletare il parto con successo, senza lesioni fetali, cagionava alla neonata B.G. una lesione personale grave consistita in "monoparesi arto superiore di sinistra in esito a lesione del plesso brachiale di tipo superiore" con indebolimento di organo e danno permanente valutabile nella misura del 15%; in (omissis) il 24.3.2000.

Concesse le circostanze attenuanti generiche, il M. era condannato alla pena di mesi due di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale, nonchè al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, ed al pagamento a ciascuna parte civile della provvisionale di Euro 5.000,00.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 1^ febbraio 2007, confermava la decisione di primo grado, appellata dal M., che condannava al pagamento delle spese del grado, e dichiarava condonata la pena inflitta.

L’imputato era anche condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza ed assistenza delle parti civili.

Ritenevano entrambi i giudici di merito che il M. fosse responsabile delle lesioni riportate durante il parto dalla bimba per non aver accertato (disponendo l’effettuazione da parte della partoriente di controlli ecografici successivi a quello della 31^ settimana) la macrosomia del feto (la bimba, nata alla 37^ settimana, pesava kg.4,900), diagnosi che – se correttamente effettuata – avrebbe potuto evitare le lesioni intervenendo con taglio cesareo al momento del parto.

Avverso la sentenza della Corte d’appello il M. ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a due distinti difensori.

Con il primo motivo l’avv.to **************** denuncia nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., lett. b) per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 40 e 590 c.p..

La conclusione dell’iter argomentativo dei Giudici di appello è testualmente la seguente (pagine 12 e 13 della sentenza):

"sul punto deve rilevarsi che, come precisato dal perito P., la distocia di spalla si accompagna frequentemente alla macrosomia (v. Petrucci, udienza 26/11/2004 f. 27), per cui, pur ragionando in termini di probabilità, non è possibile escludere il nesso di causalità tra la condotta e, l’evento".

Tale affermazione non fa una corretta applicazione dell’insegnamento delle SSUU della Corte di Cassazione (sentenza 10 luglio 2002, ********) in tema di nesso di causalità.

Per procedere utilmente al ed. giudizio controfattuale circa la rilevanza causale del comportamento doveroso suppostamente omesso dal sanitario sarebbe stato, infatti, previamente necessario stabilire con certezza la ricostruzione della serie causale che ha determinato l’evento.

Tale risultato non si ottiene, peraltro, delineando semplicemente un itinerario causale "possibile" o anche ritenuto "probabile" perchè compatibile con alcune risultanze probatorie; la serie causale su cui va compiuto il giudizio controfattuale deve essere non solo probabile ma deve essere tale da escludere ogni percorso causale alternativo.

Gli stessi termini adoperati dai giudici di merito risultano perplessi e rivelano come il giudizio controfattuale operato, fondato su premesse nè certe nè univoche, non consente di conseguire il risultato di escludere "ogni ragionevole dubbio" su possibili alternative ricostruzioni.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza e contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo della sentenza e dalla trascrizione dell’esame del perito nel giudizio di appello.

Secondo il ricorrente, è evidentemente illogica, in primo luogo, l’affermazione secondo cui la ripetizione dell’ecografia nei tre mesi successivi a quella eseguita alla 31^ settimana avrebbe consentito l’accertamento di un peso del feto superiore alla norma e certamente superiore ai 4 chili; non si è tenuto conto che la donna aveva portato felicemente a termine due precedenti gravidanze dando alla luce bambini di peso superiore ai 4 chili.

Tale informazione anamnestica consentiva di acquisire come dimostrata l’idoneità del bacino della donna di consentire il parto spontaneo pur nel caso il feto fosse stato "superiore ai 4 chili".

Ma soprattutto tale affermazione è in contraddizione insanabile con la prova costituita dall’esame del perito di ufficio nel giudizio di secondo grado laddove il medesimo ha affermato che "La stima della macrosomia si fa in genere più o meno in prossimità del parto, verso 37^ 38^ settimana".

Circostanza che esclude radicalmente che possa addebitarsi all’imputato di averne omesso l’esecuzione, in quanto, come ricordato nella stessa sentenza di appello (pag. 2), il parto è avvenuto alla 37^ settimana.

Parimenti illogica è l’affermazione relativa alla necessità di eseguire il cesareo, chiaramente contraddetta dalle dichiarazioni del perito, cui pure il testo della sentenza fa riferimento, ed in particolare da quelle secondo cui "il cesareo in genere d’elezione si fa tra 38^ e 39^ settimane, grossomodo per evitare un travaglio … grossomodo i pediatri preferirebbero la 39^ settimana perchè penso che abbia meno problemi di stress respiratorio alla nascita.

I ginecologi molto spesso la fanno a 38, proprio per evitare di trovarsi in una situazione di travaglio improvviso".

Rispondendo, quindi, al Giudice che, osservando come nel caso di specie la signora si fosse presentata con una dilatazione già avanzata in ospedale alla 37^ settimana e quindi prima della data indicata dal perito come quella utile per un cesareo di elezione, gli chiedeva se fosse stato possibile effettuare comunque il cesareo, il perito afferma "Certo, poteva essere fatto il cesareo, nel senso che è andata in ospedale con un travaglio, il cesareo era tecnicamente possibile in quel momento, però non ci sarebbe stata l’indicazione.

Cioè, tra un parto presupposto normale, diciamo senza avere controindicazioni in quel momento, e un taglio cesareo, tra mobilità e mortalità materna e fetale è preferibile il parto spontaneo….".

Ove si consideri che a pagina 83 della stessa trascrizione (illogicamente ignorata dalla corte) si legge la seguente ulteriore significativa affermazione del perito, formulata in risposta alla domanda se nel caso particolare c’erano degli elementi che potevano far sospettare al medico una macrosomia oltre il fatto delle due precedenti gravidanze: "Beh c’erano precedenti gravidanze di 4 chili e 2, quindi può essere valutato sia in senso di capacità del bacino .., diciamo c’è sempre la relazione tra le dimensioni del bambino e il bacino della madre, ovviamente, cioè non è un fatto assoluto.

Quindi 4 chili e 2 era già un buon peso e il parto precedente è andato senza nessunissimo problema.

Altre condizioni materne che possono far pensare, diciamo, durante la seconda gravidanza la macrosomia possono essere … però sono molto, diciamo neanche fattori di rischio, sono delle concause proprio, il diabete materno, in questo caso non c’è e quindi non può sospettare, un eccessivo aumento di peso della madre".

Discende da quanto sopra che la corte di appello ha del tutto invertito l’effettivo significativo delle affermazioni del perito, cui pure dichiara di fare richiamo: il perito, infatti, ha affermato che l’ecografia diretta ad accertare l’eventuale macrosomia può essere utilmente eseguita solo alla 37^ 38^ settimana, mentre la Corte ha inteso che può essere fatta anche prima, il perito afferma che non si può accertare la macrosomia a travaglio iniziato con dilatazione avvenuta, mentre la corte assume l’esatto contrario.

Sembra pertanto di potersi concludere, in linea con il principio affermato dalla S.C. nella sentenza della prima sezione n. 25117/06, che nel caso di specie sia stato travisato il risultato della prova integrando il vizio di c.d. "contraddittorietà processuale".

Con il terzo motivo il M. denuncia nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza e contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo della sentenza e dalla trascrizione dell’esame del perito nel giudizio di appello nonchè ex art. 606, lett. b) in relazione agli artt. 62 bis e 69 c.p..

Deduce che la Corte di appello ha omesso di esporre le ragioni che giustificano la qualificazione come "grave" della colpa attribuita all’imputato, ai fini della mancata prevalenza delle attenuanti generiche.

Con i motivi a firma dell’avv.to *************** si lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all’art. 546 c.p.p., lett. e) per mancanza e contraddittorietà della motivazione sulla prova della responsabilità del M. posta a base della decisione.

Se la sentenza impugnata avesse tenuto conto delle risultanze processuali e non avesse seguito pedissequamente le argomentazioni del giudice di primo grado, non avrebbe mancato di accertare che, nel caso di specie, si era verificata una distocia dinamica e non meccanica come palesemente si evince dalla deposizione della stessa partoriente signora B., nonchè dalle risultanze istruttorie, e che l’operato del dott. M. fu sempre conforme ai protocolli medici che il caso presentava.

Quanto alla prova di una nesso causale tra il fatto e l’evento, la Corte ha ritenuto di non escluderlo solo perchè la distocia di spalla si accompagna frequentemente alla macrosomia, rifacendosi, così, alle dichiarazioni del teste P..

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha però chiarito che il Giudice deve verificare la validità dell’assunto nel caso concreto, e che la condotta omissiva del medico sia stata la condizione necessaria dell’evento lesivo, con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica. (Cass. Pen. Sez. Unite 11/09/2002 n. 30328).

L’indagine giudiziaria deve avere il punto di partenza dalle leggi di statistica, e verificare se sono applicabili al caso in esame, rapportandole a tutti i fattori presenti, e valutando se siano o meno idonee ad influenzare il giudizio di probabilità logica.

La verifica dell’eventuale emergenza di "fattori alternativi" che possano porsi come causa dell’evento lesivo, tali da non consentire di poter pervenire ad un giudizio di elevata credibilità razionale (al di là di ogni ragionevole dubbio) sulla riconducibilità di tale evento alla condotta omissiva del sanitario, non è stata in alcun modo presa in considerazione dalla Corte, così come è stato fatto osservare dalla difesa.

Il giudice deve porsi anche il problema dell’interruzione del nesso causale, per l’eventuale, possibile intervento di una "causa eccezionale sopravvenuta".

Secondo il ricorrente, l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza degli elementi di prova sulla ricostruzione del nesso causale, inducono ad un ragionevole dubbio sulla reale efficacia della condotta omissiva del sanitario rispetto ai fattori eccezionalmente sopravvenuti nella produzione dell’evento lesivo, così che la decisione avrebbe dovuto necessariamente approdare ad una conclusione assolutoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Rileva preliminarmente il Collegio che il reato di lesioni colpose ascritto al dott. G.M., commesso il 24.3.2000, risulta allo stato prescritto atteso che la pena per esso prevista è inferiore a cinque anni di reclusione e vale pertanto il termine prescrizionale di anni cinque di cui all’art. 157 c.p., comma 1, n. 4 e il termine massimo, di sette anni e mezzo, decorso il 24.9.2007.

Il sindacato della Corte deve dunque essere condotto limitatamente alla eventuale sussistenza di circostanze idonee a giustificare un più favorevole proscioglimento dell’imputato ex art. 129 c.p.p., oltre che ai fini della responsabilità civile derivante dal reato.

Infatti, a tale ultimo riguardo, va tenuto presente che a norma dell’art. 574 c.p.p., u.c. l’impugnazione dell’imputato si estende agli effetti civili e che l’art. 578 c.p.p. impone a questa Corte, quando dichiara l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia di decidere sull’impugnazione ai fini civili allorchè in precedenza vi sia stata condanna dell’imputato.

Il ricorso è infondato.

Deve in primo luogo rilevarsi la manifesta infondatezza delle censure contenute nel ricorso dell’avv.to ******* attinenti ad un presunto travisamento delle prove, prospettato sulla base di alcuni brani della consulenza del perito di ufficio riportati nel ricorso.

Non è infatti ravvisabile tale vizio allorchè il medesimo venga sostenuto con riferimento a singole frasi di una consulenza e ai chiarimenti forniti in sede di rinnovazione dell’istruttoria in appello, nella specie appunto avvenuta, frasi che venendo estrapolate dal contesto complessivo e dalle specifiche domande rivolte non possono essere indicate a sostegno di una tesi che non risulta espressamente e positivamente espressa dal consulente.

Tanto più quando le frasi di cui si sostiene il travisamento non hanno, con evidente certezza, il significato che loro si vuole attribuire, atteso che l’affermazione che la diagnosi di macrosomia si fa in genere verso la 37^, 38^ settimana, sembra riferirsi ad una valutazione di massima e teorica del momento in cui la diagnosi può avvenire (appunto "in genere"), ma non esclude in alcun modo la necessità – nella specie accertata – che il medico, anche in precedenza a tale data, controlli l’andamento della gravidanza secondo le particolarità del caso singolo, e, allorchè ravvisi il sospetto di una dimensione del feto superiore al normale, disponga monitoraggi più frequenti e più ravvicinati al fine di accertare l’effettivo sviluppo del feto anche in relazione alla eventualità di una anticipazione del parto rispetto alla scadenza del termine fisiologico, ben possibile.

Altrettanto equivoca è la frase che viene riportata come affermazione secondo cui non vi erano indicazioni per il parto cesareo, perchè ancora una volta sembra che il consulente esprima nozioni generali ed astratte circa i presupposti del parto spontaneo piuttosto che di quello con taglio cesareo, adattandole poi a ipotesi teoriche che non sembrano coincidere con la situazione di cui al caso concreto.

Quanto alla circostanza che avendo la donna già partorito due bimbi di peso superiore al normale, poteva ritenersi che la stessa fosse in grado di portare a termine anche la terza gravidanza, nonostante il feto fosse "grande" – come evidenziato dallo stesso ginecologo -, si tratta all’evidenza di un argomento che lungi dal dimostrare l’assenza di colpa del medico, aggrava la sua responsabilità atteso che, come già evidenziato da entrambi i giudici di merito, è un dato che concorreva a dimostrare la probabilità di un feto di peso superiore al normale, evenienza che imponeva al medico di fare uso di tutti gli strumenti di accertamento e diagnosi di cui la scienza medica dispone e dunque di prescrivere monitoraggi più frequenti, anzichè sperare che il parto si svolgesse regolarmente fidando ciecamente nella capacità del bacino materno, senza considerazione alcuna per i limiti che anche il bacino materno evidentemente ha.

Passando ad esaminare le censure, contenute nei due ricorsi, che attengono all’accertamento del nesso di causalità, si rileva quanto segue.

Nella materia della responsabilità colposa per omissione – ma i principi esposti valgono ovviamente anche nei casi di responsabilità commissiva – sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 10.7.2002 n. 27, ********.

La Corte, chiamata a dirimere il contrasto tra le due posizioni esistenti all’interno della giurisprudenza di legittimità per la sussistenza del nesso di causalità, di cui una richiedeva l’esistenza di un elevato grado di probabilità, "vicino alla certezza" "quasi prossimo a cento" e l’altro considerava sufficienti anche solo "serie ed apprezzabili probabilità di successo", ha operato una completa e accurata ricostruzione dello statuto della causalità penalmente rilevante, rifiutando la seconda alternativa di cui sopra (che esprime coefficienti di probabilità mutevoli, indeterminati, manipolabili dall’interprete, talora attestati su standard davvero esigui) ma, specialmente, opportunamente osservando (con argomentazioni che interamente si condividono e alle quali integralmente si rinvia) che il contrasto interpretativo cui si è accennato deve essere risolto in termini di concreta verificabilità processuale, di accertamento nel processo, procedendo nell’operazione ermeneutica alla stregua dei comuni canoni di certezza processuale, non diversamente di quanto avviene negli altri campi del diritto penale.

In particolare la Corte ha chiarito che la causalità omissiva è sostenuta non solo in presenza di leggi scientifiche universali o di leggi statistiche che esprimono un coefficiente prossimo alla certezza (ma che pur sempre impongono di accertare la irrilevanza di eventuali spiegazioni diverse eventualmente dedotte), ma può esserlo altresì quando ricorrano criteri medio bassi di probabilità c.d. frequentista, nulla escludendo che "anch’essi, se corroborati dal positivo riscontro probatorio … circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento".

Distinguendo la mera probabilità statistica dalla probabilità logica, le Sezioni Unite hanno dunque messo l’accento, con valutazioni che il Collegio condivide, sul raggiungimento da parte dell’autorità chiamata a giudicare i delicati episodi che per lo più si riconnettono alla causalità omissiva, di un risultato di "certezza processuale" che, "all’esito del ragionamento probatorio, sia in grado di giustificare la logica conclusione che, tenendosi l’azione doverosa omessa, il singolo evento lesivo non si sarebbe verificato o si sarebbe inevitabilmente verificato, ma (nel quando) in epoca significativamente posteriore o (per come) con minore intensità lesiva".

Nella specie la motivazione con cui è stato affermata la sussistenza del nesso di causalità soddisfa i requisiti di cui sopra.

I giudici di merito hanno infatti dato atto (sulla base delle dichiarazioni del perito P.) dell’esistenza di una legge scientifica secondo la quale la "distocia di spalla si accompagna frequentemente alla macrosomia"; hanno accertato che nella specie la bambina data alla luce pesava 4,700 e che durante il parto si era verificato proprio l’inconveniente della distocia di spalla, escludendo invece (sulla base della prova disponibile) la possibilità di altra spiegazione quale la prospettata distocia meccanica (valutazione che rende inammissibile il primo motivo del ricorso *******, per contrasto con l’accertamento effettuato dai giudici di merito); hanno rilevato che le lesioni riportate dalla bimba potevano agevolmente essere evitate, ricorrendo al taglio cesareo, ove la macrosomia fosse stata diagnostica e che la diagnosi era facilmente effettuabile attraverso il controllo ecografico; hanno ritenuto che la mancata diagnosi fosse da imputare a colpa del dott. M., che pur consapevole che la bimba era "grande" non aveva fatto eseguire alla madre controlli ecografici più frequenti (l’ultimo effettuato risaliva a tre mesi prima del parto e già evidenziava un accrescimento del feto superiore al normale; è risultato provato che il dottor M. aveva avvisato la donna che la bambina era di proporzioni grandi, tanto che la donna aveva richiesto di essere sottoposta a taglio cesareo e lo stesso imputato ha riconosciuto di avere constatato nell’ultima visita, senza ecografia, circa un mese prima del parto, che il bambino era più grande del normale).

E’ stata dunque correttamente condotto l’accertamento del nesso di causalità nonchè quello della condotta colpevole.

Nell’accertamento della causalità, occorre infatti in primo luogo accertare se esista una legge scientifica in base alla quale un dato evento è conseguenza di un determinato antecedente e tale legge è stata correttamente individuata in quella riferita dal perito P. secondo cui la "distocia di spalla si accompagna frequentemente alla microsomia".

La percentuale probabilistica di tale evenienza non assume rilevanza, atteso che una volta accertato che si tratta di un rischio frequente, è del tutto evidente che il medico è tenuto a porre in essere tutti gli accorgimenti diagnostici per prevenirlo, fondando la relativa omissione l’addebito di colpa nei suoi confronti.

La causalità non è stata fondata su criteri probabilistici, ma sulla corretta valutazione delle emergenze processuali come imposto dalla sentenza ********, avendo i giudici valutato la concreta situazione esistente ed avendone rinvenuto la corrispondenza a quella della legge di copertura nonchè l’assenza di altre spiegazioni possibili, giungendo dunque alla certezza, processualmente acquisita e del tutto ragionevole, del nesso di causalità.

Resta evidentemente assorbito il motivo attinente al trattamento sanzionatorio.

P.Q.M.

La Corte:

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche il reato è estinto per prescrizione; rigetta il ricorso limitatamente alle statuizioni civili che restano così confermate; condanna il ricorrente a corrispondere alle parti civili B.A. e B.R. le spese sostenute dalle medesime per il presente grado di giudizio, spese che liquida in Euro 1590,00 oltre spese generali, IVA e cpa come per legge.

Redazione